Le carceri della vergogna

Uta, il record terribile: due detenuti suicidi in 20 giorni

Questa mattina un giovane algerino si è tolto la vita. Salgono così a nove i decessi nelle carceri italiane in questo primo scorcio del 2025. Parlano la garante per i diritti dei detenuti, Irene Testa, e la presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, Maria Cristina Ornano

di Luigi Alfonso

Un dramma annunciato, che ancora una volta scuoterà le coscienze di pochi. Il nuovo suicidio avvenuto oggi nella Casa circondariale di Uta (Cagliari) è il secondo caso nell’arco di appena venti giorni.

Nello stesso carcere, nel 2024, erano state registrate altre tre morti. Con questo episodio, salgono a nove i decessi in Italia in questo primo scorcio del 2025. «Una vera e propria carneficina», la definisce Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria.

Testa, garante dei diritti: «Situazione insostenibile»

Un giovane di origine algerina stamane ha preferito togliersi la vita, piuttosto che misurarsi con la detenzione. «E i suicidi a Uta sarebbe stati tre se, pochi giorni fa, gli agenti della Polizia penitenziaria non fossero riusciti a intervenire in tempo per salvare un 21enne italiano», commenta Irene Testa, garante dei diritti delle persone private della libertà personale per la Sardegna.

Irene Testa , foto Roberto Monaldo / LaPresse

Una bomba a orologeria. «I detenuti che hanno gravi disagi, non assumono i farmaci perché non sono seguiti come si dovrebbe», conclude Testa. «Non sono capricci. Molte persone non dovrebbero stare dentro un carcere perché non sono in grado di superare le fasi più acute delle loro patologie. Le famiglie mi chiamano a tutte le ore, ma io non so più come fare per richiamare l’attenzione delle istituzioni. Non è un problema della sola Sardegna, bensì di tutto il Paese».

«L’ingresso in carcere è il momento peggiore, per un giovane detenuto», sottolinea Maria Cristina Ornano, presidente del tribunale di sorveglianza di Cagliari. «Soprattutto per chi non c’è mai stato, è un fatto traumatico che può spingere a gesti estremi. Anche l’uscita dal penitenziario è molto difficile, perché molte persone si chiedono: e ora, che cosa faccio? La situazione a Uta è esplosiva, e purtroppo lo stesso clima si registra anche in altre carceri. La causa principale è una: il sovraffollamento».

La presidente del Tribunale di sorveglianza: «Non faccio che ricevere telefonate dalle madri dei detenuti»

«La situazione è ormai insostenibile, ma non da oggi: lo diciamo da tempo, senza che venga preso un provvedimento. Le sezioni sono invivibili, spesso piene di detenuti che hanno gravi problemi di salute mentale. I più fragili, che andrebbero seguiti con la massima attenzione, sono lasciati da soli. E spesso, approfittano dell’assenza temporanea dei compagni di cella per togliersi la vita. Il personale penitenziario è insufficiente e i detenuti sono diventati dei numeri, mera contabilità. Non faccio altro che ricevere telefonate delle mamme di giovani detenuti tra i 20 e i 23 anni, le quali temono che i figli commettano un gesto estremo da un momento all’altro, come spesso minacciano di fare. Da anni aspettiamo un provvedimento concreto, non solo del ministro competente ma anche del Parlamento. In Aula votano alla cieca ciò che i vertici dei partici dicono di votare. Tra il 2005 e il 2006, quando si susseguirono numerose manifestazioni sulla situazione penitenziaria, ebbi modo di vedere la partecipazione delle massime istituzioni, a cominciare dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Da sinistra a destra, tantissimi politici si interessavano della questione perché capivano ciò che chiedeva la nostra Costituzione. Nel 2006, non a caso, c’è stato l’ultimo indulto. Lo ha detto anche Papa Francesco, di recente, ma il suo messaggio è stato disatteso: occorreva un coro a più voci, e le poche che ci sono state non sono provenute dal Parlamento. Se la politica non vuole dare un segno di clemenza, deve indicare, spiegare e soprattutto attuare soluzione alternative. Di recente, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto che una soluzione passa per le comunità terapeutiche, ma il numero è assolutamente insufficiente, soprattutto quelle per le doppie diagnosi: non ci sono le risorse finanziarie».

Maria Cristina Ornano – presidente Tribunale di Sorveglianza di Cagliari

I dati ufficiali del ministero di Giustizia parlano da soli. In Italia, al 31 dicembre 2024, si contavano 61.861 detenuti (il dato, in tre settimane, è ulteriormente lievitato) a fronte di una capienza di 51.312 unità. Quest’ultimo dato, tuttavia, è fuorviante: secondo l’indagine indipendente svolta nei mesi scorsi dal Garante nazionale, si contano soltanto 46mila posti disponibili. Cioè, cinquemila unità di differenza. Gli stranieri rappresentano un terzo circa della popolazione penitenziaria complessiva: 19.694 al 31 dicembre scorso. Per restare alla Casa circondariale di Uta, al 31 ottobre 2024, c’erano 749 detenuti ma la capienza autorizzata è di 561 posti regolamentari. Nel frattempo, anche qui, i numeri sono aumentati.

Stranieri più fragili

«Gli stranieri sono i più fragili tra i fragili», precisa Ornano. «Dal 2021 a oggi, il tasso di sovraffollamento risulta in costante crescita e ha assunto carattere strutturale e non episodico: al 31 dicembre 2021 i detenuti in Italia erano 54.134, l’anno successivo 56.196, nel 2023 erano diventati 60.166. Insomma, nell’arco di tre anni sono cresciuti di 7.727 unità. Continuando di questo passo, non servirà neppure costruire nuove carceri perché non riusciranno ad assorbire i nuovi ingressi. I provvedimenti presentati di recente dal governo non hanno prodotto alcun effetto».

La destra, e non da oggi, sostiene che molti extracomunitari in Italia vivono di espedienti e finiscono col delinquere. «Solitamente delinquono perché sono in condizioni di assoluta marginalità», commenta la presidente Ornano. «Il sistema, respingendoli, li spinge verso l’illegalità. Quando si vive in condizioni di deprivazione, si finisce col vivere nell’illegalità. In Sardegna è un fenomeno limitato perché gli extracomunitari sono pochi, ma nelle grandi città il dato è consolidato. E comunque le migrazioni non possono essere arrestate: per dieci che ne porti in Albania, mille entrano in Italia con navi e barconi. Se non li accogliamo e li integriamo in maniera efficace, finiscono nelle mani della criminalità organizzata. Detto ciò, in buona parte dei penitenziari abbiamo una situazione di enorme sofferenza dovuta al sovraffollamento carcerario, che riduce gli spazi e le opportunità trattamentali e di lavoro. Certe scelte estreme, tuttavia, sono dovute a una molteplicità di fattori. Di sicuro, bisognerebbe accompagnare queste persone con progetti individualizzati e di supporto socioassistenziale».

La vita in carcere non deve essere tempo sprecato

È un fiume in piena Maria Cristina Ornano: «Il tribunale di sorveglianza che presiedo sta cercando di dialogare con tutte le istituzioni territoriali e le realtà del Terzo settore più strutturate, favorendo interventi di cura e supporto, ma anche progetti che offrano prospettive occupazionali una volta terminata la detenzione. La vita in carcere non dev’essere un tempo sprecato, piuttosto un periodo utile nel quale riprogrammare la propria vita. Dobbiamo fare di tutto per evitare i casi di recidiva. Gli uffici giudiziari stanno facendo uno sforzo enorme per dare una risposta adeguata. Ma la politica, in Italia, in questi mesi è più impegnata a ragionare della separazione delle carriere dei magistrati. Tra l’altro, continuando di questo passo, temo che a breve il nostro Paese verrà sanzionato nuovamente dall’Unione europea per trattamento inumano e degradante dei nostri detenuti, proprio a causa del sovraffollamento. Nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Torreggiani, condannò l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Se non ci sarà un intervento urgente ed efficace, il sovraffollamento crescerà ancora. Anche il Papa ha fatto riferimento a misure come l’amnistia e l’indulto. In passato è stato fatto, senza che si gridasse allo scandalo, non vedo perché non si possa fare anche oggi».

Credit: foto d’apertura Agenzia Sintesi – Luca Pasqualin. La foto di Maria Cristina Ornano è tratta da un video del convegno di Area Democratica del 2023.

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