Salute

Uscire dall’Oms espone tutti alla minaccia di nuove pandemie (Trump compreso)

«Sud Sudan, Etiopia,Kenya, Malawi», spiega il direttore dell’ong Amref Italia, «saranno gli Stati più coinvolti tra quelli dove lavoriamo. Sono Paesi che subiscono più di altri le conseguenze del cambiamento climatico da cui molto spesso dipende la diffusione di nuove epidemie. Il ruolo dell’Oms è monitorare l’insorgere di quelle epidemie per bloccarle. Se questo sistema di monitoraggio dovesse venire meno quali conseguenze ci sarebbero prima a livello nazionale, poi continentale e alla fine certamente globale? Le scelte che sta facendo Washington danneggiano la qualità della vita di milioni di persone»

di Anna Spena

Il Presidente Donald Trump, nel suo primo giorno di mandato, ha firmato un ordine esecutivo che ritira gli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Il ritiro degli Stati Uniti crea un deficit di bilancio di oltre 1,2 miliardi di dollari rispetto al bilancio annuale dell’Oms, che ammonta a circa 5 miliardi di dollari. Ma che conseguenze avrà questa decisione a livello globale? È certamente vero che i primi Paesi ad essere più colpiti saranno in prima battuta quelli africani, ma ad essere a rischio è la salute globale.

Il Corno d’Africa

«Sud Sudan, Etiopia,Kenya, Malawi», spiega il direttore dell’ong Amref Italia Guglielmo Micucci, «saranno gli Stati più coinvolti tra quelli dove lavoriamo. I sistemi sanitari sono fragili e, soprattutto questi, sono Paesi che subiscono più di altri le conseguenze del cambiamento climatico. Basti pensare a quello che è successo in Kenya: non ha piovuto per tre anni e poi una serie di alluvioni si è abbattuta sul Paese. Tra il 1 marzo e metà giugno 2024 si sono registrati più di 315 decessi e oltre 293.200 persone sfollate». Ma le alluvioni in Kenya hanno anche distrutto abitazioni, danneggiato infrastrutture critiche  – oltre 40 strutture sanitarie in varie contee – e soprattutto compromesso l’accesso ai servizi essenziali come acqua potabile e assistenza sanitaria.  «Ciò ha portato», continua Micucci, a un aumento delle malattie trasmesse dall’acqua, come il colera». O ancora il Sud Sudan, dove meno della metà della popolazione ha accesso a servizi medici adeguati. Nel Paese solo il 2,6% del budget del Governo è destinato alla salute, quindi la maggior parte dei servizi medici è garantito dalle ong. «Il ritiro dall’Oms – che sarà operativo tra un anno – insieme all’altra decisione di Trump di congelare per 90 giorni i fondi destinati all’aiuto allo sviluppo – sono due fattori che insieme possono portare a uno stallo globale della cooperazione internazionale perché la cooperazione americana è la più grande, in termini di volumi economici, del mondo».

Anche se martedì 28 gennaio il Governo statunitense ha revocato l’ordine che chiedeva alle agenzie governative di sospendere l’erogazione dei finanziamenti federali a molti programmi di aiuti allo sviluppo il rischio che l’aiuto pubblico allo sviluppo diventi sempre di più uno strumento politico è più concreto che mai. I progetti di sviluppo per essere efficaci devono poter contare su programmi a lungo termine. E quindi non essere soggetti agli umori del politico di turno. Tra le altre azioni l’amministrazione Trump si stava preparando a bloccare la fornitura di farmaci salvavita contro l’Hiv, la malaria e la tubercolosi, ma anche di materiale medico per neonati, nei Paesi supportati dall’Usaid – Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale. Da quei farmaci infatti dipende la vita di 20 milioni di persone.

L’Oms è fondamentale

Oggi il lavoro dell’Oms è fondamentale: «Come detto alcuni Paesi africani sono tra quelli che subiscono di più le conseguenze del cambiamento climatico da cui molto spesso dipende la diffusione di nuove epidemie. Va ricordato che nell’ultimo decennio c’è stato un aumento del 25% degli eventi estremi legati al cambiamento climatico. Ecco il ruolo dell’Oms è monitorare l’insorgere di quelle epidemie per bloccarle. Se questo sistema di monitoraggio dovesse venire meno quali conseguenze ci sarebbero prima a livello nazionale, poi continentale e alla fine certamente globale? I focolai vanno bloccati sul nascere, non possiamo correre il rischio che esplodano. Quindi dovremmo lavorare per riformare l’Oms, ma non possiamo indebolirla, metterla in discussione. Come organizzazione ha saputo coordinare, nonostante alcuni ritardi, una parte della risposta alla grave pandemia da Covid. E, come quella crisi ci ha mostrato, non possiamo assolutamente arretrare, perché si gioca e si giocherà proprio lì, sulla salute, il futuro del mondo. Gli operatori di Amref in Africa sono 2.500. Quasi 700 lavorano su progettualità finanziate dalla cooperazione americana che sovvenziona il 25% dei nostri progetti. Le scelte che sta facendo Washington danneggiano la qualità della vita di milioni di persone».

(AP Photo/Evan Vucc)/LaPresse

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