Welfare

Usa, la democrazia ko? Il despota

Il Paese che è stato la frontiera dei diritti e della libera iniziativa si sta trasformando in uno stato di polizia? L’8 agosto il presidente Bush si è arrogato un potere speciale.

di Fabrizio Tonello

Probabilmente vi è sfuggito, perché i giornali italiani non ne hanno parlato e anche quelli americani hanno confinato la notizia all?interno di pastoni sulla possibile guerra all?Irak, ma l?8 agosto scorso gli Stati Uniti hanno ufficialmente annunciato di essersi trasformati in un regime nazista (o stalinista, se preferite). Lo hanno fatto con un annuncio del presidente Bush che gli individui «designati come terroristi» con apposito decreto presidenziale potranno essere segretamente giustiziati senza processo da agenti del nuovo dipartimento della Homeland Security, dell?intelligence (Cia e Fbi) o da personale militare. La regola vale tanto per gli stranieri quanto per i cittadini americani, tanto sul territorio degli Stati Uniti quanto nel resto del mondo.

La patria dei diritti
Che dire? In pratica il provvedimento dell?8 agosto non verrà probabilmente applicato e non si tradurrà in fucilazioni all?alba nelle strade di New York o in desaparecidos a migliaia. Questo non toglie nulla alla sua gravità: il Paese che considera se stesso, fin da prima dell?indipendenza, la «fiaccola della libertà nel mondo» si pone allo stesso livello dei regimi totalitari dove, tra l?altro, formali processi venivano quasi sempre tenuti per legittimare la repressione. Gli Stati Uniti sono nati, in quanto Stato, per difendere l?inviolabilità dei diritti umani, precisamente elencati nel Bill of Rights, ora l?amministrazione Bush straccia la Costituzione e li pone al livello del Cile di Pinochet.
La ?guerra al terrorismo? iniziata l?11 settembre 2001 ha rafforzato la tendenza in atto a svuotare di significato le garanzie costituzionali dei cittadini americani. Questo processo non è tuttavia iniziato l?anno scorso: al contrario, per alcune categorie di ?nemici interni?, parti sostanziali del Bill of Rights erano già state tacitamente abrogate fin dagli anni 80. La novità sta nell?accelerazione e nell?ampiezza dei mutamenti.
Gli arrestati per sospetta collaborazione con Al-Qaeda sono stati circa 1.200 benché il governo non abbia rivelato il numero esatto, non abbia concesso assistenza legale alla maggior parte di loro e, in 752 casi, non abbia elevato alcuna imputazione specifica al di là di violazioni della legge sull?immigrazione per gli stranieri. Un rapporto di 95 pagine dell?organizzazione Human Rights Watch, Presumption of Guilt: Human Rights Abuses of Post-September 11 Detainees accusa l?amministrazione Bush di detenzioni arbitrarie, clamorose violazioni e maltrattamenti al limite della tortura.
La maggior parte degli arrestati erano stranieri; per gli americani, prendiamo il caso di Abdullah al-Muhajir, nato José Padilla, un cittadino degli Usa detenuto dall?8 maggio 2002 e dichiarato, per decreto presidenziale, «combattente nemico». Padilla, che si è convertito all?islam prendendo il nome di Abdullah al-Muhajir, al momento in cui scriviamo non è formalmente accusato di nulla: il suo status è quello di testimone, trattenuto in quanto in possesso di informazioni sugli attentati dell?11 settembre. Un giudice federale ha tuttavia stabilito che la legislazione antiterrorismo non è sufficiente per trattenere a tempo indefinito una persona senza imputarla di un crimine e l?amministrazione Bush ha quindi invocato una sentenza della Corte Suprema del 1942 per giustificare la detenzione di al-Muhajir.

Quell?alibi del 1942
La sentenza Ex parte Quirin [317 Us 1 (1942)] riguardava il caso di otto sabotatori tedeschi infiltrati sul territorio degli Stati Uniti e condannati a morte da un tribunale militare. Lo status di uno di loro, americano per nascita, non fu preso in considerazione dalla Corte e la condanna per impiccagione fu eseguita. Quirin sembra tuttavia una base legale assai fragile per giustificare la detenzione a tempo indeterminato e senza che ci sia un?accusa precisa di un cittadino americano. Sessant?anni fa, l?amministrazione Roosevelt agiva nel quadro di una guerra dichiarata dal Congresso, il quale aveva esplicitamente concesso al Presidente poteri straordinari per la conduzione delle operazioni militari. Non è questo il caso odierno.
L?Attorney General John Ashcroft ha annunciato l?intenzione di trattenere al-Muhajir, «fintanto che durerà la guerra al terrorismo» ma questa situazione può durare anni o decenni e, per di più, si tratta di uno status giuridico assai mal definito, in cui la discrezionalità dell?esecutivo è quasi assoluta. Se davvero un decreto presidenziale e un?accusa di terrorismo fossero sufficienti a sospendere la Costituzione verrebbe da chiedersi che senso abbia parlare ancora di ?libertà? americane.
Per il momento, i cittadini accusati di avere legami con al-Qaeda sono tre: al-Muhajir, John W. Lindh (fatto prigioniero assieme ad altri talebani in Afghanistan) e Yaser Esam Hamdi, uno studente saudita nato in Louisiana e quindi tecnicamente in possesso della cittadinanza degli Stati Uniti. Lindh è formalmente imputato davanti a un gran giurì, mentre Hamdi, al momento in cui scriviamo, si trova nello stesso limbo legale di al-Muhajir.

I non-cittadini
A questo punto, occorre fare un passo indietro e considerare il contesto politico-culturale in cui sono avvenuti gli attentati contro le Torri gemelle. Malgrado il Bill of Rights, gli Usa sono il Paese dove periodicamente i diritti delle minoranze considerate ?aliene? vengono più sistematicamente conculcati in nome dell?emergenza. Poiché i diritti dei cittadini americani sono ?inviolabili?, una volta ogni generazione gli etnicamente sospetti, i dissidenti politici, o i socialmente emarginati, vengono riclassificati come non-cittadini, de jure o de facto.
L?emergenza è sempre legata a ciò che il potere dichiara essere un pericolo per l?America, considerata Terra promessa e quindi minacciata soltanto da aggressioni o cospirazioni straniere, mai dalle proprie contraddizioni e tensioni interne. Fu così fin dal 1798 quando l?amministrazione Adams cercò di limitare la libertà di stampa ma perse le elezioni del 1800, e poi durante la guerra civile, poi a cavallo tra XIX e XX secolo con gli attentati anarchici, durante la prima guerra mondiale a danno della forte minoranza di lingua tedesca, nel 1918-20 con la Red Scare, all?inizio della Seconda guerra mondiale con le deportazioni di cittadini italiani e giapponesi, di nuovo negli anni 50 col maccartismo, negli anni 70 quando il Black Panther Party fu stroncato con la violenza.
In alcuni casi, come quello degli americani di origine giapponese, il Congresso e la Presidenza hanno chiesto scusa ai cittadini perseguitati a causa delle loro origini etniche, votando molti anni dopo delle leggi per compensarli parzialmente. Nel caso dei ?crimini politici?, le accuse contro i sindacalisti, o i progressisti vittime di McCarthy, sono state tacitamente ripudiate, benché tuttora gli intellettuali conservatori mantengano in vita una campagna che sostiene la colpevolezza di tutti i progressisti degli anni 50 per spionaggio a favore dell?Urss.
L?attuale svolta autoritaria fa parte di un trend che risale agli anni 70 e che aveva già trasformato il volto degli Stati Uniti negli anni 80 con il pretesto della ?guerra alla droga?. La cosiddetta tolleranza zero verso il crimine, l?uso della pena di morte o di pene detentive di lunghezza assurda per punire reati come il consumo di marijuana, l?incarcerazione di quasi 3 milioni di persone, sono processi in atto da decenni.
Le soluzioni autoritarie, si badi bene, sono aumentate in un periodo in cui i reati diminuivano vistosamente, probabilmente per ragioni demografiche unite al buon andamento dell?economia. A New York, per esempio, il numero di omicidi è diminuito di due terzi tra il 1992 e il 2000. La tolleranza zero va quindi vista come una risposta simbolica a paure diffuse nel corpo sociale, a cui imprenditori politici di successo hanno dato voce. Si tratta di reazioni negative e controproducenti a ciò che sociologi come Amitai Etzioni e Robert Putnam hanno diagnosticato come perdita del senso della comunità, della cooperazione tra vicini, del rispetto delle regole del vivere associato.

L?intrusione dello Stato
L?intrusione degli apparati statali nella vita personale, la moltiplicazione delle pene detentive, l?estensione nell?uso di tecnologie di sorveglianza sono la risposta all?impossibilità di ottenere il rispetto delle regole se non per via autoritaria invece che sociale-persuasiva. Anche in questo caso, il presunto colpevole viene considerato come non-portatore di diritti, si tratti di una giovane madre assistita dal welfare, di un consumatore di marijuana o di un ladruncolo del ghetto.
Un esempio interessante di violenza istituzionale è la recente sentenza della Corte Suprema Department of Housing v. Rucker, (2 febbraio 2002) in cui la Corte affermava la liceità di sfrattare da un appartamento di proprietà pubblica una nonna i cui nipoti erano stati sorpresi a fumare marijuana, non nell?appartamento ma altrove. Questo si inserisce in una giurisprudenza della Corte Rehnquist in cui da una quindicina d?anni sostanzialmente si accettano varie forme di punizione degli innocenti, in nome della ?guerra alla droga?. La forma principale, che ha preso il complesso di provvedimenti miranti a colpire il traffico e il consumo di sostanze stupefacenti, è un?espansione dei metodi previsti dal Rico (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act del 1962) ovvero sequestri preventivi dei beni dei sospetti, colpevolezza ?per associazione? e simili.
In Department of Housing v. Rucker, il presidente della Corte, William Rehnquist scrive che non occorre che le «attività legate alla droga» siano commesse, e nemmeno conosciute, dall?affittuario di un appartamento: è sufficiente, per lo sfratto da una casa di proprietà pubblica, che vengano compiute, anche a chilometri di distanza, da membri della famiglia, parenti o perfino ospiti.
I principi del Bill of Rights sul diritto a non essere sottoposti a perquisizioni arbitrarie erano stati tacitamente accantonati dal Congresso nel caso della legislazione contro gli stupefacenti (che punisce, ricordiamolo, anche i semplici consumatori). La Corte Suprema ha rigettato tutte le eccezioni di incostituzionalità. Una delle ultime sentenze in materia è Illinois v. McArthur, del 20 febbraio 2001, in cui veniva respinto il ricorso di un cittadino a cui la polizia aveva impedito di rientrare in casa, se non accompagnato da un poliziotto, in attesa di procurarsi un mandato di perquisizione.
Una volta compiuta la perquisizione, la polizia aveva trovato della marijuana e la procura aveva rinviato a giudizio McArthur. La difesa aveva richiesto l?annullamento della procedura, in quanto viziata alle origini dal sequestro di fatto dell?abitazione dell?imputato, un?ovvia violazione del Quarto emendamento. La Corte ha invece giudicato «ragionevole» l?azione della polizia.
Infine, occorre segnalare il fatto che la protezione costituzionale estesa a tutti i cittadini è stata di fatto cancellata dal giudice Clarence Thomas, estensore della sentenza Shaw et al. v. Murphy (18 aprile 2001) secondo il quale i detenuti sostanzialmente non godono dei diritti civili. In un caso di violazione del diritto alla libertà di espressione di un detenuto, la Corte ha sentenziato che: «Poiché i problemi delle prigioni sono complessi e irrisolvibili», la magistratura deve rinunciare a esercitare il suo controllo e invece «rimettersi al giudizio» delle autorità carcerarie. Thomas, in numerose altre occasioni, aveva manifestato la sua opinione che la Costituzione americana non garantisce i detenuti neppure da violenze fisiche compiute dalle guardie.

Il Superministero
Questo per quanto riguarda la Corte Suprema. Per quanto riguarda l?Esecutivo, va segnalato che, oltre alla legislazione antiterrorismo che abbiamo descritto, tra le conseguenze dell?11 settembre c?è anche il progetto di unificazione della Coast Guard, dell?Immigration and Naturalization Service, del Transportation Security Agency e di altre 22 enti in un unico superministero, il Department of Homeland Security. Si tratterebbe di un superministero che avrebbe 170mila dipendenti, il terzo in ordine di grandezza dopo il Department of Defense e il Department of Veterans Affairs. Il Department of Homeland Security prefigura una concentrazione di poteri di polizia a livello federale del tutto nuova nella storia americana, dove corpi come i carabinieri, la Gendarmerie o la Bundespolizei non sono mai esistiti.
Com?è noto, George Washington, James Madison e Thomas Jefferson nutrivano una forte diffidenza nei confronti degli eserciti permanenti, di cui temevano l?uso a fini di polizia interna. Le stesse milizie volontarie composte da cittadini-soldati non dovevano essere strutture sempre in funzione, ma dovevano essere chiamate a radunarsi solo in caso di pericolo, proprio per evitare che in uno Stato potesse venire instaurato un governo militare, ipotesi evocata più volte durante la convenzione costituzionale di Filadelfia.
Per tutto il XIX secolo, l?esercito federale ebbe dimensioni significative soltanto durante la guerra di Secessione. Anche l?espansione dei poteri della Presidenza nel XX secolo, con Woodrow Wilson e Franklin Roosevelt, eliminò il tabù dell?esercito permanente, ma non quello di una polizia centralizzata: l?Fbi ebbe bisogno di decenni prima di assumere un peso politico reale. Oggi, pochi mesi sono bastati per un progetto di superministero che sembra la materializzazione di uno dei peggiori incubi diffusi nella cultura politica americana dall?Indipendenza a oggi. Sembra difficile crederlo, ma il 27 giugno 2002, il deputato del Texas, Ron Paul ha iniziato il suo intervento alla Camera dicendo: «Mr. Speaker, my subject today is whether America is a police state». Paul non ha nulla del progressista: è noto invece per essere uno dei repubblicani più conservatori che siedano in Congresso. Non resta che sperare che le elezioni di novembre diano una scossa al clima politico, rammentando a Bush e Cheney che gli Stati Uniti non possono diventare uno Stato di polizia.

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