Mondo

USA: Un’altra Grande Giornata

Attendendo i risultati di quelle che vengono definite le elezioni americane più importanti nella storia. Cosa cambierà davvero, questa Grande Giornata?

di Riccardo Bagnato

Questa fede nella Grande Giornata, che cambia il corso delle nostre vite, suona un po’ sospetta a dire il vero. Eppure porta anch’essa un germe di saggezza: in fondo ci stiamo forse auto-convincendo di essere gli artefici del nostro destino, che può cambiare ogni giorno. E l?impazienza con cui assistiamo al testa a testa Bush-Kerry, (per cui alcuni addirittura vorrebbero votare e dire la loro: online per mezzo di sondaggi, ovunque, oppure in qualche seggio artistico organizzato per l?occasione), è forse solo un’altra illusione. Ma la Grande Giornata porta con sé un altro sospetto, un?altra domanda: cosa abbiamo fatto negli altri 364 giorni dell?anno? Davvero crediamo si possa cambiare il mondo in 24 ore? Certo, di esempi ce ne sono, ma anche questi paiono sospetti se solo ci si ferma un secondo e si guarda attentamente, col cuore, le cose di questo mondo. Fra qualche giorno, ad esempio, ricorrerà il 15° anniversario della caduta del muro di Berlino. Ebbene sì, sono passati già 15 anni da quel 9 novembre 1989 in cui le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso le immagini di chi scavalcava il muro, ne distruggeva un pezzo, passava il confine con la propria trabant ecc. ecc. Ma sappiamo bene che il muro non crollò quella sera. Sin dalla nomina di papa Karol Wojtyla nel 1978, poi con la politica del movimento Solidarnosc, la perestrojka di gorbacioviana memoria, la glasnost, e ancora, nell?anno del crollo, coi movimenti di protesta popolari proprio a Berlino contro il regime, la sostituzione pochi giorni prima di Erich Honecker, capo indiscusso della SED (il partito comunista della Ddr), col suo vice Egon Krenz, le sue riforme liberalizzatici dell?ultimo momento, tutto conduceva a quel punto, e nulla arrestò il destino: che quel 9 novembre trovò soltanto il suo modo di prendere forma agli occhi di tutto il mondo. Ancora un esempio: se tra noi e quell?11 settembre del 2001 avessimo lo spazio e il tempo sufficiente per rifletterci, con calma e senza smanie ideologiche, forse potremmo dirci, in tutta sincerità: ci stava. E non è forse lo stesso, per le nostre di elezioni? Quelle del 13 maggio di 3 anni fa? Potevamo davvero pensare che Berlusconi non vincesse le ultime elezioni? Davvero possiamo, stasera, stanotte, crogiolarci nell?idea che il destino del mondo non sia già stato scritto, e che invece è nelle nostre mani, anzi, fra le dita di 121 milioni di americani? Qualcuno, a questo punto, potrebbe sostenere che sì, si tratta di materialismo storico, del destino inscritto nelle cose economiche e politiche, ma non basta. Non basta perché questo benedetto materialismo funziona ? quando ha funzionato ? solo per grandi numeri. Stanotte, invece, stiamo assistendo alla conta di poche centinaia di schede. Proviamo a rinfrescarci la memoria: non ha vinto Al Gore nel 2000, in New Mexico, per un risicato 0,06% di schede in più? E addirittura, non ha vinto George W. Bush in Florida, nello stesso anno, con lo 0,01% di schede a suo favore? Potrebbe dunque arrivare a predire tanto, la scienza storica? Credo proprio di no. Nel piccolo si annida il destino. Di un freccia conficcata nel tallone morì Achille. Così che il destino sembra si muova come fanno le correnti negli oceani e che, abbagliati o spaventati dalla tempesta improvvisa in superficie, questa possa riassumere per noi tutti la potenza di Poseidone. Altra illusione. Quel 9 novembre, quell?11 settembre, quel 13 maggio, sono in realtà date. Ma sono anche i nostri occhi, o meglio, le lenti con cui guardiamo la realtà. Un?umanità purtroppo affetta da qualche tipo di malattia visiva. Che per capire la vita, o la storia, ha bisogno di avvicinarsi al foglio della realtà, per finire col concentrarsi solo su un numero, una data. Perché per capire il destino, di fatto, bisogna essere capaci di guardare cose piccolissime ma a grandissima distanza: questo richiede la vita per essere compresa. La capacità dei presbiti, si dirà, o quella dei ciechi, per paradosso poetico. Ma non certo quella di noi tutti: miopi, impazienti, attaccati a televisore o computer in attesa di un risultato. Così, in questa nottata elettorale, è forse opportuno domandarsi: cosa sto guardando veramente? E perché? Davvero spero che Kerry vinca? Davvero possiamo costringere le nostre migliori intenzioni di pace per il mondo, nella vittoria di un uomo piuttosto che in un altro? O non è forse il caso di prepararsi, comunque, a guardare un po? più lontano, non a domani, ma all?anno venturo, al secolo che ci ha così malamente trattati ad appena quattro anni dal suo inizio, che però aspetta noi per essere vissuto? In cui potremmo favorire ? e non decidere ? il corso degli eventi in un senso piuttosto che in un altro. Questa volta, però, per 365 giorni l?anno. Sperando che domani o stanotte, le prime notizie, buone o cattive che siano, non ci facciano dimenticare il futuro. Please.


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