Salute
Vaccini e farmaci, presentata al Parlamento europeo la proposta di un’infrastruttura europea
Presentata da Massimo Florio prevede l’innovazione biomedica come bene pubblico. Si tratta di un investimento trentennale nel segno di un nuovo ruolo della UE e della rinuncia delle imprese private alle esclusive brevettuali
di Redazione
È stato presentato ieri al Parlamento europeo la proposta di Massimo Florio di un’infrastruttura europea per i farmaci, idea che nel Rapporto “15 Proposte per la giustizia sociale” del 2019 del Forum Disuguaglianze e Diversità trovò una prima pubblica manifestazione.
Con la crisi Covid-19 la necessità di questo passo è divenuta eclatante. Infatti, i numeri parlano di un 43.2% della popolazione mondiale che al 9 dicembre non aveva ricevuto neppure una dose di vaccino, per un totale di 3,4 miliardi di persone. Se preoccupa il dato globale, in Africa l’89% della popolazione non è ancora vaccinata, mentre il Covax – il meccanismo per distribuire vaccini a basso reddito – ha ridotto da 2 miliardi a meno di 1,4 miliardi la sua previsione di disponibilità a fine 2021. E se il costo di produzione dei vaccini più efficaci (Pfizer e Moderna) si aggira intorno a 1.20 dollari a dose, in Europa vengono venduti a 20-25 dollari.
La pandemia in tutto il mondo ha accresciuto le disuguaglianze e, in queste condizioni, è difficile vederne la fine: le statistiche dicono infatti che di questo passo si genereranno innumerevoli varianti, che dovranno essere rincorse con nuovi vaccini. La privatizzazione delle conoscenze sui vaccini è insostenibile, eppure un vaccino pubblico era ed è tuttora possibile: nel mondo vi sono capacità produttiva e standard adeguati di qualità.
La proposta di un’infrastruttura europea per i farmaci, contenuta nello studio di Massimo Florio (Università Statale di Milano) su richiesta del Parlamento Europeo, va proprio in questa direzione, con un investimento per trenta anni su un ampio arco di patologie, nel segno dell’innovazione intesa come bene pubblico globale e un invito alle imprese private a collaborare come fornitori rinunciando ad esclusive brevettuali.
Lo studio, cui hanno contribuito oltre cinquanta esperti internazionali e un gruppo coordinato da Florio con l’economista Chiara Pancotti e Anthony Procházka (Università di Praga) mette in luce le criticità del sistema di ricerca e sviluppo dell'industria farmaceutica innescate dalla pandemia Covid-19, nonché le lacune nella gestione delle politiche di finanziamento pubblico per la ricerca farmaceutica. La ricerca, sollecitata dal panel STOA (Scienza e tecnologia) del Parlamento europeo, esplora l'opportunità e la fattibilità della creazione di un'infrastruttura pubblica europea volta ad affrontare i fallimenti del mercato e delle politiche nel settore farmaceutico durante l'intero ciclo di vita del farmaco. Il modello è quello del CERN o dell’Agenzia Spaziale Europea e rappresenterebbe una svolta senza precedenti nella politica della UE, che sinora si è limitata a delegare alle imprese private la ricerca sui farmaci.
La metodologia impiegata per redigere lo studio combina un’attenta valutazione della letteratura scientifica e dei dati statistici con interviste sotto vincolo di anonimato a 56 esperti provenienti da 48 diverse organizzazioni, tra ricercatori, clinici e responsabili della ricerca, rappresentanti dell'industria farmaceutica, esperti di salute pubblica e rappresentanti di istituzioni europee e organizzazioni nazionali e internazionali.
Per affrontare le criticità ben identificate nel documento, lo studio esplora un approccio basato su un intervento pubblico diretto (già sperimentato con successo per la politica spaziale), con la creazione di un'infrastruttura di R&S europea con una strategia di lungo periodo (almeno 30 anni) e con la missione principale di costruire progetti innovativi in selezionate aree farmaceutiche.
Lo studio suggerisce dunque quattro opzioni strategiche in ordine crescente di ambizione:
Opzione 1. Creazione di un'infrastruttura europea per la R&S di farmaci esclusivamente nel campo delle malattie infettive. La nuova organizzazione avrà una propria governance, un proprio budget e una capacità di ricerca (personale e laboratori) al suo interno ma opererà essenzialmente attraverso contratti di ricerca e sviluppo con terze parti, selezionati con procedure trasparenti di appalto e comproprietà di brevetti di interesse pubblico.
Opzione 2. La seconda opzione è simile alla precedente ma con una missione più ampia in quanto includerebbe la ricerca in una più vasta gamma di aree cliniche, in cui sia il settore pubblico che quello privato stanno sotto-investendo, come ad esempio le malattie rare, genetiche e alcuni tipi di cancro.
Opzione 3. La terza opzione, come la prima, riguarda la creazione di un'infrastruttura europea per la ricerca e lo sviluppo di farmaci nel campo dei vaccini e altre malattie infettive, dotata di personale scientifico e laboratori sufficienti per poter gestire la maggior parte della sua ricerca internamente. Dunque, godrebbe in genere in esclusiva dei diritti di proprietà intellettuale di eventuali scoperte. L’organizzazione gestirà altresì la produzione e lo sviluppo dei medicinali sviluppati, eventualmente stipulando accordi contrattuali con terze parti.
Opzione 4. La quarta opzione è la più ambiziosa in termini di portata e meccanismi di attuazione. È simile alla precedente ma analogamente all'opzione 2 avrebbe un'agenda più ampia, ovvero non vincolata alle malattie infettive. Questa opzione consentirebbe di creare la più importante infrastruttura pubblica di R&S per i farmaci al mondo, con una scala superiore al programma di ricerca intramurale del National Institutes of Health dal governo federale degli Stati Uniti.
Se venisse adottata dalle istituzioni europee, collocherebbe saldamente l'Europa come il primo attore globale nel campo della ricerca farmaceutica, con benefici diretti per i pazienti, i sistemi sanitari pubblici, i ricercatori, e anche con potenziali benefici per l'industria farmaceutica europea in termini di possibili partnership con l’agenzia pubblica su progetti specifici, basati su contratti trasparenti nell’interesse pubblico.
Photo by Daniel Schludi on Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.