Welfare

Uova, panettoni, cioccolato Il carcere ci ha preso gusto

Sempre più detenuti impiegati nella produzione alimentare

di Marina Moioli

Dalla Fattoria di Al Cappone di Opera a Dolce libertà di Busto Arsizio, passando per l’orto di Bollate. Il buon cibo produce riscatto, ma anche utiliIl premio originalità va ai detenuti del carcere di Opera. Non solo hanno scelto un nome spiritoso, «Fattoria di Al Cappone», per il loro progetto di autoimprenditorialità, ma hanno anche avviato una redditizia produzione di uova di quaglia. Nel carcere di massima sicurezza più grande d’Europa esiste infatti un allevamento di 750 quaglie che produce 600 uova al giorno e coinvolge attivamente dieci detenuti. Un prelibatezza da gourmet che va letteralmente “a ruba”. Commercializzata dalla cooperativa consortile Consorzio Cascina Nibai, si trova in vendita da Eataly, Coop Lombardia e Carrefour. A ideare il tutto una giornalista, Emilia Patruno, che da vent’anni si occupa di volontariato nelle carceri e ha fondato a San Vittore Il Due, prima testata carceraria online: «La ricostruzione della persona passa esclusivamente dal lavoro. Sono orgogliosa perché con questa attività molti di loro stanno cambiando».
Quello di Opera è solo uno dei tanti esempi in cui un prodotto alimentare diventa un mezzo di riscatto, di crescita personale, di recupero di dignità personale. Attraverso il fil rouge del gusto i detenuti di molte carceri italiane hanno imparato a fare i contadini o a realizzare dolci, birre o mieli artigianali. Sempre in provincia di Milano, nel carcere di Bollate, i detenuti curano l’orto e producono verdura fresca: pomodori, fagiolini, peperoni e insalate. Oltre a rifornire la cucina del carcere, vendono le eccedenze produttive nello spaccio aperto al pubblico due giorni a settimana.
I maestri pasticceri sono invece l’orgoglio del carcere di Padova, dove ogni giorno una ventina di detenuti della Cooperativa Giotto sforna 200 chilogrammi di pasticceria fresca. «La nostra specialità è il panettone che ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti, come il premio dell’Accademia italiana della cucina», dice il responsabile commerciale Andrea Basso.
Il buono dietro le sbarre produce anche utili, visto che i progetti più riusciti riescono ad autofinanziarsi e avviare nuove iniziative. L’ultima nata è «Dolce libertà» nel carcere di Busto Arsizio, un laboratorio di produzione di cioccolato per 40 detenuti che hanno seguito un corso professionale e presto saranno in grado di produrre 700 kg tra praline, tavolette e uova pasquali oltre a 300 kg di biscotti, torte, tortine e panettoni. «Il nostro obiettivo», spiega Pierluigi Brun, anima dell’iniziativa, «è quello di puntare sul recupero attraverso il lavoro. Vogliamo inventare un futuro. Vogliamo lanciare dei prodotti sul mercato e venderli nei negozi e nelle pasticcerie. Questo per raccogliere fondi che serviranno anche per le attrezzature di laboratorio e per garantire ai detenuti una forma di sostentamento e di indipendenza economica».


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