Non profit

Uno strumento che funziona sui tempi lunghi: trasformiamolo in cultura diffusa

L'esperienza delle grandi associazioni

di Sara De Carli

D’accordo, avevo le “antenne alzate” perché stavo lavorando a questo articolo. Però in una settimana, senza andarle a cercare, mi sono imbattuta per ben tre volte in comunicazioni che invitavano a fare un lascito in favore del non profit. Non sono poche. Segno che associazioni, enti e fondazioni su questo relativamente nuovo segmento del fundraising stanno investendo parecchio. Una è arrivata a casa per posta, allegata al notiziario informativo di un’associazione, le altre due stavano sul Venerdì di Repubblica e su Io donna: milioni di italiani le hanno avute sotto gli occhi.
«Sì, nella nostra percezione è aumentata la conoscenza e l’interesse del testamento come strumento di devoluzione del patrimonio», spiega Elisabetta Petrucci, direttore generale della Firc. La fondazione è nata nel 1977 dalla più nota Airc proprio con lo scopo di raccogliere lasciti testamentari: negli anni grazie alle eredità ha raccolto 228 milioni di euro, con 35 grandi personaggi pubblici italiani (dall’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi alla giovane Margherita Granbassi) che hanno accettato di fare da testimonial e inserito nel proprio testamento un lascito per la ricerca sul cancro. Chi li emula? «I lasciti a nostro favore spesso sono legati a un’esperienza personale o familiare con la malattia, e in questi casi siamo solitamente gli unici beneficiari del testamento», continua la Petrucci, «altrimenti compariamo accanto ad altri enti con le finalità più disparate. Questo ha fatto sì che negli anni sia aumentato il numero dei lasciti, ma con una modesta diminuzione del valore medio».
La formula della “condivisione” dell’eredità è talmente diffusa da poter essere considerata il “testamento tipo”. Si spiega anche col fatto che il profilo tipico di chi fa testamento per il non profit non è, come si penserebbe, qualcuno che già in vita è stato molto coinvolto con un’associazione, ma piuttosto un donatore medio che non ha sposato alcuna causa particolare. Aism, per esempio, dice Antonella Moretti, il direttore operativo, «è citata insieme ad altri enti nel 75% dei casi, un tempo era il contrario». La loro prima campagna risale a metà degli anni 90: «All’inizio eravamo in pochi a farle, ora non più, e il fatto che le persone preferiscano citare più enti beneficiari è una conseguenza di ciò. E il 74% dei nostri testatari è donna». Aism ha appena chiuso la sua ottava Settimana nazionale dei lasciti, con 33 incontri informativi sullo strumento testamentario, in collaborazione con il Consiglio nazionale del notariato. La Moretti spiega che «a questi incontri non vengono i nostri sostenitori, che già sono informati su questa possibilità. Arrivano altri cittadini e questo è importante, perché l’obiettivo primo è far aumentare il numero di chi fa testamento, tant’è che stiamo pensando a iniziative innovative insieme ad altri soggetti del non profit per rendere il testamento uno strumento normale, vicino a tutte le famiglie».
Arrivare a tutti è un po’ un refrain. Lo usa anche Stefania Censi, responsabile lasciti di Unicef: «Fino ad oggi i nostri testatari sono stati prevalentemente persone senza eredi legittimi, ma con una propensione per l’infanzia. Ovviamente continueremo a lavorare su questo target, visti anche i dati demografici, ma dovremmo riuscire ad allargare il campo a tutti, anche a chi ha figli, spiegando che un piccolo lascito al non profit non lede i loro diritti. Questo aiuterebbe molto tutte noi associazioni, anche più di un’eventuale agevolazione fiscale».
Questo lo stato dell’arte. L’altro lato della medaglia è come il non profit vive, al proprio interno, una forma di fundraising che è sì altamente remunerativa, ma che allo stesso tempo è caratterizzata da alcune difficoltà: tempi lunghi (gli effetti di una campagna si vedranno tra 5 o 20 anni), gestione del patrimonio ereditato (che siano titoli o immobili vanno gestiti e poi alienati), spesso serve mettere in campo un legale… Marco Piazza, direttore Relazioni esterne di Fondazione Telethon, che nei primi sette mesi di quest’anno sociale ha quasi triplicato le entrate da lasciti, ammette che l’unico riscontro immediato sono «le richiese di informazioni che arrivano mentre il “piano media” è in atto, e sono cresciute molto». Enrico Senes, responsabile del fundraising della Fondazione piemontese ricerca sul cancro (dal 2008 più del 30% di quel che entra viene da lasciti) spiega che «è impossibile dare un trend, perché il valore dei lasciti varia moltissimo e comunque l’iter si chiude almeno due anni dopo l’apertura del testamento, per cui le entrate da lasciti che io le dico per il 2011 in realtà non corrispondono ai testamenti aperti nel 2011». Concetto ribadito da Paola Costantini, dell’ufficio legale del WWF: «Molte pratiche durano diversi anni quindi spesso le entrate di un lascito sono disponibili molto tempo dopo la sua disposizione». Gabriella Salvini Porro, presidente di Federazione Alzheimer, mette in luce «la difficoltà di far capire chi siamo per una realtà come noi che non fa né assistenza né ricerca, ma advocacy». Infine Giampaolo Vassallo di Amref sintetizza così: «Serve una classe dirigente capace di vederne l’opportunità, perché è difficile valutare l’impatto di un’iniziativa in questo senso». Dal movimento che c’è, almeno tra i brand più noti, si direbbe che l’opportunità il non profit italiano l’ha vista.


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