Non profit

Valutazione d’impatto sociale: innovazione o ritorno al passato?

Metodi qualitativi e quantitativi, per misurare gli impatti di un processo sociale nel medio e lungo termine. Quello sulla valutazione d'impatto sociale è un decreto rivoluzionario, che per l'economista Maria Vella con i suoi principi riconduce al sistema dei valori connaturato al Terzo Settore

di Maria Vella

Le “Linee guida per la realizzazione dei sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli Enti del Terzo Settore” (Titolo V capitolo Terzo Settore), sono state finalmente pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 12.9.2019. Sulla base delle indicazioni ministeriali sarà adesso possibile conoscere e valutare il raggiungimento degli obiettivi programmati e l’impatto sociale realizzato dai soggetti interessati al Terzo settore (profit e non profit) e con le parole del Servizio Studi del Senato (Atto del Governo 417 sul Codice del Terzo Settore), sarà possibile «la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all'obiettivo individuato» (forse sarebbe stato meglio “dei benefici economico-sociali sugli stakholders di influenza”). La valutazione di impatto si affianca ai bilanci sociali e agli altri strumenti di rendicontazione volti a rendere sempre più nitido l’operato degli ETS nei confronti di cittadini e stakeholders.

Sul “cosa” giuridicamente si intenda per VIS (Art. 7 comma 3 del Codice 217/2017), la norma espressamente cita: «definire criteri e metodologie condivisi secondo i quali gli enti di Terzo Settore possono condurre valutazioni di impatto sociale, che consentano di valutare, sulla base di dati oggettivi e verificabili, i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati e rendere disponibili agli stakeholders informazioni sistematiche sugli effetti delle attività realizzate (responsabilità sociale di impresa, in breve e in base ai criteri UE)».

Attenzione: «Le valutazioni saranno realizzate con metodi qualitativi e quantitativi e potranno prevedere un sistema di indici e indicatori di impatto, da mettere in relazione con quanto eventualmente rendicontato nel bilancio sociale. Pertanto, le presenti linee guida sull’impatto sociale sono da intendersi come uno strumento sperimentale di valutazione finalizzato a generare un processo (sociale) concettuale e al contempo misurabile nel medio e lungo termine».

L’intenzione dichiarata che ci lascia intuire l’indirizzo delle Linee guida (Art. 4, L 106) è quella di «valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale e individuare criteri e modalità per l'affidamento agli enti dei servizi d'interesse generale, improntati al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione e nel rispetto della disciplina europea e nazionale in materia di affidamento dei servizi di interesse generale, nonché criteri e modalità per la verifica dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni».

Concretamente, il compito predominante delle Linee guida sarà quello di uniformare e quindi rendere applicabili da parte di tutti gli ETS la moltitudine degli strumenti e delle metodologie esistenti per la misurazione dell’impatto sociale (aggiungerei singolari, unici per ciascun ETS perché ogni territorio ha le su peculiarità territoriali, ambientali, umane, culturali, sociali, economiche e tecnologiche). Le strategie aziendali dovranno quindi essere improntate su metodi statistici quali-quantitativi basati su indagini campionarie e banche-dati) per ciascun ETS, o meglio per le start-up, le imprese sociali, il volontariato, ecc. A questo proposito, infatti, il prof. Zamagni suggerisce di rafforzare le basi puntando sulla più grande dimensione, intensificando le partnership con le amministrazioni locali, regionali, nazionali ed europee ed i rapporti ai diversi livelli, partendo da una strategia bottom up, che figuratamente ricorda una rete, come i distretti industriali che sin dagli anni Settanta hanno trovato in Italia le condizioni ideali per svilupparsi ed espandersi contemporaneamente alle prime avvisaglie della crisi delle grandi imprese (come il distretto cooperativo basco di Mondragon).

Esaminiamo nello specifico le novità ed i contenuti di questo rivoluzionario decreto. Anzitutto, l’assenza della metodologia per la VIS è già chiara nella definizione, che impone di valutare l’impatto economico-sociale dell’offerta della qualità e della quantità del prodotto e servizio, ricadute verificabili nel breve periodo e, soprattutto nel medio-lungo termine. In altri termini, conseguenze e cambiamenti profusi sul territorio e sulla comunità di riferimento, quindi, sul parterre degli stakeholder che rientrano in questa dicitura.

Nel contesto attuale e alla luce dei recenti strumenti della finanza sociale, la VIS quindi assume importanza prioritaria per i privati (donatori ed investitori, profit e non profit) e per le amministrazioni pubbliche che hanno deciso di orientare le proprie scelte verso progetti a maggiore potenzialità di cambiamento sociale. La misurazione della VIS si pone, infatti, come requisito indispensabile per lo sviluppo della finanza di impatto, dove il valore sociale generato assume rilevanza prioritaria per un investitore, nazionale ed ancor più europeo.

Vi è poi un esplicito rimando agli obiettivi dell’attività degli ETS, che vanno a determinare le variabili che dovranno essere oggetto della valutazione: il bene comune, l’innalzamento dei livelli di cittadinanza, la coesione e la protezione sociale, la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, valorizzandone il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa.

In altri termini sarà adesso necessario per gli ETS rendicontare le proprie attività, facendo riferimento

  • all’economicità della gestione (per il quale abbiamo un esercito di volontariato che potrebbero abbattere i costi del lavoro);
  • all’efficienza-efficacia (della strategia adottata);
  • alla trasparenza dell’attività svolta e della rendicontazione sociale (etica);
  • alla partecipazione ed equità (democrazia).

Principi che, istintivamente, riconducono al sistema dei valori connaturato al Terzo Settore.


*Maria Vella è docente in Economia e gestione del Terzo settore all’Università di Siena, ideatrice e direttore scientifico di LET’S GO UNISI.IT

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