Mondo

Vado alla Marcia della pace con l’Afghanistan nel cuore

Parla Livia Turco

di Livia Turco

Andrò, come tante altre volte, alla marcia Perugia-Assisi. Ci andrò con la consapevolezza che questa volta il cimento, cui è di fronte il mondo, è più grande: per fare giustizia bisogna evitare una tragedia immane. Ci andrò con la dolorosa percezione delle novità che la scena mondiale ci ha messo di fronte. L?attacco terroristico che ha colpito il cuore di Manhattan è stato un punto di svolta, perché ci ha fatto capire che nessuno è sicuro in casa propria, che il nostro benessere si basa in realtà sul rischio e sull?incertezza continua. Ci ha fatto capire che non si è sicuri solo se si è forti e potenti. La sicurezza è data anche dalla qualità del rapporto che ci lega agli altri. In fondo, questo messaggio ce lo hanno trasmesso proprio coloro che avevano sempre identificato la sicurezza con la potenza, gli Stati uniti. Dall?11 settembre c?è stata una nuova strategia Usa: la ricerca di alleanze, la consapevolezza di dover risolvere conflitti esplosivi come quello palestinese e di dover dare una risposta alle masse diseredate e povere. L?attacco militare americano contro le postazioni dei Talebani è un drammatico stato di necessità: non l?avremmo voluto, ne siamo obbligati perché unico, ultimo mezzo per colpire il terrorismo e fare giustizia. Un atto che, per la sequenza degli avvenimenti che lo hanno preceduto, è improntato alla legge e non alla vendetta. Un atto, dunque, legittimo. Di legittima difesa, come ha confermato la risoluzione dell?Onu votata la notte dell?8 ottobre. Ma per sgominare la crudeltà, il cinismo, i livelli di professionalità del terrorismo (che è un santuario della globalizzazione, per la capacità che esso dimostra di saper usare la potenza economica e tecnologica) l?attacco militare deve essere mirato e condizionato. Non deve colpire i civili e non deve deflagrare in una guerra. E allora è adesso, e non domani, che bisogna aiutare il popolo afghano; dare una terra alla Palestina; aumentare le risorse per i popoli che vivono in miseria; costruire l?Europa dei popoli; dare più poteri all?Onu perché eserciti una vera sovranità. Bisogna attivare ora, non domani, il dialogo tra Occidente e Islam. La coalizione antiterrorista deve essere una coalizione militare, politica, ma soprattutto umanitaria. Sì, la globalizzazione deve partire dal basso, come dice il documento preparatorio della marcia Perugia-Assisi. Esprimere un sì condizionato all?attacco militare, così come fa la risoluzione dell?Ulivo, significa chiedere all?Italia, all?Europa, ai Paesi dell?Alleanza atlantica, agli Usa, all?Onu, di adoperarsi subito per costruire pace e giustizia. E il dibattito parlamentare deve vincolare il governo italiano a fare la sua parte, nella politica di pace, per il riscatto dei popoli oppressi. L?Italia deve porsi alla testa della campagna umanitaria, facendo leva sull?esperienza e sul sapere dei suoi volontari e delle sue ong. Davvero c?è bisogno, soprattutto in un Paese come l?Afghanistan, di cibo, di acqua, di medicine, ma anche e soprattutto di quella azione che i volontari chiamano ?rammendo sociale?. Con l?Afghanistan nel cuore, per me, donna e femminista, significa sentire una tragedia in più e una vergogna indicibile: quella dell?oppressione delle donne di quel popolo per colpa dei Talebani, e la nostra cinica indifferenza di donne europee e dell?Occidente evoluto.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA