Famiglia
Uomini sconfitti, ma veri Vi presento i miei Ospiti
«Gli albanesi, i disoccupati, gli anziani. Sono loro i personaggi delle mie storie. Non invento nulla: il mio set è la realtà, senza effetti speciali»
«Nei miei film parto da un?osservazione attenta della realtà, non dalla scrittura come accade a molti altri autori». Lo dice senza enfasi o accenni polemici. Eppure sta proprio in questa piccola enunciazione di metodo il segreto di Matteo Garrone, giovane regista romano (classe 1968) rivelatosi con il suo primo film ?Terra di mezzo?. Garrone sembra aver fatto suo il comandamento neorealistico di Zavattini di andare sul tram a osservare la vita delle persone invece di inventarsi delle storie, immaginarsi la vita. E infatti i suoi due film, ?Terra di mezzo? (presentato in anteprima proprio da ?Vita? due anni fa) e ora ?Ospiti?, raccontano storie vere di gente vera, in grado però di presentare fra l?altro squarci inediti della ?questione albanese? di cui i telegiornali ci presentano solo certi aspetti, e di coinvolgere anche chi vive situazioni lontane da quelle dei personaggi. Tanto da far sussultare fino alla commozione una platea di critici insonnoliti, come avvenne al festival di Venezia alla proiezione per la stampa delle 8.30…
Aria curiosa e sveglia, quando parla con la stampa Garrone continua a guardare i suoi attori-amici, con i quali non riesce a non stabilire un rapporto che va oltre il film. Non è un caso forse che diventato regista, dopo alcuni anni come aiuto operatore e l?esperienza della pittura, si sia ispirato al neorealismo, da cui ha preso anche la straordinaria capacità di far recitare attori non professionisti. Era così in ?Terra di mezzo?, dove metteva al centro dell?attenzione un gruppo di prostitute nigeriane, due giovani albanesi in cerca di lavoro e un anziano benzinaio (abusivo) egiziano. Ancor più sorprendente, in questo senso, è ?Ospiti?, in cui i suoi interpreti si rivelano bravissimi. Autoprodotto in assoluta economia, il film esce ora nelle sale italiane: dopo il debutto nello scorso weekend a Roma al Nuovo Sacher di Nanni Moretti, ?Ospiti? sarà a Torino e in seguito in altre città. Senza fretta, per conquistarsi spettatori con il passaparola e rispettare anche la natura del film, che racconta la strana amicizia, tenera e un po? malinconica, tra quattro personaggi emarginati dalla società: i due albanesi Gheni e Gherti, cugini (nel film e nella vita) che mal si sopportano, il giovane fotografo Corrado, sconclusionato e inconcludente, e l?anziano Lino, che dopo trent?anni di portierato in un condominio ha perso il lavoro a causa della pazzia della moglie. ?Ospiti? non è però un film dossier, ma uno sguardo diverso su spicchi di realtà di cui in genere si ha paura o fastidio. «Mi piace partire dall?osservazione della realtà, dalle immagini», dice il regista.
I tuoi attori sono presi dalla strada, secondo un?antica tradizione. È un modo per essere ancora più aderente alla realtà o è una scelta legata alle storie ?
«È la storia che detta il metodo. I miei film non partono dalla penna, dalla scrittura; per questo posso permettermi il lusso di scegliere le facce, non ho mai fatto provini… E poi dopo Terra di mezzo continuavano a ronzarmi in testa i personaggi di Gheni e Gherti, che già erano presenti in quel film: ho frequentato molto e conosciuto da vicino questi due ragazzi albanesi, e avevo voglia di raccontare tante cose su di loro».
Rappresentando i tuoi personaggi e gli scorci malinconici della città, sembri voler ricordare che ci sono aspetti della società di cui facilmente ci si dimentica.
«Che il cinema ?ufficiale? eviti la realtà più cruda è comprensibile, perché è una scelta che commercialmente non paga. Come sensibilità, mi sento più vicino a certe immagini ?dimesse?: perciò di un quartiere ricco come i Parioli, dove avviene la storia, scelgo tagli malinconici come lo è in realtà questo quartiere per nulla solare, di pura apparenza. In questo quartiere tutti e quattro i personaggi sono emarginati, in un certo senso, sono tutti degli ospiti. Tra l?altro, il personaggio di Lino, che è ispirato a un portiere che davvero fu mandato via dallo stabile in cui lavorava a causa della malattia mentale della moglie, è significativo perché trent?anni prima venne dalla Sardegna a Roma: perciò si riconosce nel giovane albanese Gherti, anche lui ha dovuto sradicarsi per cercare lavoro».
Nei tuoi film ci sono tanti temi importanti: la prostituzione, l?immigrazione, la miseria, il razzismo, la malattia, la disoccupazione… Eppure non si avverte il peso di tanti film ?impegnati? senza sincerità.
«Il mio tentativo è quello di affrontare problemi anche impegnativi rifuggendo la retorica del ?messaggio?. E nei momenti in cui un messaggio emerge comunque, cerco di mischiare le carte per non banalizzare il racconto. Forse sono film che possono rivolgersi solo a un pubblico che è in sintonia con i miei gusti: è questo il cinema che amo fare».
Scegliere un film poco pubblicizzato come questo, solo in apparenza respingente mentre si avvicinano i grandi film di Natale, sembra pazzia. In realtà ?Ospiti? è immediato, coinvolgente, capace di suscitare riflessioni senza pesantezze, perfino con un pizzico di umorismo.
Dateci retta: la visione non vi deluderà.
Finale a sorpresa.
Chi ha visto ?Terra di mezzo? e poi ?Ospiti? non ha potuto fare a meno di affezionarsi a Gheni e Gherti, che in realtà si chiamano Julian e Llazar Sota, cugini nel film e nella vita davvero divisi durante la lavorazione del film – come ?Ospiti? racconta – da un continuo rapporto di conflittualità. Dal dialogo con Matteo Garrone emerge anche una triste realtà: Llazar è stato rimpatriato in Albania perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Il rimpatrio è avvenuto in circostanze a dir poco amare. Recatosi insieme al regista e agli altri attori al festival di Sulmona, in Abruzzo, Llazar ha ritirato il premio come miglior attore della rassegna; una gioia di breve durata perché la sera stessa, nell?albergo che ospitava il gruppo, sono arrivati i carabinieri e se lo sono portato via. Il riscontro con i documenti lasciati in albergo gli è stato fatale. «E dire che al festival di Venezia, al celebre Hotel Excelsior, non ci avevano fatto nessuna difficoltà» commenta amaro Garrone. La storia di Llazar ricorda quello delle attrici nigeriane del nuovo film di Roberta Torre ?East side story?, rimpatriate perché senza lavoro regolare proprio quando, con il film, un lavoro vero lo avevano trovato. Un paradosso di ordinaria ottusità burocratica.
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