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Usciremo dalla crisi abitando i territori della cultura e dell’impegno

Sono tre le dimensioni della crisi generata dal Covid-19: culturale, valoriale e di senso. Lo spiega Filippo Sanna, presidente dell'Unione Buddhista Italiana, in questa intervista

di Marco Dotti

Consapevolezza, saggezza, compassione. Sono tre degli insegnamenti del Buddha. Insegnamenti che l'Unione Buddhista Italiana, ente religioso riconosciuto ufficialmente con Decreto del Presidente della Repubblica, che riunisce centri, fondazioni, templi e monasteri appartenenti alle tradizioni Theravada, Mahayana e Vajrayana, ha concretizzato, nei giorni più duri della crisi del coronavirus, sostenendo oltre novanta organizzazioni del Terzo settore. Come? Destinando 3 milioni di euro, provenienti dall'8×1000, a un fondo speciale. Un intervento che nasce da una precisa considerazione della crisi e cerca di intervenire in un preciso orizzonte di senso. Ne parliamo con il Presidente dell'Unione Buddhista Italiana, Filippo Scianna.

Le dimensioni della crisi

La crisi in cui ci siamo trovati ha portato in luce molti nodi: economico, sociale, sanitario. C’è però qualcosa di più profondo, che sta nell’interconnessione di tutti questi temi in un quadro più generale. Come legge questa situazione?
Prevalentemente è un tema di dimensione di senso dell’esistere e al contempo è una questione che tocca il sistema valoriale e quello culturale. Queste, a mio avviso sono le tre grandi aree di provenienza di questa crisi.

C’è dunque una dimensione di senso generale...
Vi è una progressiva secolarizzazione della società e un sentire il sacro che ha progressivamente perso di intensità. Mi riferisco anche a una contrazione dell’orizzonte temporale che genera insani appetiti per misere gratificazioni. E’ la logica del tutto e subito, del mors tua vita mea. È la svalorizzazione, ad esempio, dell’attesa per qualcosa che portava spesso con sé lo sviluppo di qualità quali tenacia e pazienza.

La crisi ha rivelato che le coordinate della nostra esistenza non erano più orientate sul sacro e sul senso, ma paradossalmente ha messo anche in evidenza che senza quelle coordinate non si può dare una lettura della crisi stessa che non sia, ancora una volta, viziata da un difetto di prospettiva…
Abbiamo una grande fiducia nella materia, che si accompagna alla perdita di una necessità di elevazione e trascendenza. La crisi che abbiamo attraversato è complessiva e trasversale e tocca la dimensione valoriale poiché i valori in connessione con la dimensione di senso perdono il loro potere a scapito di altri come il successo della propria immagine, la gratificazione personale, l’accumulo. Accade perché nel perimetro di una vita appiattita sul tutto e subito, quelli diventano i valori da perseguire.

Con quali conseguenze?
La conseguenza principale è la svalorizzazione della vita. Il significato di “vita” finisce per coincidere con un’idea dell’esistere tanto per esistere. A questo punto va da sé che saggezza, compassione, generosità, amore, cura del prossimo perdono potere.

Alla crisi della dimensione di senso e alla crisi valoriale, si aggiunge una crisi culturale…
Assistiamo a dibattiti scarni di contenuti tra figure culturalmente di basso profilo e questo, purtroppo, non fornisce un esempio positivo per le nuove generazioni. Un dibattito dai toni medio-bassi a livello linguistico, a livello di approfondimento e spesso segnato da una totale mancanza di rispetto per l’interlocutore. Prevale quasi sempre la logica dell’interesse di parte. C’è uno scadere complessivo degli esempi dall’alto e un drammatico peggioramento del concetto di leadership. Non abbiamo più grandi leader e questo è un problema enorme per la società.

Se questo è il quadro, nel concreto della crisi di questi mesi l’Unione Buddhista Italiana come si è impegnata?
La coerenza con certi valori deve farsi gesto concreto. Sentivamo la necessità di contribuire ad alleviare l’emergenza sanitaria e lo abbiamo fatto attraverso dei fondi dell’8×1000 che sono arrivati comunque sulla base di indicazioni della popolazione. Premesso che già nel 2013 l’Unione Buddhista Italiana ha fatto una scelta molto chiara: destinare a progetti umanitari quanto ci arriva come quota inespressa. Non tratteniamo nulla di quanto non ci viene dato direttamente e questo sulla base di un principio buddhista che ricorda di non prendere quanto non ti è stato dato. La quota inespressa la restituiamo a prescindere, ma nello specifico la situazione era tale che ci sembrava giusto e corretto dare un contributo concreto-materiale oltre che alla Protezione Civile anche a una serie di organizzazioni, in particolare a quelle del Terzo settore.

Terzo settore e cultura: i territori dell'impegno

Perché avete pensato proprio al Terzo settore?
Perché sono organizzazioni che lavorano spesso in silenzio, lontano dai riflettori con l’impegno di persone di diverse estrazioni culturali e religiose che si dedicano al prossimo spesso a titolo di volontariato e dove è possibile vedere una autentica compassione in azione. Volevamo partire da loro, perché sappiamo bene che c’è stato un picco della crisi ma ci sarà, per altri versi, un periodo per nulla facile anche nel post-crisi.

Nel post-crisi molte organizzazioni si troveranno a fare i conti più che con l’emergenza, con la possibilità stessa della loro sopravvivenza…
La fase “post” rischia di generare problemi sociali molto importanti. La presenza e l’intervento di organizzazioni che assistono anziani, disabili, persone fragili e vulnerabili diventa cruciale. La collaborazione tra tante entità sarà fondamentale.

Terzo settore, ma anche cultura…
Alla cultura abbiamo destinato un fondo specifico, proprio per le ragioni che dicevo prima. Dobbiamo ripartire dalla cultura e sostenere la possibilità che le persone si esercitino a pensare.

Riabituarsi a pensare

Vede un rischio in questa potenziale, possibile disabitudine a pensare?
Il Covid-19 si è inserito all’interno di un processo di globalizzazione e di mutazione profonda della società anche legata al rapporto con le tecnologie. Questa rivoluzione si esprime in maggiore complessità e nella necessità di aumentare la velocità di risposta a continue urgenze. Tutto ciò rischia di incrinare la capacità discriminante delle persone. Abbassando la capacità discriminante si abbassa anche il senso etico e, di conseguenza, sostenere la cultura significa sostenere la possibilità che le persone si interroghino e abbiano degli insights che consentano loro di elevare il pensiero, dando qualità al proprio vissuto. La storia delle grandi tradizioni religiose è peraltro sempre stata storia di grandi matrimoni tra la dimensione spirituale e quella culturale.

Alla cultura avevamo affidato un ruolo di svago, mentre si tratta di un codice comune senza il quale elevare lo sguardo diventa davvero difficile…
Uno dei significati di “sacro” è proprio quello di “elevazione”. Il sacro è una trasformazione del gesto. Sacro è il gesto di chi, seguendo un percorso spirituale, trasforma il mondano nel sentiero. Tutto è sacro, anche preparare del cibo, se c’è un certo tipo di motivazione e c’è una ricerca di senso che accompagna quel gesto. Sacro è il quotidiano, ma è una questione di cornice. Una questione, lo ripeto, di senso complessivo dell’esistere.

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