Welfare

Valgono 4 miliardi di Pil

presentato questa mattina a Roma il Dossier statistico 2008 Caritas/Migrantes

di Daniele Biella

“Lungo le strade del futuro”. Questo il titolo del XVIII Rapporto sull’immigrazione, meglio conosciuto come Dossier statistico 2008 Caritas/Migrantes, redatto annualmente dai due enti solidaristici italiani e presentato oggi a Roma. Un titolo significativo, che preannuncia quello che sarà il nodo centrale del Dossier: la presa di coscienza che “il futuro dell’Italia non è realisticamente immaginabile senza immigrati”, grande risorsa culturale da una parte ed enorme forza lavoro dall’altra, che già oggi contribuisce al Pil italiano per quasi quattro miliardi di euro all’anno: quattro volte tanto il miliardo che lo Stato spende in servizi diretti (dedicati al loro inserimento) o indiretti (rivolti a tutta la cittadinanza) per i servizi agli stranieri. Ecco alcuni degli estratti più significativi, divisi per tema, del Dossier 2008, del quale si parla anche sul numero di Vita in edicola da venerdì 31 con le indicazioni in merito di Franco Pittau, coordinatore della pubblicazione.

Il numero degli immigrati
Caritas e Migrantes accreditano un numero di immigrati regolarmente presenti (considerando anche chi è arrivato più di recente e non ha ancora acquisito la residenza, per la quale si richiede spesso più di un anno) che oscilla tra i 3.800.000 e i 4.000.000, su una popolazione complessiva di 59.619.290 persone. L’incidenza è del 6,7%, leggermente al di sopra della media UE, che è stata del 6,0% nel 2006.
La prima collettività, raddoppiata in due anni, è quella romena (625.000 residenti e, secondo la stima del Dossier, quasi 1 milione di presenze regolari), seguita da quella albanese (402.000) e marocchina (366.000); un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150 mila unità si collocano, rispettivamente, le collettività cinese e ucraina. A guadagnare anche in termini percentuali sono stati gli europei (52,0%), mentre gli africani mantengono le posizioni raggiunte (23,2%) e gli asiatici (16,1%) e gli americani (8,6%) perdono almeno un punto percentuale.

La dimensione strutturale e i flussi nell’ultimo triennio
Tutte le fonti statistiche attestano:
• la ragguardevole presenza complessiva dei cittadini stranieri;
• il forte aumento annuale;
• l’incidenza delle donne, diventata ormai paritaria a quella maschile;
• la maggiore forza d’attrazione delle regioni del Centro-Nord;
• la crescente presenza anche nel Meridione;
• il persistente fabbisogno di manodopera aggiuntiva;
• la crescente tendenza alla stabilizzazione;
• il carattere sempre più familiare dell’insediamento;
• il peso crescente dei minori e delle seconde generazioni;
• la pluralità dei paesi di origine e delle tradizioni culturali e religiose.
Tutto lascia intendere che gli immigrati resteranno stabilmente in Italia e saranno sempre più numerosi: per questi motivi si attribuisce all’immigrazione una dimensione strutturale. Nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1 milione e 500.000 domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie italiane: 251.000 nel 2005, 520.000 nel 2006 e 741.000 nel 2007, con una incidenza, rispetto alla popolazione straniera già residente, prima del 10%, poi del 20% e nel 2007 del 25% (ma addirittura del 33% rispetto ai lavoratori stranieri già occupati). I flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia, paragonabili – se non superiori – al consistente esodo verso l’estero degli italiani nel secondo dopoguerra. Gli immigrati sono una popolazione giovane: l’80% ha meno di 45 anni, mentre sono molto pochi quelli che hanno superato i 55 anni. Inoltre, il tasso di fecondità delle donne straniere è in grado di assicurare il ricambio della popolazione (2,51 figli per donna), a differenza di quanto avviene tra le italiane (1,26 figli in media). A regolamentare i flussi in entrata non potranno essere i Centri di identificazione e di espulsione e gli interventi repressivi, ma si richiede il supporto di interventi più organici.

Crescente simbiosi con gli italiani
Tra gli italiani e gli immigrati la connessione sta diventando sempre più stretta, gli uni non possono andare avanti senza gli altri, sebbene accanto a innegabili vantaggi si
pongano anche problemi da superare.
Conviene soffermarsi su tre aspetti:
1. Sempre più immigrati sono interessati ad acquisire il permesso di soggiorno per lungo-residenti (la ex “carta di soggiorno”). In questo contesto sorprende non poco che molti inizino da regolari la loro storia migratoria e finiscano nella irregolarità, per la complessità e la contraddittorietà di alcuni aspetti della normativa.
2. Gli immigrati non solo vivono vicino a noi, ma instaurano rapporti di vera e propria condivisione. Nel 2006, un matrimonio ogni 10 ha coinvolto un partner italiano e uno straniero (24.020 su un totale di 245.992 matrimoni), quota più che doppia rispetto ai matrimoni con entrambi i coniugi stranieri (10.376). In nove regioni del Nord l’incidenza dei matrimoni misti arriva addirittura al 25% del totale.
3. L’acquisizione della cittadinanza italiana indica anche un apprezzamento per il nostro paese. Nel 2007 sono stati 38.466 i casi di acquisizione di cittadinanza, circa il doppio rispetto a tre anni fa. Il livello è però ancora molto basso se confrontato con i 700 mila casi di cittadinanza registrati in Europa.

Un contributo lavorativo indispensabile e necessario anche nel futuro
Almeno 1,5 milioni di persone dtraniere lavora oggi regolarmente In italia, con un’incidenza sul totale che supera il 10% degli occupati in diversi comparti. La massima concentrazione di lavoratori immigrati, pari ai due terzi del totale, si rileva nel Nord. A Brescia è nato all’estero 1 lavoratore ogni 5 occupati; a Mantova, Lodi e Bergamo 1 su 6; a Milano 1 su 7; sempre a Brescia è nato all’estero 1 assunto ogni 3 e a Milano 1 ogni 4, mentre in tutta la Lombardia i nuovi assunti quasi per la metà (45,6%) sono nati all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000 erano 20.000 le aziende che ricorrevano ai lavoratori stranieri, mentre ora sono 40.000. Nel Lazio vi è solo un decimo di questi lavoratori, ma sono tanti quanti nell’intero Mezzogiorno, dove in alcuni settori come l’agricoltura, l’edilizia e l’assistenza alle famiglie il loro apporto è divenuto parimenti indispensabile. Il loro tasso di attività è mediamente del 73,2% (dell’88% per i soli maschi), e quindi ben 12 punti in più rispetto agli italiani, mentre il loro tasso di disoccupazione è due punti più alto (8,3% in media e 12,7% per le donne), ma con valori tre volte più elevati per alcune collettività come quella marocchina. Le tipologie di inserimento evidenziano le diverse caratteristiche del territorio: nel Nord prevalgono il lavoro in azienda e il lavoro autonomo, nel Centro il lavoro autonomo e il lavoro in famiglia e nel Sud il lavoro in famiglia e il lavoro agricolo.

Aumento degli imprenditori immigrati
Gli immigrati occupano i posti di lavoro loro offerti e in misura crescente ne creano per proprio conto, specialmente dopo aver superato la difficile fase del primo inserimento. Il lavoro autonomo, soprattutto artigiano, coinvolge più di un decimo della popolazione adulta straniera, con 165.114 titolari d’impresa, 52.715 soci e 85.990 altre figure societarie: è intervenuto un aumento di un sesto rispetto a maggio
2007, con una dinamicità ben più accentuata rispetto a quella riscontrabile tra le aziende a titolarità italiana. L’85% delle aziende con titolari immigrati è stato costituito dal 2000 in poi. Le collettività con più imprenditori (oltre 20.000) sono la marocchina, la romena (in forte crescita) e la cinese, mentre l’albanese segue con 17.000 titolari. Si riscontra attualmente una notevole concentrazione settoriale: su 10 imprese 4 lavorano in edilizia, settore diffuso in tutta Italia, e quasi 4 nel settore commerciale. Se il tasso di imprenditorialità degli immigrati fosse pari a quello degli italiani, le imprese raddoppierebbero, superando le 300.000 unità, con conseguenti benefici in termini di produzione di ricchezza e creazione di posti di lavoro.

Creatori di ricchezza e non assistiti
Anche se il reddito medio netto da lavoro non è elevato (sui 900 euro), circa i due terzi degli intervistati si ritengono soddisfatti dell’inserimento occupazionale realizzato. Il loro inquadramento come una massa di assistiti non trova riscontro nei risultati dell’indagine e neppure nelle statistiche ufficiali. Secondo i dati Istat (2005), per interventi diretti rivolti specificamente agli immigrati sono stati spesi dai comuni 136,7 milioni di euro, il 2,4% della loro spesa sociale, pari a 53,9 euro pro capite. Tenendo conto che gli immigrati sono anche beneficiari dei servizi rivolti alla generalità della popolazione, le somme utilizzate a loro beneficio potrebbero salire al massimo a 1 miliardo di euro e sarebbero abbondantemente coperte dalle entrate che essi garantiscono. Una stima del Dossier ha evidenziato che il gettito fiscale assicurato dagli immigrati nel 2007 è stato di 3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 miliardi per i soli versamenti Irpef e le restanti somme per diverse altre voci (addizionale Irpef regionale, Ici, Imposte catastali e ipotecarie), tra le quali le più consistenti sono quelle per imposta di registro (137,5 milioni) e imposta sostitutiva del reddito d’impresa (254,5 milioni di euro).

Scuola e università
Nel 2007 sono nati 64.000 bambini da entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che vengono per ricongiungimento, emerge che la popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità l’anno. I minori stranieri residenti sono 767.060, dei quali ben 457.345 di seconda generazione, ovvero nati in Italia e quindi stranieri solo giuridicamente. Gli studenti figli di immigrati aumentano al ritmo di 70.000 unità l’anno e hanno sfiorato le 600.000 unità nell’anno scolastico 2007-2008 (574.133), con un’incidenza media del 6,4% (ma del 10% e più in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria) e una maggiore concentrazione nelle scuole elementari e medie. Sono poco meno di 100 mila gli studenti romeni (92.734), albanesi (85.195) e marocchini (76.217), quasi 30.000 i cinesi, 20.000 gli ecuadoregni, 15.000 i tunisini, i serbi e i montenegrini. Non sono pochi i problemi che si presentano in un sistema scolastico scarsamente dotato di mezzi per favorirne un inserimento adeguato, specialmente quando il trasferimento dall’estero avviene nel corso dell’anno scolastico. Secondo fonti ministeriali, il 42,5% degli alunni stranieri non è in regola con gli studi, con ritardi scolastici particolarmente accentuati nella scuola secondaria superiore, dove il 19% degli iscritti stranieri ha più di 18 anni. Un altro serio problema è l’eccessiva canalizzazione di questi ragazzi verso il ramo tecnico-professionale.

Le lingue e le culture degli immigrati
Le lingue madri, che solitamente non sono di ostacolo all’apprendimento dell’italiano, sono indispensabili per sostenere l’identità culturale maturata nei paesi d’origine e la vita delle diverse collettività. L’ong Cospe ha registrato 146 testate “in lingua” di immigrati attive ad aprile 2007, per i due terzi costituite negli ultimi 5 anni: 63 giornali (per lo più mensili), 59 trasmissioni radiofoniche, 24 programmi televisivi (in prevalenza settimanali) con intervento anche di grandi gruppi come “Metropoli” del giornale “La Repubblica” e “Stranieri in Italia”. Lavorano nel settore 800 operatori di cui 550 di origine straniera.

Il problema della criminalità
Le denunce presentate contro cittadini stranieri da 89.390 nel 2001 sono diventate 130.458 nel 2005, su un totale di 550.990 (ultimo dato Istat disponibile). L’aumento complessivo delle denunce nel quinquennio è stato del 45,9% e nello stesso periodo l’incidenza della criminalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera regolare è raddoppiata (da 1.334.889 a 2.670.514 residenti stranieri). Solitamente si afferma che gli stranieri abbiano un più alto tasso di delinquenza degli italiani, senza tenere conto che la “popolazione straniera” coinvolta nelle denunce include anche gli immigrati irregolari e le persone di passaggio, dai turisti agli uomini d’affari, non quantificabili con esattezza.

Un futuro insieme agli immigrati
La stima Istat (giugno 2008) della popolazione residente in Italia fino al 2050 ridimensiona il pericolo di “estinzione” della popolazione italiana e, nel contempo, evidenzia il crescente impatto degli stranieri, a fronte di un andamento demografico negativo, anche se le nascite non scenderanno al di sotto delle 500.000 unità. I tre scenari ipotizzati dall’Istat (basso, centrale e alto, a seconda dei parametri prescelti) contemplano, infatti, l’aumento della popolazione anziana e la diminuzione della popolazione in età da lavoro. In tutti gli scenari l’età media, dai 42,8 anni del 2007, passerà a 49 anni a metà secolo. La popolazione attiva, da 39 milioni del 2007 scenderà nel 2051 a 30,8 milioni nello scenario basso, 33,4 milioni nello scenario medio e 35,8 nello scenario alto. Le persone con 65 anni e oltre, rispetto agli attuali 11,8 milioni, nel 2051 diventeranno 22,2 milioni nello scenario alto, 20,3 milioni nello scenario medio e 18,3 milioni nello scenario basso. I residenti, rispetto ai 59,1 milioni d’inizio 2007, aumenteranno nel 2051 con 61,6 milioni di abitanti nello scenario medio (di cui 50,9 italiani) e 67,3 milioni nello scenario alto (di cui 54,9 italiani); invece nello scenario basso si andrebbe sotto il livello attuale (55,6 milioni di cui 46,7 italiani, che diminuirebbero così di 3,5 milioni rispetto al 2007). Il futuro dell’Italia non è realisticamente immaginabile senza gli immigrati. A metà secolo gli stranieri nel paese, al netto di quelli che diventeranno cittadini italiani, saranno 8,9 milioni nello scenario basso, 10,7 milioni nello scenario medio e 12,4 milioni nello scenario alto, con un’incidenza tra il 16% e il 18% sui residenti.

Priorità dell’integrazione per Caritas e Migrantes
Il nodo centrale è la mancata percezione dell’immigrazione come fenomeno strutturale, destinato a incidere sempre più in profondità sulla società. Questo fenomeno non è regolabile unicamente sulla base delle esigenze congiunturali del mondo del lavoro, non è affrontabile con un mero atteggiamento di chiusura e non è inquadrabile unicamente nelle esigenze di ordine pubblico. È la logica dei numeri a esigere un cambiamento di mentalità e l’adozione di politiche realistiche e più aperte, superando l’avversione aprioristica verso la diversità degli immigrati (di colore, di cultura, di religione). Numerose sono le esigenze cui dare risposta: la necessità di favorire l’impiego regolare di immigrati, in particolare nel settore dell’assistenza familiare, di assecondare l’esigenza di coesione delle famiglie, di assicurare il sostegno sociale all’inserimento, all’occorrenza chiamando anche i datori di lavoro a fare la loro parte. Secondo Caritas e Migrantes sono le politiche di integrazione il vero banco di prova degli interventi governativi in questo settore.


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