Famiglia

Valdese e cooperatore, l’ascesa dell’operaio Paolo

Chi è Paolo Ferrero, il nome più nuovo nel toto nomine del governo

di Ettore Colombo

«Un comunista al Welfare!», è il grido d?allarme salito in più di un palazzo (d?Oltretevere compreso) e in più di un mondo associativo. Un comunista particolare e speciale, però, quello che probabilmente si siederà sulla poltrona di via Veneto (o meglio in un?altra via, magari un pochino più decentrata, tipo quella di via Fornivo), una volta che gli Affari sociali (inizialmente senza portafoglio, poi con) verranno separati dal Lavoro e dalla previdenza sociale in senso stretto e andranno a formare un ministero nuovo ma non piccolo, visto che comprenderà deleghe di peso: non solo anziani, associazionismo, minori, volontariato e tutte le ?politiche sociali? in senso stretto ma anche altre questioni importanti (droga e immigrazione, per esempio).

Operaio e valdese
Cerchiamo di conoscere meglio, dunque, Paolo Ferrero, classe 1960, separato dopo 23 anni di convivenza e padre di due figli, che ha come hobby il suonare (gli strumenti) e l?arrampicarsi (in montagna). Comunque vada (chiudiamo questo numero in tipografia la notte di martedì 16 maggio), è lui il nome nuovo del toto nomine. Padre operaio e madre casalinga, famiglia di tradizione valdese e, naturalmente, antifascista, della Val Germanasca (provincia di Torino), Ferrero non viene dall?aristocrazia comunista, ma dal suo popolo. E ne è un interprete particolare. Comincia a fare politica in due ?luoghi? molto particolari: Democrazia proletaria e la Federazione giovanile evangelica italiana. Da operaio della Fiat (dove entra nel 1979) mette in piedi un collettivo e, quando viene messo in cassa integrazione, organizza le ?lotte dei compagni? della zona ma mette anche in piedi una cooperativa agricolo-forestale (che vive tuttora) ed è un obiettore di coscienza ante litteram (il servizio civile, allora di sei mesi più lungo del militare, lo svolge al centro ecumenico di Agape). Insomma, fa lavoro sociale e politico di base senza soluzione di continuità perché «tra vita e fabbrica non c?era allora una linea di confine», ripete spesso.

Esponente della minoranza di sinistra della Fiom e poi segretario provinciale di Dp, è anche segretario nazionale della Federazione giovanile evangelica e quando entra in Rifondazione lo fa provenendo, appunto, da una cerchia di ?non ortodossi?. Consigliere comunale a Torino e, dal 1995, membro della segreteria nazionale, il primo mito da sfatare è che Ferrero non si sia mai occupato di welfare: se n?è occupato eccome, da responsabile di volontariato e terzo settore prima, di welfare, lavoro e terzo settore poi quando ormai è già un esponente di rilievo del partito della Rifondazione comunista, fino a ricevere l?incarico, appena eletto in Parlamento, di capodelegazione del Prc per il governo Prodi. «In un partito che era davvero statalista, molti anni fa, facevo grandi litigate per imporre certi temi», confida oggi a Vita.

«Lo conosco da più di vent?anni e il suo tipo di militanza è sempre stato critico, mai fideistico». racconta il politologo e nostro editorialista, Marco Revelli, suo amico e uno dei pochi con i quali Ferrero ha interloquito in modo proficuo quando scriveva libri che mettevano a rumore la sinistra come Oltre il Novecento, dove contrapponeva alla figura del militante quella del volontario: «Ferrero il tema della crisi della militanza, come quello della crisi del welfare, se l?è posto da tempo e pensare di lui che sia chiuso ai temi del privato sociale e del terzo settore vuol dire non conoscerlo o coltivare degli stereotipi».

In effetti, scavando nella sua biografia, viene fuori un Ferrero che non si aspetta solo chi non lo conosce: paziente, per nulla vistoso, dalla pronuncia piemontese calda e non esibita, il probabile neo ministro è uno a cui piace il ragionamento e il confronto, figlio della sua appartenenza valdese e di una sinistra libertaria. La comunità valdese ha insegnato a Ferrero soprattutto che l?appartenenza non può mai essere ?escludente?, da ?setta chiusa?. Non a caso ha sempre lavorato per una Rifondazione ?aperta?: ai movimenti, alle soggettività politiche, sociali, sindacali, alle esperienze non ortodosse. «L?appartenenza è l?elemento da cui parti per dialogare con gli altri, non l?elemento di separazione», ci dice oggi ricordando la pratica ?democratica? che Ferrero rivendica come valore forte anche dentro la politica: «Nella Chiesa valdese il percorso è sempre democratico, si decide insieme, ma questo non ti dà mai la garanzia di possedere la verità, di essere il vero interprete di Dio. Può esserlo il profeta inascoltato, l?uno che è rimasto in minoranza contro 99. La mia Chiesa, insomma, non dice mai ?Dio lo vuole!?, ma dice ?noi pensiamo così? e ci assumiamo la responsabilità (perché l?assunzione di responsabilità c?è eccome) di dire e fare queste cose. Insomma, la nostra verità è sempre parziale, mai la Pravda?».

Identico il ragionamento riguardo la politica, quella con la ?P? maiuscola che non può prescindere dalla rete pulviscolare e orizzontale delle comunità, della socialità, del non politico: «La difficoltà più grande sta nel connettere i fenomeni sociali e costruire una lettura d?insieme, ma la ricomposizione del quadro non può avvenire per volontà di un soggetto esterno e superiore alla frantumazione del reale ma dalla capacità di connettere la riflessione sulla propria esperienza con la necessità di costruire una lettura generale dei fenomeni. Insomma, dalla capacità di trovare un filo comune di ricomposizione e dialogo tra chi è contro la guerra, chi lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori, chi lavora per combattere la fame in Africa. Ecco perché l?orizzonte di una politica di trasformazione, e dunque di sinistra, non sta per me in un partito che porta la verità dall?esterno ma nella individuazione dei percorsi attraverso cui diversi soggetti che agiscono il conflitto possono riconoscersi e costruire una lettura generale e unitaria della realtà per modificarla».

Lavoro sociale
E la politica con la ?p? minuscola, invece, che ruolo ha? «La rappresentanza politica e istituzionale è ?un pezzo? della politica, non ?la? politica, non è cioè ontologicamente superiore al lavoro sociale e di base. La sua capacità deve stare nella messa in relazione di livelli diversi che hanno tutti pari dignità». A proposito di ?livelli? sociali, la famiglia cos?è per Ferrero? «Una delle forme in cui le persone vivono la vita che è in profonda trasformazione e il problema più grande sta proprio nel riuscire a discutere laicamente di queste trasformazioni, Pacs compresi. Molta gente vive da sola così come molta gente che si sposa, divorzia e vive questo come un dramma individuale, come una colpa. Dobbiamo invece riuscire a costruire una discussione, affrontare le profonde trasformazioni della famiglia, aprendoci ai suoi problemi reali». Ferrero vuole farlo con tutti, laici e cattolici. Un po? di sana capacità di ascolto e di dialogo propria dei valdesi (e della politica dal basso) non guasterà di certo.

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