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Usa. Le sorprese fiscali di Bush. Tutti gli sgravi del presidente

Il sostenitore della guerra e delle spese militari ha da poco approvato norme favorevoli per il non profit. Così come Blair. Questione di pragmatismo.

di Carlo Mazzini

Fatemi ben capire. Bush, dal quale ci separano non soltanto miglia e miglia di oceano ma anche una concezione su chi può somministrare preventivamente giustizia a suon di bombe; proprio quel George W. Bush di cui tutto si può dire – e di cui in effetti tutto si dice, anche su queste pagine – ma non che sia un?anima liberal, un progressista, un politico che ?vede? una nuova frontiera, un domani possibile? È lo stesso Bush che all?interno della presentazione del suo budget per l?anno fiscale 2005, coerentemente farcita di aumento delle spese militari e di tagli a ciò che rimane dello Stato sociale, inserisce alcuni provvedimenti favorevoli al non profit. Più deducibilità Ha deciso, ad esempio, di estendere a ogni tipo di azienda le deduzioni che oggi si applicano solo a quelle che donano alimentari alle banche del cibo. O anche di incentivare le persone con 65 anni o più a donare alle charity direttamente dai loro fondi pensione, senza dover pagare imposte. O di limitare le deduzioni per regali di brevetti o diritti di proprietà intellettuale al loro giusto valore di mercato o alla cifra che ha speso il donatore per produrli. Con tutti i se e tutti i ma possibili, ovviamente, il complesso dei provvedimenti sembrano favorire il non profit, far crescere la civiltà e la responsabilità della donazione, che il cittadino anglosassone ha comunque nel proprio dna. Sfugge ai nostri schemi mentali come il Bush 1, quello della guerra preventiva, possa convivere con il Bush 2. Un po? come sfugge che il leader laburista inglese, discusso da una parte della sinistra per le sue politiche che di laburista sembrano aver poco (aumento delle tasse universitarie, appoggio incondizionato della guerra preventiva), abbia promosso lo scorso anno un iter di riforma delle charities molto avanzato, che promette di far evolvere ulteriormente il non profit inglese. E ancora ci sfugge – e qui ci viene il dubbio se non siano un po? troppe le cose che ci sfuggono – come il Paperone del software, il nerd che conta il proprio patrimonio a suon di fantastiliardi, colui che commercializza prodotti rigorosamente coperti da copyright (al bando l?open source, quindi), questo tale abbia non solo costituito una fondazione che fa beneficenza, ma abbia affermato qualcosa di condivisibile, riportato da The Guardian: “Quando vado a una conferenza sulla tecnologia e il Terzo mondo, e sento dire che la cosa più importante è connettere la gente a Internet, rispondo: state scherzando? Siete mai stati in un Paese povero?”. Lezione di laicità Se ci sfuggono questi comportamenti inaspettatamente favorevoli da parte di personalità per diverse ragioni invise anche al non profit, è perché li leggiamo con il metro fornitoci dalla nostra cultura che è poco laica, certamente manichea, che vede nell?avversario un nemico sempre in torto, e che ci induce a pensare che anche dietro le sue ?buone azioni? si nasconda un secondo e indicibile fine. Certo è che un tale atteggiamento ci può essere stato indotto da anni di sottomissione a una burocrazia gattopardesca che fa di tutto per farci sentire sudditi e non cittadini. La stessa burocrazia che interpreta il non profit come un?entità da cui diffidare, figlia di un dio minore. Sorprende, ad esempio, il fatto di mettere sullo stesso piano il controllo sulle onlus e la ricerca dei grandi evasori nei paradisi fiscali (circolare 3/2004). Come sorprende che ogni buona proposta di legge (come è la +Dai – Versi) debba subire un iter parlamentare infinito e non possa essere giudicata in poche battute sulla base dei benefici e costi che produrrebbe. Bush lo dice nel suo documento. Dimezzare le imposte alle fondazioni costa 1 miliardo di dollari in 10 anni allo Stato; altre forme di incentivi costano quasi 5 miliardi, sempre in 10 anni. I freni e i paletti posti alle donazioni porteranno nelle casse dello Stato più di 3 miliardi di dollari. Il non profit conviene Bush pensa al domani; e di certo non si è dimenticato degli scandali connessi alla raccolta fondi per i familiari delle vittime dell?11 settembre. Ma non per questo si è tirato indietro. Non è che non si faccia nulla per combattere la malversazione o l?eterodestinazione dei fondi raccolti. Anzi, proprio in questa ?manovra? Bush propone che quei trust che guadagnano da business non istituzionali siano tassati per intero, proprio per scoraggiare attività che ancor prima di essere illecite si rivelano lesive delle regole della concorrenza. Bush non avrebbe forse approvato una de-tax a novembre 2003, stanziando 1 milione di euro per il 2003 stesso; de-tax che può funzionare solo dopo l?emanazione di decreti attuativi a oggi non ancora emanati. Il pragmatismo di Bush, il buon senso di Bill Gates, la buona volontà di Blair ci portano su piani diversi; in cui è il merito delle questioni ad essere discusso, e non l?appartenenza politica. In cui non ci si fa paravento di ragionamenti demagogici (tutti rubano, anche il non profit), ma si cercano correttivi e parallelamente si propongono incentivi. Perché in fondo, di destra o di sinistra, laburisti o conservatori, ci si può scoprire concreti nelle politiche, solidi nelle convinzioni, solidali nelle realizzazioni.


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