Rivoluzione in classe negli USA: all'apertura delle scuole, prevista in questi giorni, sui banchi gli americani bianchi non ispanici (quelli che tutti identifichiamo come “gli americani”) saranno in minoranza, sorpassati numericamente dagli alunni afroamericani, ispanici e asiatici. La storica statistica è relativa – va specificato – solo ai ragazzi fino a 18 anni che frequentano le scuole pubbliche, mentre a livello generale la popolazione degli USA è ancora composta per il 62% da “bianchi caucasici”.
“A different America” titolano comunque molti giornali a stelle e strisce riportando il dato tratto dal rapporto del
National Center for Education (NCES), che
fissa al 50.3% la quota delle ex minoranze tra gli alunni, ovvero la media tra il 51% registrato dalla materna fino all'equivalente della nostra terza media e il 48% delle scuole superiori.
Una svolta a cui si è arrivati per gradi e che deriva direttamente dall'aumento della presenza di americani non bianchi sul territorio: basti pensare che solo dal 2012 al 2012 la percentuale di cittadini ispanici è aumentata del 2,1% e quella degli asiatici del 2,9%; in futuro si calcola che la quota di studenti ispanici nelle scuole pubbliche sarà aumentata del 33% nel 2022, quella degli asiatici del 20% e quella dei giovani appartenenti ad altre minoranze o “multirazziali” del 44%; e mentre la percentuale degli afroamericani dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile (+2%) a calare sarà la presenza degli studenti caucasici (-6%) e nativi americani (-5%).
Tuttavia, lungi dall'accampare motivi razzisti, molti commentatori non sono entusiasti di questo trend: gli studenti neri, ispanici e nativi americani infatti tendono ad avere performance scolastiche meno brillanti dei coetanei bianchi e asiatici, e vivono generalmente in aree più povere e disagiate. La sfida del futuro sarà dunque quella di attenuare le disparità di risultati e di condizioni di partenza, per costruire una società più coesa e pacifica.
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