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Uranio: Commissione Mandelli conferma sindrome balcani

Eccesso di linfomi di Hodgkin ''statisticamente significativo'' per i militari italiani impegnati in Bosnia e in Kosovo. La terza relazione della Commissione Mandelli conferma

di Paul Ricard

Eccesso di linfomi di Hodgkin ”statisticamente significativo” per i militari italiani impegnati in Bosnia e in Kosovo. La terza relazione della cosiddetta Commissione Mandelli, incaricata dal ministro della Difesa di far luce sui tumori che hanno colpito i soldati italiani nei Balcani, avrebbe confermato – secondo quanto si apprende – i risultati dello studio precedente. Le patologie tumorali sarebbero complessivamente inferiori ai casi attesi; non cosi’, pero’, i linfomi di Hodgkin. Inoltre, secondo indiscrezioni, non verrebbe confermato il nesso tra linfoma di Hodgkin e l’utilizzo di munizioni all’ uranio impoverito, ma non sarebbe stata individuata una precisa causa della patologia. Il campione esaminato e’ stato esteso a circa 43.000 militari (rispetto ai 40.000 della precedente relazione); aumentati anche i morti e malati esaminati ed il periodo di osservazione, che e’ stato esteso a tutto il 2001. Secondo quanto si e’ appreso, il terzo dossier predisposto dalla Commissione scientifica istituita dal ministero della Difesa per far luce sulla cosiddetta ”Sindrome dei Balcani” e’ stato completato negli ultimi giorni e, presto, sara’ sul tavolo del ministro Antonio Martino. Erano stati 35, tra morti (9) e malati, i casi esaminati nella seconda relazione della Commissione Mandelli, aggiornati al 30 aprile 2001. La prima relazione, che si era fermata alla fine di gennaio, era invece arrivata all’analisi di 28 casi. I militari ”osservati” erano stati 39.491, in gran parte dell’Esercito (33.361), poi carabinieri (2.987), Aeronautica (2.760), Marina (364) e 19 civili. Quasi tutti i casi di morti e malati esaminati, conseguentemente, appartenevano all’Esercito (29), 4 ai carabinieri e 2 all’Aeronautica. La seconda relazione, presentata a fine maggio 2001, era arrivata alla conclusione che ”esiste un eccesso, statisticamente significativo, di casi di Linfoma di Hodgkin”: ne erano stati infatti osservati 11 casi, mentre quelli ”attesi” – in base alla media nazionale di 12 registri tumori italiani – erano solo 3,69. La prima relazione aveva evidenziato 9 di questi linfomi, ma il dato – a quanto pare per un errore di metodo di calcolo – era stato considerato ”statisticamente non significativo”. Al di sotto della media attesa, invece, sempre nel secondo dossier, le altre patologie tumorali. In particolare, i casi di linfomi non Hodgkin, che sono stati 5 (i casi attesi erano 6,3), e i tumori solidi: 17, contro 55,02 casi attesi. Diverso il discorso per le leucemie linfatiche acute: 2 quelle riscontrate (i militari sono entrambi deceduti), mentre i casi attesi erano 0,82. Il doppio, ma per il basso numero assoluto non si parla, in questo caso, di eccesso ”statisticamente significativo”. Nove, come detto, i morti: 5 per tumori solidi, 2 per linfomi non Hodgkin e 2 per leucemia. Nessuno per i linfomi di Hodgkin, una malattia dalla quale si riesce a guarire, se diagnosticata in tempo, nel 70 per cento dei casi ed oltre. Proprio l’eccesso di linfomi di Hodgkin aveva imposto la prosecuzione e l’ampliamento dell’indagine scientifica avviata, con un monitoraggio prolungato nel tempo, per avere una conferma dei risultati ottenuti, ma soprattutto per individuare le cause e i possibili fattori di rischio. Sulle cause, per quanto riguarda il linfoma di Hodgkin, la comunita’ scientifica internazionale non ha ancora molte certezze, anche se si tende a parlare di concause e non di un solo fattore scatenante la malattia. Lo stesso ministro della Difesa Martino, nelle settimane scorse, aveva sottolineato che trovare la causa dell’eccesso di linfomi di Hodgkin tra i militari italiani, non e’ soltanto ”un vantaggio per la Difesa”, ma sarebbe una scoperta di ”interesse scientifico mondiale”. Quello che e’ certo e’ che la patologia e’ una ”peculiarita’ tutta italiana”, come aveva ammesso lo stesso Mandelli presentando la sua seconda relazione, nel senso che questo eccesso e’ riscontrato solo tra i militari italiani impegnati in Bosnia e in Kosovo, e non anche tra quelli dei contingenti degli altri Paesi che hanno operato nello stesso periodo e nelle stesse zone dei Balcani. Riguardo all’uranio impoverito non e’ stato stabilito alcun nesso. La seconda relazione anzi lo escludeva, in base ai dati parziali in suo possesso. ”Dalle informazioni ad oggi disponibili non vi sono elementi che possano far ritenere che vi sia stata un’esposizione significativa ai composti dell’uranio”, si leggeva infatti nella seconda Relazione Mandelli, che pero’ non aveva completato tutte le analisi sul campione preso in considerazione. Secondo alcuni – uno schieramento trasversale, composto da parlamentari, associazioni di militari, medici e scienziati – la vera causa delle patologie starebbe nei vaccini: un mix di 35-40 vaccinazioni, tra facoltative e obbligatorie, in tempi strettissimi, che avrebbero gravemente indebolito le difese immunitarie dei soldati. Altri, invece, puntano l’indice contro inquinanti ”di vario genere” presenti nell’ambiente: si parla, in ordine sparso, di plutonio, benzene, radiazioni ionizzanti, contaminazioni legate alla natura degli obiettivi colpiti durante i bombardamenti. In attesa di certezze, comunque, i militari italiani ”fuori area”, e in particolare quelli impegnati nell’area balcanica, sono da tempo sottoposti a diversi test e controlli medici, il cosiddetto ”protocollo Mandelli”, con analisi periodiche per tenere sotto controllo la situazione. Sul versante retributivo, poi, una legge dell’agosto scorso e’ intervenuta a sanare una situazione incresciosa: diversi soldati affetti dalla presunta Sindrome dei Balcani, infatti, dopo un periodo massimo di convalescenza, avevano perso la retribuzione. La nuova normativa stabilisce invece che, finche’ non saranno conclusi gli accertamenti relativi al riconoscimento della dipendenza dalla causa di servizio, tutti riceveranno la paga. E per intero.

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