Famiglia

Van Gogh e Gauguin, amici per 63 giorni

Nel 1888, i due fecero vita comune ad Arles. Per combattere la povertà e cullare un sogno. Una mostra prima a Chicago e ora ad Amsterdam esplora tutti i segreti di quel sodalizio culturale

di Giuseppe Frangi

Il treno che arrivò ad Arles il 23 ottobre 1888 alle 5 del mattino, portava con sé un grande sogno. Arrivava dal nord della Francia e aveva impiegato due giorni a percorrere i 1.100 chilometri che separavano Pont Aven, nel cuore della Bretagna, dalla cittadina provenzale. Quando scese, Paul Gauguin, data l?ora, non trovò Vincent Van Gogh ad aspettarlo. Si rifugiò nel bar di madame Ginoux, vicino alla stazione, aperto 24 ore su 24. La padrona non fece fatica a riconoscerlo: poche settimane prima, annunciando il suo tanto sospirato arrivo, Gauguin aveva mandato un suo autoritratto a Van Gogh. Ed è probabile che Van Gogh, per la felicità della notizia, lo avesse fatto vedere a tutti quelli che quotidianamente frequentava. Era molto, molto agitato il povero grande pittore olandese. Da mesi lavorava a quell?idea, di avere un amico con cui costituire una comunità di monaci dell’arte, con il quale lavorare duro, discutere, confrontarsi, che rendesse meno aspra la solitudine e la povertà. Pur nell?agitazione del suo stato d?animo, aveva preparato tutto nei dettagli. Aveva trovato una casa, ad Arles, a place Lamartine con due camere (in quella di Gauguin, per rallegrarla, aveva appeso due quadri con i Girasoli, dipinti appositamente) e spazio per un atelier, allestito con tanto di illuminazione a gas per lavorare anche a tarda sera; aveva allestito anche una piccola cucina, per risparmiare sulle spese di trattoria. Aveva anche dipinto quella casa gialla, in modo che Gauguin e il fratello Theo (vero finanziatore di tutta l?operazione) si convincessero dell?assennatezza dell?idea. Poi restò in attesa, in ansiosa attesa, che Gauguin sciogliesse la sua riserva. Esitava infatti, perché si sentiva probabilmente preoccupato davanti all?inquietudine di Van Gogh. Ne era quasi spaventato o respinto. Ma quando Theo Van Gogh, che di mestiere faceva il mercante, gli vendette a buoni prezzi una serie di tele, Gauguin capì che non aveva più spazio per rinunciare a quell?invito pressante. E il 21 ottobre 1988 lasciò il suo paradiso bretone per quella meta piena di incognite nel sud della Francia. A questa amicizia travolgente e tempestosa, è dedicata una mostra straordinaria, che approderà ad Amsterdam il 9 febbraio dopo essere stata per tre mesi all?Art Institute di Chicago. Una mostra eccezionale, per tanti motivi. Primo, perché raccoglie la serie impressionante di capolavori che i due produssero in quei 63 giorni di vita comune. Secondo, perché scava con dettaglio su un sodalizio che fu artistico ma anche umano, permettendo di controllare il dare-avere tra l?uno e l?altro. Terzo, perché apre uno squarcio realistico su un rapporto che oggi è un capitolo fondamentale della storia dell?arte e della cultura, ma che allora si consumò nella più completa emarginazione. Vincent e Paul si erano conosciuti a Parigi un anno prima. L?olandese era timido, aveva un temperamento drammatico; il francese invece aveva più dimestichezza con il mondo. Cinque anni li dividevano: Van Gogh era nato nel 1853, Gauguin nell?anno rivoluzionario, il 1848. Vincent era sempre a ruota del fratello, mercante come detto; era lui che lo portava negli atelier degli artisti più all?avanguardia di quegli anni. Gauguin invece ci sapeva fare, aveva trovato uno studio subaffittandolo da un altro collega e si era lasciato andare anche a qualche litigata con Paul Signac, un pittore allora al centro della società artistica parigina. A inizio 1888 ambedue partirono, alla ricerca di un ambiente più consono alla loro vena artistica. Van Gogh si diresse a sud, ad Arles, dove arrivò il 21 febbraio, accolto dallo spettacolo della neve. Gauguin, invece, andò in Bretagna a cercare segni di una società mitica e primitiva. La separazione durò sino a quel fatidico 23 ottobre. Poi, per la comune povertà e per quel minimo di azzardo presente in tutte le grandi cose della vita, i due si trovarono insieme. Non persero tempo. Grazie alle loro lettere e ai rimandi presenti nei quadri, si può ricostruire la loro attività giorno per giorno. Uscivano se il tempo lo permetteva, lavoravano in studio sugli stessi soggetti che si prestavano (ad esempio la stessa madame Ginoux del bar) se il tempo era inclemente. E poi discutevano all’infinito sulle rispettive idee di arte e di pittura. Qui, tra i due si scavò, poco alla volta un solco. Il dolce, spaurito van Gogh, era intransigente, determinato sulle sue concezioni. Si definiva un realista, ma non ammetteva che l?arte potesse partire da altro che dall?osservazione o contemplazione della realtà. Gauguin ribatte scrivendo a Theo che «non si deve dipingere solo ciò che si vede, ma anche ciò che si immagina e che si pensa». Van Gogh gli risponde dicendo che si dipinge con gli occhi, non con la mente. I disaccordi crescono, le discussioni avvengono spesso a squarciagola e sfociano in litigate furiose. Ma la convivenza continua. Gauguin prende le redini della cucina (perché, scrive, quella dell?olandese è troppo pesante). Van Gogh accetta le prove della convivenza, che del resto lui stesso aveva tanto cercato. Lavorano senza soste. Il 18 dicembre il tempo è brutto e decidono di lavorare nello studio. Van Gogh dipinge il suo terzo vaso di Girasoli, Gauguin lo ritrae mentre lavora al cavalletto. Quando Vincent vede quel lavoro commenta: «Sembra io diventato pazzo». Un piccolo episodio che però incrina per sempre il rapporto tra loro due. Qualche giorno dopo, al bar, durante la solita discussione Van Gogh getta il bicchiere pieno addosso all?amico. Che se ne esce e scrive a Theo: «Io e Vincent non possiamo più vivere insieme. Troppa incompatibilità di umore. Invece abbiamo bisogno di tranquillità per lavorare. Rientro a Parigi». La sera del 23 dicembre (ma la versione che ci resta è solo quella di Gauguin) per strada Van Gogh va incontro all?amico con un rasoio in mano. Si guardano negli occhi, poi Vincent rientra a casa. Gauguin, invece, va a dormire in albergo. Al mattino la casa gialla è circondata dalla polizia. Van Gogh si era tagliato un lobo dell?orecchio destro e lo aveva portato, incartato a Rachel, una prostituta. Era stata lei ad avvertire la gendarmeria. Gauguin prima fa ricoverare l?amico, poi telegrafa a Theo, comunicandogli che avrebbe preso il primo treno per la capitale. Il sogno della comunità di artisti vagheggiata da Van Gogh si era dissolto, nel rancore e nel sangue. Ciascuno avrebbe intrapreso la sua strada. Gauguin cercando il paradiso nel cuore del Pacifico, Van Gogh precipitando nell?inferno della sua follia, sino a quel colpo di pistola che due anni dopo avrebbe messo fine alla sua vita. Ma vista oggi, la sua luce abbaglia ben più di quella di quel suo provvisorio compagno di cammino.


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