Mondo
Usa e Ue premano sull’Etiopia
Somalia /L'analisi della crisi del Corno d'Africa vista da un esperto. Roland Marchal studia da oltre 15 anni la geopolitica del Corno d'Africa
La Somalia è ancora in bilico fra pace e guerra. Ma a preoccupare la comunità internazionale è la crisi che si sta consumando nel Gtf, il Governo federale di transizione sostenuto da Etiopia e Stati Uniti per contenere l?avanzata delle Corti islamiche. Da un lato, il presidente del Gtf Abdullahi Yussuf, favorevole a un accordo di cessate il fuoco con gli islamisti; dall?altro, il suo premier Mohamed Gedi, un ?leader? imprevedibile al soldo di Addis Abeba. Proprio la presenza di soldati etiopi in Somalia rischia di far saltare negoziati di pace complessi. Ne è convinto Roland Marchal, ricercatore presso il Ceri – Centre d?études et de recherches internationales, da oltre quindici anni attento osservatore delle vicende geopolitiche in Corno d?Africa.
Vita: Che spazi per negoziare?
Roland Marchal: Il presidente somalo è stato di recente nella sua città natale, Gaalkacyo, dove è stato duramente contestato per la presenza di soldati etiopi in territorio somalo. I suoi concittadini gli hanno fatto capire che si corre il rischio di perdere il Puntland, una regione semi-autonoma situata al confine con il territorio controllato dal governo transitorio e molto favorevole a Yussuf. Ma se la guerra si espande a sud, allora è certo che il Puntland dovrà allearsi con le Corti islamiche, ormai popolari anche in quell?area destinata a una forte destabilizzazione. Non è quindi un caso se il presidente somalo ha chiesto di rilanciare i negoziati.
Vita: Tuttavia Gedi rema chiaramente contro Yussuf?
Marchal: La mozione di sfiducia del 30 luglio nei confronti di Gedi è il segno tangibile di una spaccatura tra i leader del Gtf. Molti non perdonano al premier di aver chiesto sostegno ad Addis Abeba.
Vita: Perché l?Etiopia è intervenuta in Somalia?
Marchal: Per questioni di sicurezza interna. In Ogaden, regione frontaliera etiope a maggioranza somala, si sono verificati scontri tra l?Onlf, il Fronte nazionale di liberazione dell?Ogaden, e le truppe governative. Di recente, poi, sono scoppiati attentati di chiara matrice islamista. L?agenda politica dell?Onlf sembra essersi islamizzata. I dirigenti etiopi hanno buone ragioni per temere i contraccolpi di una forza politica ispirata a un Islam giudicato radicale, ma lo fa con metodi colonialisti. Il regime di Addis Abeba è convinto che spetti a lui decidere chi deve comandare a Mogadiscio.
Vita: Puntando tutto sul governo transitorio…
Marchal: Secondo molti somali, il regime di Yussuf è una creatura dell?Etiopia. L?80% dei ministri del governo transitorio appartengono a un?alleanza creata da Addis Abeba nel 2001.
Vita: Sì, ma la minaccia eritrea?
Marchal: In quel caso vale la regola secondo la quale i nemici dei miei nemici sono miei amici. Il regime Yussuf è nemico dell?Eritrea, a sua volta nemico dell?Etiopia, quindi il governo transitorio diventa amico di Addis Abeba e nemico dell?Asmara.
Vita: Le Corti islamiche sono così forti come ce le descrivono?
Marchal: No. A Mogadiscio hanno vinto grazie al sostegno di tutte le classi sociali della capitale somala, stanche delle vessazioni subite dai signori della guerra. L?entrata a Burhakaba del 19 luglio ha dimostrato la disorganizzazione che regna tra gli islamisti somali. L?avanzata militare delle Corti è stata in realtà opera di un sottufficiale di Baidoa rispetto alla quale nessuno dei grandi responsabili militari delle Corti era stata avvisato.
Vita: Sul fronte islamico, quale corrente sta prevalendo?
Marchal: Oggi le Corti vogliono i negoziati perché c?è un evidente problema di sovranità nazionale. Gli etiopi sono presenti nelle regioni di Bakool, Hiran, Gedo e Bay. La loro è una presenza militare pesante. Non a caso Sheykh DBayhir ha posto il ritiro delle truppe etiope come condizione preliminare alla ripresa del dialogo con il governo transitorio.
Vita: Che ruolo spetta alla comunità internazionale?
Marchal: Intanto smetterla di assimilare le Corti ad Al Qaeda. Certo i loro leader non sono tutti moderati, ma non abbiamo a che fare con dei Bin Laden. Piuttosto, Usa e Unione europea devono convincere l?Etiopia a ritirare le sue truppe.
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