Donne che fanno la differenza
Vanna Barca, la manager con la passione per le persone
Dopo una lunga carriera nel profit, Vanna Barca ha scelto il non profit: da vent'anni dirige la Fondazione Bellore, che nel varesotto gestisce due rsa e alcuni servizi diurni per la disabilità. «Giro tantissimo, il mio ufficio è sempre aperto, i problemi degli ospiti e dei familiari vanno intercettati prima che diventino grandi. Noi donne? Dobbiamo smettere di pensare che il mondo ce l'abbia con noi»

Una sfida tra passione e carriera, guidata dal desiderio di trovare un equilibrio tra professionalità e valori. Si può riassumere così la vita di Vanna Barca, da più di vent’anni direttrice generale della Fondazione Bellore. Questa realtà gestisce nel varesotto due residenze sanitarie per anziani, un centro diurno integrato e il centro per l’autismo terraLUNA, che accompagna le famiglie dalla primissima infanzia dei loro figli all’età adulta con particolare attenzione all’inserimento lavorativo e allo sviluppo delle autonomie anche in ambito abitativo.
«Fin dall’inizio della mia carriera professionale ho avuto la fortuna di fare sempre il lavoro che mi piace», spiega Barca, che dopo la laurea in Scienze politiche con indirizzo economico ha intrapreso una formazione nel mondo del privato. «La mia vera evoluzione è iniziata quando ho avuto l’opportunità di frequentare la Scuola Eni – Enrico Mattei» prosegue la direttrice, «un’occasione unica per il mio futuro. Lì ho incontrato persone provenienti da ogni angolo del globo: dal Giappone, dal Sudamerica, dal Nordafrica, da paesi dell’Est. Un’occasione rara di confronto che ha arricchito non solo la mia preparazione professionale, ma anche la mia visione della vita. In quel contesto ho incontrato anche mio marito».

All’epoca lui insegnava all’Università di Praga. Erano anni difficili per gli spostamenti, dato che il muro di Berlino era ancora in piedi. «È stato un periodo impegnativo», spiega Barca, «ma queste difficoltà ci hanno reso ancora più forti. Personalmente, credo che nella vita sia necessario scegliere la strada difficile, non quella facile, perché è proprio la strada più impegnativa che ti prepara ad affrontare qualsiasi cosa ti accada».
Credo che nella vita sia necessario scegliere la strada difficile, perché proprio la strada più impegnativa ti prepara ad affrontare qualsiasi cosa ti accada
Gli anni Ottanta, dunque, sono stati cruciali per la crescita, sia personale che professionale, di Vanna Barca che grazie al confronto con realtà culturali diverse ha sviluppato una visione più aperta del mondo. Negli anni successivi, ha lavorato in diverse aziende tra Roma, Milano e Ascoli Piceno, occupandosi di tematiche gestionali, di qualità e di software. Sfide diverse fra loro, che le hanno permesso di consolidare ulteriormente il suo percorso professionale.
Il passaggio al non profit: una scelta di valori
«Con il tempo, però, ho iniziato a rendermi conto che la carriera nel settore privato non mi dava più soddisfazione», continua, «ho compreso che i veri valori della vita non sono solo il guadagno e il successo. Sentivo il bisogno di fare qualcosa di più significativo, qualcosa che avesse un impatto vero sulle persone. Così è avvenuto il passaggio al non profit. Non è stato un cambiamento facile, ma l’ho voluto, perché volevo sentirmi utile, volevo lavorare per un bene più grande, più vicino al prendersi cura dell’altro. Nel non profit, ho trovato una nuova dimensione di me stessa, ma non senza portare con me la visione imprenditoriale che avevo acquisito nell’ambiente lavorativo del profit».
Sentivo il bisogno di fare qualcosa che avesse un impatto sulla vita delle persone: così è avvenuto il passaggio al non profit. Ho trovato una nuova dimensione di me stessa
Vanna Barca, direttrice generale Fondazione Bellore
Dopo circa vent’anni di lavoro in aziende private, negli anni in cui si parlava della trasformazione degli Ipab, Vanna Barca inizia il suo lavoro nel Terzo settore grazie a un percorso formativo organizzato da Fondazione Sodalitas, nata nel 1995 su iniziativa di Assolombarda e diventata ben presto la prima organizzazione in Italia a promuovere la sostenibilità d’impresa.

«Lavorare con le persone più fragili, con chi ha bisogno di aiuto, ha dato un nuovo significato al mio cammino professionale», spiega la direttrice generale della Fondazione, «non è più solo questione di carriera, di affermazione professionale. Ora, la mia soddisfazione sta nel mettere me stessa al servizio degli altri, nel sentirmi parte di un sistema che dà valore alla vita di chi spesso viene dimenticato. Qui la passione non è solo per il lavoro, ma è soprattutto per le persone».
Nel non profit, la passione non è solo per il lavoro ma soprattutto per le persone
Vanna Barca, direttrice generale Fondazione Bellore
E aggiunge: «Credo che, come donne, siamo particolarmente capaci di comprendere i bisogni delle persone. Abbiamo una sensibilità speciale, una capacità di accudimento che ci permette di entrare in sintonia con le persone, di coglierne i segnali più sottili. Siamo in grado di mettere insieme la nostra forza e la nostra empatia per affrontare le sfide quotidiane, senza mai perdere di vista l’umano».
L’approccio femminile al lavoro tra sensibilità
Se le si chiede che cosa il suo essere donna abbia aggiunto al suo lavoro, Vanna Barca non ha dubbi: «Noi donne abbiamo una capacità straordinaria: quella di avere una visione ampia, una sensibilità unica che ci permette di comprendere i bisogni degli altri e, soprattutto, di saper gestire i tempi di lavoro in modo che rispondano a questi bisogni. Lavorare per la fragilità significa, infatti, anche non pensare solo alla propria carriera o al guadagno. È una scelta che comporta sacrifici, anche economici. Eppure questo non mi è mai pesato, perché ho imparato che la qualità della vita deve venire prima di tutto, a un certo punto del nostro cammino personale».
Fa una pausa, riflette e prosegue: «Credo che noi donne abbiamo anche una straordinaria capacità di creare reti. Certo, per farlo dobbiamo uscire dalla logica competitiva. Personalmente, non mi pongo mai in una logica di competizione, credo che siamo in grado di trovare il nostro spazio senza bisogno di sgomitare. Dobbiamo credere di più in noi stesse, avere più autostima e smettere di pensare che il mondo sia contro di noi. Se riusciamo a fare squadra tra noi, possiamo raggiungere risultati straordinari».

Non mancano, ovviamente, le collaborazioni con i colleghi uomini, perché come spiega Barca: «il mio obiettivo è il raggiungimento degli scopi comuni. Certo, non possiamo negare che viviamo in una società ancora maschilista, ma è anche vero che molte volte noi donne tendiamo a metterci da parte, a non far valere i nostri diritti. Ma dobbiamo imparare a farlo, senza entrare in conflitto con gli uomini. Lo so, è complicato, ma è necessario farlo».
Noi donne dobbiamo smettere di metterci da parte, avere più autostima e smettere di pensare che il mondo ce l’abbia con noi
Vanna Barca, direttrice generale Fondazione Bellore
Il non profit come seconda famiglia
La vita professionale di Vanna Barca è fatta di incontri, di conversazioni con i parenti degli ospiti delle residenze, di dialogo con il personale. Infatti spiega: «Non mi rinchiudo nel mio ufficio, cerco sempre di essere presente, di fare il giro delle strutture, di vedere con i miei occhi ogni aspetto, anche il più piccolo. Faccio attenzione a ogni dettaglio, cerco di capire se il nostro anziano è a suo agio, se la famiglia ha qualche preoccupazione. Anticipare i problemi prima che diventino grandi è essenziale e, per farlo, ci vuole una sensibilità particolare, una sensibilità che noi donne possediamo più degli uomini».
Nel non profit, Vanna Barca ha trovato la sua seconda famiglia. «Sono andata via dalla Sardegna tanto tempo fa, e nonostante i rapporti con la mia famiglia d’origine siano ancora forti, ho legami intensi anche qui, con le persone che sono dentro questa Fondazione». Conclude Barca: «Si dice che bisogna separare la vita privata da quella professionale, ma in questo ambito è difficile. Le persone con cui lavori condividono anche la tua vita personale, e questo crea legami forti, quasi familiari, anche se abbiamo scelto di darci sempre del “lei”. So che molti potrebbero non essere d’accordo, ma questa separazione ci aiuta a mantenere quel giusto rispetto tra di noi, quella distanza che ci permette di lavorare con armonia».
Nella foto di apertura la direttrice generale Vanna Barca con gli ospiti della Rsa (foto: Fondazione Bellore)
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