Welfare
Vade retro spargi dollari!
La leggendaria leader dei diritti umani in Birmania è una delle paladine del turismo responsabile in questo dialogo di qualche anno fa spiega le sue ragioni. Battagliere come sempre
La leggendaria leader dei diritti umani in Birmania è una delle paladine del turismo responsabile in questo dialogo di qualche anno fa spiega le sue ragioni. Battagliere come sempre
Aung San Suu Kyi è libera. Dopo 19 mesi di arresti domiciliari, la donna simbolo della lotta per i diritti umani in Birmania, insignita del Nobel per la pace nel 1996, può tornare alla vita pubblica. Molte le attese suscitate dalla sua liberazione. Continuerà a opporsi agli aiuti al suo Paese finché la giunta militare del Myanmar non cederà il potere? Oppure assumerà posizioni meno radicali sollecitando investimenti stranieri e aiuti che hanno sostenuto lo sviluppo di altre nazioni povere?
La prima dichiarazione resa dopo la liberazione lascia intendere che Aung non ha alcuna intenzione di smorzare i toni: «Sconsiglierò investimenti stranieri e turismo fino a che i militari non lasceranno il Paese». Il motivo? Aung lo ha spiegato nel 1997 commentando con un gruppo di giornalisti stranieri gli effetti del Visit Myanmar Year, l?anno del turismo birmano voluto dal governo. Una testimonianza di grande attualità che Tierra ha deciso di riproporre ai suoi lettori.
Giornalisti: Il turismo fa bene alla Birmania?
Aung San Suu Kyi: I visitatori stranieri che pensano di aiutare la gente locale, si illudono. Per fare turismo nel nostro Paese si possono trovare numerosi pretesti, ma non questo.
Giornalisti: Eppure l?anno scorso, per il Visit Myanmar Year, il governo ha attirato nel Paese molti investimenti stranieri e turisti. Non crede che, per effetto cascata, di questo denaro beneficeranno anche i poveri?
Suu Kyi: No, l?effetto a cascata qui è un rivoletto che si disperde prima di arrivare dove c?è bisogno. E le gocce dell?industria del turismo non ripagano la gente delle spese e dei lavori che il governo li ha obbligati a fare per rendere il Paese più rispettabile e attraente per i turisti. La gente che è stata obbligata a costruire strade e a sostituire le proprie staccionate di bambù con muri di mattoni, non riceve alcun beneficio dal turismo. E chi non ha tempo da donare per dare un bell?aspetto al Paese, deve donare denaro. Penso sia prematuro che i visitatori, l?industria turistica, arrivino e investano nella Birmania. Preferirei che ciò avvenisse quando sarà in atto un vero processo di democratizzazione del Paese.
Giornalisti: Cosa dovrebbe fare il governo perché venga sospeso questo boicottaggio internazionale al Paese e aiuti, affari e turismo possano affluire?
Suu Kyi: Dovrebbero dimostrare rispetto per la risoluzione dell?Assemblea generale dell?Onu. La risoluzione dell?Assemblea generale del 1994 dichiara quali sono i passi necessari a portare la Birmania sulla strada della democratizzazione.
Giornalisti:I turisti però ci sono già. Non siete preoccupati che si facciano un?idea sbagliata del Paese, sostenendo che la stampa è ingiusta?
Suu Kyi: Beh, se si fanno un?idea sbagliata, allora qualcuno dovrebbe metterli sulla giusta strada perché i turisti non vedono com?è veramente il Paese. Nei villaggi non ci vanno. Vanno alla pagoda a Pegu. I turisti vivono in alberghi, si spostano in taxi dotati di aria condizionata, non vedono nulla di cosa succede nel Paese. Non sanno niente della situazione della gente nelle zone rurali, che rappresentano la colonna vertebrale della Birmania. L?80 per cento della nostra popolazione vive nella campagna. Ed è sul suo benessere o meno che si decide se il Paese è in via di sviluppo o no. Noi, la Lega nazionale democratica, ribadiamo che il vero sviluppo di una nazione dipende dai propri standard della sanità e dell?educazione.
Giornalisti: Non c?è nessun lato positivo nel turismo, dunque?
Suu Kyi: Ma certo, esiste un lato positivo a tutto, basta che sia gestito nella maniera giusta. I turisti possono aprire il mondo alla gente della Birmania proprio come la gente della Birmania può aprire gli occhi ai turisti, se sono interessati ad osservare, sulla situazione nel loro Paese. Ma se la gente in Birmania vede il turista semplicemente come una fonte di soldi facili, allora non so quanto il turista sia in grado di aiutarla, a parte sparpagliando in giro qualche dollaro.
Giornalisti: È preoccupata degli effetti culturali che il turismo avrà sulla società?
Suu Kyi: Gli effetti culturali sono collegati alla situazione politica ed economica, che riguarderà ed influenzerà l?atteggiamento sociale della gente. Penso che se si vuole che un popolo preservi la propria cultura, bisogna far sentire la gente fiera di se stessa. Bisogna che la gente senta di poter tenere la testa alta nel mondo. Se le persone non hanno fiducia in se stesse, perderanno la propria cultura perché penseranno che gli altri siano migliori di loro. Se sono più poveri, se devono dipendere dagli stranieri per una piccolissima parte di qualsiasi cosa entri nel Paese, perderanno fiducia in se stesse. Se succederà, non daranno più nessun valore alla loro cultura. La ragione per cui i giovani hanno iniziato a indossare abiti stranieri è che pensano sia di moda e che questo dimostri che sono ricchi. È un segno di mancanza di fiducia in se stessi, nel loro stesso Paese e nella loro stessa cultura. Non si può preservare una cultura con un decreto. La gente deve sentire che la propria cultura ha un valore, che vale la pena conservarla.
Giornalisti: Tornando ai lavori forzati, il governo sostiene che non sta forzando la gente, che gli stranieri non comprendono questo tipo di lavoro perché è un?usanza buddista, la gente vuole lavorare perché guadagna merito.
Suu Kyi: Non ho mai sentito che, per i buddisti, chi non è disposto a lavorare debba dare denaro in cambio. Non mi sembra un?usanza molto buddista.
14 anni di lotta senza paura
Aung San Suu Kyi, liberata lo scorso 5 maggio, è il simbolo della lotta per i diritti umani e la democrazia del Myanmar, ex Birmania. Perché è la figlia di Aung Sang, il leader nazionalista che rese il Paese indipendente dalla Gran Bretagna. La sua lotta inizia nel 1988: Aung denuncia pubblicamente le violazioni dei diritti umani commessi dalla giunta. Gli studenti scendono in piazza, appoggiandola. Ma il governo reprime nel sangue la rivolta. A nulla serve che il suo partito nel 1990 vinca le elezioni e che, nel 1991, venga insignita del Nobel per la pace. Suu Kyi resta confinata in casa. Nel 1999, il marito di Aung, in fin di vita, chiede di poterla vedere un?ultima volta. Ma i militari gli negano il permesso invitando Suu Kyi a raggiungerlo in Europa. Il modo migliore per liberarsi di lei. Aung rifiuta, per paura di non poter più rientrare in Birmania. L?ultimo arresto è di 18 mesi fa. Ora la liberazione, sperando che duri.
Ma qui non ci si va
Le agenzie di viaggio non lo dicono, ma volare in Birmania vuol dire fare turismo in un Paese che viola i diritti umani. Per questo l?Unione europea e anche gli Stati Uniti le hanno imposto un embargo. Per questo l?Associazione turismo responsabile, su richiesta dell?opposizione democratica al narco regime di Rangoon, la boicotta. La scelta di fondo è semplice: volete sostenere, anche indirettamente, un regime militare che viola le libertà fondamentali dei suoi cittadini? Se la risposta è no, scegliete il turismo sostenibile. E, per il momento, boicottate anche voi la Birmania.
la propria cultura Non si preserva per decreto. Occorre che la gente possa essere fiera di se stessa
Birmania
I turisti conoscono solo i taxi ad aria condizionata. e non portano benessere
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.