Era nell’aria: quando si entra per davvero e diffusamente nelle RSA alcuni bubboni che riguardano molti dei loro ospiti non possono che scoppiare. O apparire nella loro pulsante evidenza incistata in quei contesti.
Al Governo, per una volta, va l’apprezzamento per aver colto, nel primo decreto legge del 2021 (il n. 1 del 5 gennaio) alcuni segnali di allarme e averci messo una toppa in emergenza.
Non è un granché, ma meglio che niente.
Sto parlando di vaccinazione e di strumenti di protezione giuridica. La dico più semplice: vaccino = consenso informato = consapevolezza, capacità di comprendere e di esprimere volontà. Gli ospiti delle RSA, quelli sopravvissuti ad una ecatombe evitabile, sono fra i primi destinatari del vaccino. Molti di loro vivono il dramma del decadimento cognitivo e della demenza. Questo è noto e assodato non da ora. Raccogliere il loro consenso informato può costituire un impedimento pratico risolvibile se vi è un tutore, un curatore, un amministratore di sostegno, un fiduciario. Però questo non sempre è possibile: quelle figure, come pure i parenti prossimi, possono non esserci, non essere state nominate o ancora non raggiungibili,. Ecco che allora il decreto legge (articolo 5, se volete verificare) delinea una procedura alternativa, un accomodamento ragionevole che ricorre ai responsabili medici della RSA o i dirigenti della ASL a seconda delle situazioni. E mantiene la figura di garanzia del giudice tutelare.
Dicevamo che è un atto di emergenza necessario perchè già emergevano comportamenti e prassi difformi fre le regioni. O peggio, assenza di protezione, sanitaria in questo caso.
Tutto bene quindi? Beh, no! Questo atto riguarda solo gli ospiti delle RSA e non gli anziani o le persone con disabilità che vivano a casa propria e che non abbiano attivato forme di tutela. Il che non è marginale.
Partono poi gli interrogativi: come mai ci sono ospiti delle RSA per i quali non è stata attivata l’amministrazione di sostegno? O altra forma di tutela? Come sono stati tutelati fino ad ora?
Supponiamo che – in questo frangente – venga indicata un figura provvisoria per la sola somministrazione del vaccino. Che accadrà successivamente per tutte le altre attività? I Tribunali interverranno? Si attiveranno le relative procedure?
Il decreto non ne fa cenno. Una volta vaccinati, torneranno nel limbo dell’indefinita incapacità naturale.
Ripetiamo la domanda: perchè ci sono ancora persone prive di tutela giuridica pur vivendo situazioni di rischio e di bisogno? Vi sono ancora molte carenze in particolare da parte del sistema della giustizia. Questo è fatto talmente noto che lo stesso ministero di Giustizia ha incardinato nell’ultimo PON (finanziamenti europei 2014-2020) il progetto degli Uffici di prossimità e ci ha messo sopra 34 milioni e avviato una sperimentazione in tre regioni. Lo slogan adottato – “la Giustizia vicino a casa” – rende l’idea degli intenti (googlate per maggiori dettagli).
Gli Uffici di prossimità dovrebbero essere attivati in collaborazione con gli enti locali e assicurare orientamento e consulenza. E uno dei temi centrali è proprio quello del supporto al cittadino per gli strumenti di tutela giuridica quali, ad esempio, l’amministrazione di sostegno.
I quattrini sono stati distribuiti, sono arrivati alle Regioni, ma le risposte e i servizi realmente avviati sono nelle macchie del solito leopardo. Quindi, giustizia vicina a “qualche” casa, non certo a tutte. Forse è il momento che Ministro Bonafede chieda conto e verifichi.
Non c’è da stupirsi allora che persistano disorientamento in molti cittadini, che vi siano evitabili conflittualità con le cancellerie dei tribunali, che vi siano esitazioni, timori. E che si rimandi, spesso sine die, l’adozione di adeguate protezioni.
Sul fondale vi sono famiglie, singoli amministratori di sostegno, associazioni di familiari, anche avvocati autenticamente volontari con grande senso civico, che tentano di svolgere al meglio quelle attività.
Poi c’è un altro mondo e anche questo viene a galla leggendo fra le righe del decreto. Anche, non solo.
Il decreto concretamente profila l’ipotesi che l’amministratore di sostegno – e le altre figure di tutela – siano irreperibili e indica come tempo massimo da dedicare alla ricerca, 48 ore (che tanto non abbiamo altro da fare…). Poi si fa in quell’altro modo di cui s’è detto sopra.
Orbene: un amministratore di sostegno ha un assistito in RSA, in esito ad una devastante pandemia, non può non sapere che è iniziata la campagna vaccinale, ma ciononostante è irreperibile.
Non la vogliamo aggiungere in decreto una segnalazione al giudice e l’obbligo di quest’ultimo verificare l’adeguatezza dell’incarico affidato? Possono esserci impedimenti validi, ma anche no.
Evidentemente il legislatore sa, quanto molti di noi, che l’irreperibilità degli amministratori di sostegno o dei tutori sarà tutt’altro che infrequente e sa anche il perchè.
Ma forse sarebbe il caso di dirlo che il Re è nudo. Che vi sono avvocati che hanno decine, in alcuni casi parecchie decine, di assistiti. E che riescano a garantire quella prossimità e quella vicinanza, quel sostegno, appunto previsto dal legislatore, mi permetto di dubitarne.
Ci sono avvocati che praticamente – porelli – non fanno nemmeno più attività forense per gestire le amministrazioni di sostegno. Va da sé con le eque indennità (è il loro nome tecnico) stabilite dal giudice o, sempre in più tribunali, tabellate a seconda della presuntiva gravosità dell'impegno e del certo patrimonio dell’assistito. E così, più elevato è il patrimonio, più si alza l’equa indennità. Indennità su cui, peraltro, non è nemmeno definitivamente certo quale debba essere il trattamento fiscale (è esente da imposta? è imponibile?).
Certo per alcune RSA è gradito contare su un amministratore irreperibile o molto occupato. A condizione che paghi regolarmente la retta.
Forse è tempo di cambiare qualcosa!
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