Welfare
Vassallo: Ecco limiti e (poche) virtù dell’accoglienza italiana
Intervista al giurista e docente di diritto privato e d'asilo all'università di Palermo, il cui blog è uno dei più seguiti in materia. "La disorganizzazione del sistema è ai massimi livelli, ma si può cambiare, con l'aiuto dell'Europa. Serve però una comunicazione corretta che abbatta strumentalizzazioni e pregiudizi".
“L’aspetto che più colpisce è la disorganizzazione. Dalla quale nascono i problemi, i falsi allarmi, e quindi le strumentalizzazioni di chi a priori non vuole sentire parlare di migranti, di accoglienza”. Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e professore di Diritto privato e Diritto di asilo all’università di Palermo, è la persona che in questo momento, più di ogni altro, può aiutare a capire nel complesso le dinamiche innescate dall’estate di sbarchi più rovente di sempre (62mila persone arrivate da gennaio a fine giugno, molti di più dell’anno ‘record’ delle Primavere arabe, il 2011, con 67mila arrivi in 12 mesi). Lui, siciliano e quindi in medias res (la Sicilia è la regione d’arrivo di quasi tutti i migranti, trasbordati dalla flotta dell’Operazione governativa Mare nostrum nei Centri di prima accoglienza prima di essere poi distribuiti nelle strutture di tutta Italia, o soprattutto nel caso dei profughi siriani, di cercare di raggiungere il Nord Europa), è un punto di riferimento anche per le istituzioni locali, che spesso lo consultano quando ci sono questioni giuridiche alla quali non riescono a dare una risposta immediata. Ha un blog molto seguito, Diritti e frontiere.
Ci fotografa la situazione attuale?
Siamo di fronte a un’accoglienza a due marce: nel Mediterraneo, grazie a Mare nostrum, si sta facendo un ottimo lavoro, riducendo al minimo il rischio di naufragi. A terra, invece, siamo allo sbando: manca la professionalità necessaria, a partire dal punto di vista sanitario. Durante il viaggio si possono contrarre malattie come la Tbc e la scabbia, ma con un o screening rigoroso vengono facilmente debellate. Se questo screening non c’è, ecco che aumenta l’allarme sociale e si è preda di chi vuole speculare sulla salute dei migranti a fini politici, destabilizzando l’opinione pubblica. Poi c’è il problema dello stallo burocratico: per esempio, per avere la formalizzazione della richiesta d’asilo politico bisogna aspettare in media tre mesi, troppi per chi si è indebitato per il viaggio, oppure deve mantenere la famiglia nel paese d’origine. Per questo la fuga dai centri è una soluzione estrema ma comune, è figlia della disperazione, così come il trovare lavoro in nero fuori dalle strutture d’accoglienza, finendo così nel circuito criminale. A volte l’attesa nei centri può durare anche un anno, e questo genera rabbia e rivolte.
Il boom degli sbarchi indica una maggior presenza di migranti in Italia?
No. I tempi lenti del sistema d’accoglienza non fanno emergere i numeri veri, che però si possono stimare, e indicano che dei 130mila ingressi in un anno almeno la metà lasciano il paese, poi ci sono quelli che a causa della crisi economica non rinnovano il permesso, che sono sempre di più: in totale, come permanenze, siamo in linea con in numeri degli scorsi anni, quindi niente ‘invasione’. Anzi, a livello economico l’Italia ci perde, perché il Pil generato dagli immigrati diminuisce, proprio per chi abbandona la nostra terra in cerca di fortuna altrove.
Si critica l’inedia dell’Europa nel prendere decisioni in merito ai flussi migratori. È una critica lecita?
Sì, basti pensare che nel summit del 26-27 giugno 2014, dedicato proprio al tema, si è ‘deciso di non decidere’, un’altra volta. Ovvero, nessuna novità concreta se non un richiamo a rifinanziare Frontex, l’Agenzia europea che controlla le frontiere della Fortezza Europa, finora con esiti negativi. Non c’è una linea comune, e questo è un problema fondamentale, tamponato dall’iniziativa italiana di Mare nostrum, che però ha solo sette imbarcazioni, quindi può arrivare fino a un certo punto. Il fatto è che ci si ostina a non prendere in considerazione la possibilità di canali umanitari, per esempio con ponti aereo che porterebbero i profughi nei vari paesi europei scongiurando il rischio e la sofferenza della traversata in mare.
Dove potrebbero essere installati i punti di partenza dei canali umanitari?
Non in Libia, preda oggi di un’assoluta ingovernabilità e luogo in cui i diritti dei migranti non vengono riconosciuti minimamente, anzi essi sono alla mercé di trafficanti e sfruttatori. Gli Stati esteri non hanno rappresentanza, ed è emblematico il caso dell’Italia: lo stesso Matteo Renzi ha affermato che le funzioni di ambasciata in Libia sono svolte da aziende come Finmeccanica, a cui si aggiunge l’Eni, questo fa capire come l’economia si sostituisca alla politica, ‘inquinando’ i rapporti tra Stati.
L’Egitto?
Potrebbe essere una pista praticabile, ma a oggi la situazione è ancora instabile, sia per i continui cambi di governo sia perché ci sono situazioni torbide come quella legata ai profughi siriani: ritenendoli vicini al partito dei Fratelli musulmani, osteggiato dal potere egiziano attuale, non ne facilitano la fuga dalla guerra se non dietro la richiesta di tangenti. In generale al momento non c’è un partner affidabile. C’è da rilevare come in Tunisia, dopo il 2011, si è fatto un tentativo di corridoio umanitario gestito dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati: vennero raccolti 2500 migranti in un campo in attesa di avere le carte in regola per partire, ma poi lo status venne negato loro.
Il semestre europeo a guida italiana potrebbe far cambiare le cose?
Renzi verbalmente si è speso subito in tal senso, per esempio chiedendo il mutuo riconoscimento di asili tra Stati e le modifiche al trattato Dublino III, ma in soli sei mesi non si è in grado di cambiare una politica europea fossilizzata da anni e senza una linea chiara. E pensare che i numeri dei profughi che arrivano in Europa sono tutt’altro che esagerati, soprattutto a confronto con i singoli Stati attorno all’area nordafricana e mediorientale. I siriani in fuga dalla guerra che arrivano in Italia (almeno 10mila, vedi articolo in alto a destra su quanto accade a Milano, ndr) o in Europa sono poche decine di migliaia, una minima parte rispetto ai 700mila accettati dalla Turchia o al milione entrato in Libano. E menomale che ci sono nazioni come Svezia, Norvegia, Olanda e Germania che hanno attuato politiche d’asilo che accolgono rifugiati ‘superando’ di fatto Dublino III, che obbligherebbe gli Stati membri a rimandare i profughi nel paese d’ingresso in Europa, ovvero, il più delle volte, l’Italia.
A livello italiano, oltre all’urgenza di rendere più organizzato e armonico il sistema di accoglienza, quali priorità?
Rendere più organizzato e armonico il sistema d’accoglienza, oggi gestito con circolari governative che tamponano l’emergenza non risolvendola affatto. Vanno inoltre gestite meglio le ingenti somme spese per la seconda accoglienza, spesso in mano a grandi centri spesso al collasso come Mineo, che contiene 6mila persone e oggi ci costa 97 milioni all’anno, quasi come Mare nostrum, oppure ad alberghi e ristoranti, sicuramente non esperti in materia di accoglienza. Ma quello che conta oggi più che mai, a livello mediatico, è una comunicazione corretta. Rivolgo quest’appello alle istituzioni prima ancora che ai giornalisti. L’informazione governativa deve far prevalere i fatti ai pregiudizi, essendo chiara, facendo capire quello che fa ma anche i problemi, e spazzando via le strumentalizzazioni, prima fra tutte quelle legate ai ‘soldi dati ai migranti’, una vera falsità dato che il 95 per cento dei fondi stanziati finiscono alle strutture in cui vengono ospitati temporaneamente. Bisogna che la gente, quando vede in televisione le proteste dei migranti, sappia le motivazioni, così da scongiurare casi di xenofobia che si sono verificati in varie parti d’Italia, con cittadini in strada contro gli stranieri.
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