Salute
Uno sparo sotto la Cupola
Il suicidio di Mario Cal complica la crisi del San Raffaele
Una svolta drammatica, il suicidio con un colpo di pistola di Mario Cal, il braccio destro di don Verzé, cambia bruscamente la prospettiva della lunga e profonda crisi del San Raffaele, a Milano. I giornali dedicano ampio spazio alla vicenda di cronaca, ma anche alla situazione dell’istituto fondato da don Verzé.
- In rassegna stampa anche:
- POVERTA’
- ANNIVERSARIO G8
- LAVORO
- GIOCHI D’AZZARDO
“«Pago colpe non mie» Suicida il vice di don Verzé” è il titolo di taglio nella prima del CORRIERE DELLA SERA. In poche righe il riassunto della notizia: “«Mi uccido, perdonatemi. Pago colpe non mie» . Suicida con un colpo di pistola in testa Mario Cal, 72 anni: per più di trenta ha lavorato al San Raffaele con il fondatore, don Luigi Verzé (insieme nella foto a fianco). Ma è giallo sull’arma spostata, una Smith&Wesson calibro 38. Cal era il braccio destro di don Verzé e con lui ha affrontato anche il recente dissesto. Sul crac dieci giorni fa è stato interrogato, ma senza essere accusato di nulla, solo come persona informata sui fatti. «Non sono mai stato così addolorato nella mia vita come in questi giorni» , ha confidato Cal poco tempo fa al suo legale, l’avvocato Rosario Minniti, che sulle ragioni del suicidio ora dice: «Era disperato perché vedeva crollare un sogno: quello di curare i malati nel miglior modo possibile»”. I servizi alle pagine 14 e 15. Ma in prima parte anche il commento di Aldo Cazzullo: “Il castello di carte dell’uomo invisibile”, che si conclude a pagina 38. Scrive Cazzullo: “La sua fine rischia di non essere compresa fuori dal contesto di un’impresa e di un circolo chiuso come il San Raffaele e i suoi fondatori. Don Verzé non si considera solo un prete. Si definisce «teoantropologo» , termine da lui coniato per indicare la coabitazione tra l’uomo e la divinità (ad esempio è convinto che al momento della morte Dio ricrei il nostro corpo immediatamente, senza attendere la fine dei tempi; dove siano però i nuovi corpi dei morti, questo non lo sa neppure lui). Forse erano migliori i tempi in cui dei suicidi non si parlava. Forse era già tutto scritto sulla soglia del San Raffaele, «tempio della sofferenza» come da iscrizione all’ingresso, luogo di allegorie e di simboli. Vi sono effigiati Tobia, Giobbe— Pelle per pelle è il titolo dell’autobiografia di don Luigi scritta con Giorgio Gandola —, il Cristo, le donne della Bibbia, Esculapio, e una scritta che piacque a Massimo Cacciari, a lungo rettore dell’università: «Jesus Deus patiens» , Gesù è Dio che soffre”. Ma torniamo ai fatti. Apre pagina 14 il pezzo di Alberto Berticelli e Gianni Santucci: “San Raffaele, suicida l’uomo dei conti”. Un passaggio inquietante: “ L’idea che il carattere forte di quest’uomo sia stato macerato in pochi mesi, e infine annientato dal dissesto economico, appare tra le righe di una nota diffusa dal nuovo Cda: «Il gesto così grave e imprevedibile compiuto dal dottor Mario Cal… accresce la consapevolezza sulla delicatezza e sulla gravità dell’attuale situazione» . Dagli elementi raccolti dagli investigatori e dalla polizia scientifica, coordinati dai pm Maurizio Ascione, sembra emergere però un percorso più cupo. A partire da quella «bugia» alla segretaria Stefania, e dal fatto che Mario Cal non avesse motivo di andare nel suo ex ufficio ieri mattina. Come se avesse scelto di uccidersi nel «suo» ospedale per dare un messaggio. E poi ci sono le poche parole indirizzate alla moglie, che raccontano una sensazione di ingiusta solitudine più che di sogni infranti: «Ancora una volta ho pagato per errori di altri. Tu sai che non ho colpe»” . Il CORRIERE intervista Massimo Cacciari, che nel 2002 ha fondato la facoltà di Filosofia del San Raffaele, assieme a don Verzé, e nell’università Vita-Salute San Raffaele è docente di Estetica. Ecco un passo del suo pensiero, raccolto da Annachiara Sacchi: “Lei era a conoscenza della gravità della situazione? «Che il San Raffaele navigasse in cattive acque era il segreto di Pulcinella. Certo che si sapeva» . Qualcuno, dopo il suicidio di Mario Cal, ha subito ricordato — con angoscia — la stagione di Tangentopoli. Concorda professore? «Il fatto è che Tangentopoli non è mai finita e di certo non potrà cessare finché non si metterà mano a una seria riforma di sistema» . Cosa intende dire? «Che da vent’anni in Italia la politica è inesistente. Ci sono solo corruzione e caste e privilegi. Per questo motivo ho deciso di mollare»”. Simona Ravizza tratteggia la figura di Mario Cal: “Il manager invisibile che girava con la pistola”, mentre Mario Gerevini, a piede di pagina 15, affronta i retroscena dell’inchiesta: “Quegli strani affari all’estero dietro il buco”. Leggiamo: “Sembra che i debiti siano emersi improvvisamente. Ma non è così. Don Verzé con le sue relazioni ad altissimo livello (Silvio Berlusconi su tutti) e con quella grande abilità nel mescolare scienza e sanità, no profit e business, biotecnologie e jet personali, ha tenuto a distanza banche creditrici e fornitori. Cal intanto dava una veste contabile minimamente dignitosa agli slanci spesso visionari dell’onnipotente prete-manager. Come la cupola di 60 metri d’altezza sovrastata da una statua di 8 metri dell’angelo San Raffaele. Megalomania allo stato puro che però richiede liquidità. Ed evidentemente c’era. O si trovava. Curare le persone che cos’ha da spartire con gli hotel in Sardegna? O le piantagioni di manghi e meloni in Brasile? E quanti milioni sono stati buttati nella società neozelandese proprietaria del jet su cui viaggiava don Verzé? Era Cal a gestire i «capricci» . Quando il coperchio è stato appena un po’ sollevato, la «spazzatura» estera è piovuta sui bilanci”.
“Shock al S.Raffaele, si uccide in ufficio il vice di don Verzè”. REPUBBLICA sceglie di mettere il caso S.Raffaele in prima pagina di fianco all’apertura dedicata all’ennesimo crollo delle borse. Il racconto “I debiti del manager di Dio” è firmato da Ettore Livini. Il pezzo ricostruisce la spirale di debiti in cui è sprofondata la fondazione Monte Tabor di don Verzè (un miliardo di buco). Al vetriolo la chiusa del pezzo: “«Volevo essere un grande delinquente o un Grande Santo», ha raccontato lui. La Procura di Milano sta indagando sui buchi un po’ misteriosi del San Raffaele. La storia racconterà a quale delle due categorie, magari dopo 150 anni di vita, potremo catalogare il sacerdote di Illisi”. È affidato a Cinzia Sasso il ritratto di Mario Cal, sotto il titolo: “L’ultimo caffè al bar, la porta chiusa e poi quello sparo”. Cal viene descritto come «il fratello gemello di don Verzè: entrambi veneti, erano inseparabili compagni di avventure». Cal aveva «un appartamento in via della Spiga, villa ad Arona, Mercedes e Maserati». Infine il vaticanista Orazio Della Rocca parla di imbarazzo della Santa Sede e dell’oscuramento della notizia da parte dell’Osservatore Romano.
Dura la controapertura de IL GIORNALE: “Meglio la morte che il linciaggio” il titolo, e pezzo che unisce cronaca e commento scritto direttamente dal direttore Alessandro Sallusti. Dopo aver raccontato il percorso di “concretezza visionaria” di don Verzé e della sua creatura, Sallusti arriva al dunque del tragico suicidio di Cal: «Il suicidio di Cal, uomo non certo fragile o depresso, non è da archiviare come fato di cronaca nera. È piuttosto da inserire in un clima fetido che ormai contagia tutto e tutti. Una sorta di guerra civile che ricorda i tempi di Tangentopoli», e via a elencare i casi di Raul Gardini e Gabriele Cagliari. Continua: «Il suicidio preventivo come protesta estrema, totale mancanza di fiducia in una giustizia cinica e feroce, ribellione a un vento giustizialista che non distingue più nulla, nelle aule dei tribunali come sui giornali». Segue breve cronaca del Caso Craxi. Conclusione: «Non cadiamo nel tranello. Chi soffia su questo fuoco non cerca il cambiamento ma lo sfascio. E come ha dimostrato Tangentopoli, chi soffia su questo fuoco non sarà il vincitore di domani. Dai suicidi e dalle manette non è mai nato nulla di buono. Al massimo qualche pm ammazza Casta è entrato nella Casta (Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio, eletti onorevoli della sinistra)». Esce dalle politicizzazioni del gesto il commento d’appoggio di Stefano Zecchi, che prova a scavare nel significato universale di un «gesto irrevocabile di fronte all’abisso». Che tocca «tanta gente anonima che si toglie la vita, storie note solo alla cerchia ristretta dei parenti e degli amici», ma che impone una riflessione quando questi gesti sono il frutto di una “gogna mediatica” schiacciante, «che aggiunge dolore al dolore, vergogna alla vergogna, che aggiunge un ulteriore, crudele motivo che provoca la scelta del suicidio».
Se l’apertura è dedicata ancora alla manovra e alle ricadute in Borsa con il titolo “Profondo rosso”, la falsa apertura della prima pagina de IL MANIFESTO è sul “dramma al San Raffaele di Milano” come spiega l’occhiello “suicida il vice di don Verzè Chi ha spostato la pistola?” è il titolo. Nelle righe pubblicate in prima pagina la notizia, mentre all’interno alla vicenda viene dedicata l’intera pagina 5. Sempre in prima pagina Norma Rangeri firma l’editoriale dal titolo “Una tragica farsa”, che mette in parallelo il suicidio di Cal con la crisi politica e le memorie di Tangentopoli. Scrive Rangeri: « Ci mancava il suicidio eccellente perché il copione di Tangentopoli rivivesse anche nei macabri dettagli del colpo di pistola alla tempia. Ieri il numero due del San Raffaele si è sparato nel suo ufficio, travolto dallo scandalo del debito colossale di un’impresa sanitaria governata a maggior gloria da don Verzé, il prelato folgorato da Berlusconi, benedetto come un miracoloso dono di dio. Se le repliche della storia assumono i contorni grotteschi della farsa, l’eco della Smith&Wesson risuona come una farsa tragica. Per i protagonisti che ne sono gli interpreti e per il paese che li tollera o li subisce (…) ». A pagina 5 nell’ampio articolo di apertura si ripercorre le tappe della vita di Cal a fianco di don Verzé e quelle dell’ospedale San Raffaele che viene descritto come «Un business oliato dalla potenza economica di Cl, che permette al nosocomio ambrosiano di gestire soldi a palate. La riforma sanitaria voluta nel 1997, guarda caso dal Pirellone di Roberto Formigoni, ha permesso ai conti dell’ospedale – già allora in rosso – di respirare grazie all’incremento dei pazienti rimborsati dal servizio pubblico, e all’intero gruppo di espandersi con l’apertura di nuovi poliambulatori. Tutto questo mentre gli ambulatori pubblici chiudevano e i manager pubblici che provavano a ricostruire la rete venivano rimandati nelle Asl di provincia, ad opera dei dirigenti ciellini della sanità regionale (…)» si prosegue con le vicende degli ultimi giorni e l’arrivo degli uomini voluti dal Vaticano per il salvataggio del San Raffaele e con il quesito sullo spostamento della pistola prima dell’arrivo delle forze dell’ordine e conclude: «(…) Inutile attendere una dichiarazione dal mega-arcangelo Gabriele posto sulla cupola del nuovo edificio dell’ospedale, inaugurato in pompa magna due anni fa, un gigante in vetroresina e acciaio inox alto più di otto metri che nelle ore del tramonto sembra Batman che incombe su Gotham City. Invece è la periferia di Milano, e siccome il San Raffaele – come dicono i suoi dirigenti – “non è stato affatto un caso di malagestione”, l’arcangelo è costato due milioni e mezzo di euro». In un ampio box la biografia di Cal “Mario Cal, vita agra di un braccio destro». Si legge «(…) fino alla settimana scorsa gestiva un impero della sanità con propaggini stravaganti come alberghi, piantagioni di manghi e meloni, jet. Ma nel momento in cui ha premuto il grilletto non era più nulla, il suo gruppo sepolto sotto un miliardo di euro di debiti, la sua poltrona appena occupata dal rampante pupillo del cardinal Bertone, Giuseppe Profiti, il suo mecenate, don Luigi Verzè allontanato dal ponte di comando della creatura che entrambi avevano costruito nel corso di decenni (…)».
Al San Raffaele IL SOLE 24 ORE dedica la pagina 15. L’apertura con la cronaca, di spalla la situazione finanziaria “Le banche in pressing per avviare il concordato”: «C’è preoccupazione: sotto osservazione ci sono i numeri del gruppo, per il quale i consulenti tecnici e legali chiedono il concordato in continuità come unica strada per evitare il fallimento e per congelare le ingiunzioni di pagamento dei fornitori, nel frattempo arrivate a superare quota 60 milioni. Numeri impietosi: circa 900 milioni di euro complessivi di indebitamento, dei quali 600 verso i fornitori, svalutazioni per quasi 55 milioni come evidenziato dalla relazione di Deloitte e la necessità di avere al più presto quei mezzi freschi per 200-250 milioni promessi dallo Ior, la banca del Vaticano, in modo da coprire le perdite di bilancio (nel 2010 quelle dichiarate ammontavano a 60 milioni di euro). (…) Ma è difficile che il concordato possa essere accettato già ora dal nuovo consiglio del Monte Tabor, al quale è stata passata venerdì scorso la patata bollente del salvataggio. I nuovi consiglieri e soprattutto il neo-eletto vicepresidente Giuseppe Profiti, presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, l’uomo che il Vaticano ha scelto per salvare Don Verzè dal fallimento, avrebbero infatti convinto il prete-manager a farsi da parte, a condizione che non venga scelta per il San Raffaele la strada del concordato. Per cercare opzioni alternative alcuni consiglieri del nuovo Cda starebbero provando a contattare professionisti noti nel mondo della finanza. Sarebbe stato chiesto l’aiuto dell’avvocato Francesco Gianni, uno dei legali italiani più conosciuti, ma anche di Enrico Bondi come super-consulente. L’obiettivo potrebbe essere quello di ricreare sul San Raffaele la coppia che ha risanato Parmalat con l’amministrazione straordinaria. Ma su entrambi i nomi c’è grande riserbo, soprattutto su quello del manager, che non avrebbe dato ancora il suo assenso. (…) Ma su tutta la vicenda resta un grande punto interrogativo, a maggior ragione ora che il suicidio di Mario Cal sta avendo effetti dirompenti. Dell’offerta del Vaticano, di cui si è molto parlato, finora non c’è traccia concreta nè un pezzo di carta che la attesti. E nulla si sa anche della fantomatica charity internazionale che dovrebbe mettere sul piatto un miliardo di euro in cinque anni. Le banche e i consulenti legali ritengono, dunque, la strada del concordato come l’unica praticabile, e che consentirebbe di avviare le dismissioni degli asset non strategici (l’albergo in Sardegna e Blu energy, cioè la centrale di energia elettrica di Vimodrone) che, per ora, sono bloccate». Carlo Marroni, di taglio basso, si occupa di Oltretevere: «Il San Raffaele è un tassello dell’ampia partita che la Santa Sede sta giocando sullo scacchiere italiano. Una partita diretta dal Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. È stato lui a lanciare l’idea che sotto il capello della Curia romana possa nascere un grande polo sanitario di livello nazionale senza eguali. E così, pochi mesi fa, in Curia si è iniziato ad analizzare l’ipotesi di intervenire in un possibile salvataggio del San Raffaele, il maxi polo fondato da don Verzè. Approfondimenti che si sono intensificati dallo scorso aprile quando sono emerse con grande evidenza le difficoltà di rientro, anche parziale, del debito monstre. Il suicidio di Mario Cal – membro dei Sigilli, il gruppo di persone che alla causa del San Raffaele hanno consacrato la vita – getta un’ombra scura su tutta la vicenda. Ma il progetto per ora va avanti. Che in sostanza è quello di dare una unicità di proprietà e di guida ad un gruppo sanitario comprendente l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e il San Raffaele. A cui, nel desiderio vaticano, si dovrebbero unire anche la Casa del Sollievo della Sofferenza, la struttura creata da padre Pio a San Giovanni Rotondo già da qualche tempo governata da persone vicine al cardinale, e il Policlinico Gemelli. Designato da Bertone a guidare il progetto sul campo è Giuseppe Profiti, nominato alla presidenza del Bambino Gesù nel 2008, anno in cui finì agli arresti per concorso in turbativa d’asta nella sanità lugure, per la quale è stato condanato a sei mesi (c’è pendente il ricorso in Cassazione). Da venerdì scorso Profiti ha assunto pieni poteri al San Raffaele nel cui cda sono entrati altri tre esponenti di emanazione vaticana, tutti vicini al segretario di Stato: l’ex ministro Giovanni Maria Flick, l’imprenditore genovese Vittorio Malacalza e il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi. E proprio dalla banca vaticana dovrebbero arrivare i mezzi freschi per il salvataggio del polo ospedaliero milanese: per ora si studiano conti e bilanci ed entro tre mesi ci dovrebbe essere la ricapitalizzazione, stimata in 200 milioni».
AVVENIRE dà la notizia con un piccolo taglio basso in prima pagina: “Choc al San Raffaele. Si uccide in ospedale l’ex vicepresidente Cal” e dedica alla “tragedia di Milano” le pagine 10 e 11. L’ articolo di Giorgio Ferrari sulla storia della Fondazione, che attualmente conta 4mila dipendenti e oltre 600 milioni di fatturato comincia così: «Il gigantismo ha ferito il San Raffaele. Quello slancio verso traguardi sempre più ambiziosi, spesse volte raggiunti, superati, rincorsi, poi ancora più in alto, come se l’asticella di quel balzo verso il cielo non fosse mai abbastanza ardua da superare. Sta qui la grandezza e insieme la debolezza dell’opera di don Luigi Maria Verzé… ». La conclusione è che la sua «elefantiaca creatura si è rivelata nello stesso tempo una pericolosa macchina mangia-utili. Tutte cose che don Verzé non ama guardare da vicino. E che nulla tolgono ai primati del San Raffele e a un’eccellenza durata quasi mezzo secolo». Oltre al normale business sanitario, ricorda AVVENIRE, «l’azienda si è sviluppata in altri settori – alberghi, aziende agricole, jet – che però non hanno dato i risultati attesi e hanno portato all’attuale situazione di grave sofferenza debitoria». Il 71enne Mario Cal che si è sparato ieri mattina era da oltre vent’anni “l’alter ego” del fondatore del nosocomio milanese e il regista finanziario dell’istituzione. Nello Scavo si occupa delle indagini e parla dei possibili motivi del suo gesto: «Chi lo conosceva dice che era tormentato dai debiti accumulati dal San Raffaele. Oltre 900 milioni dovuti a fornitori e banche, che però negli ultimi giorni hanno tirato un sospiro di sollievo: l‘ingresso di nuovi soci nella Fondazione porterà abbastanza liquidità da non far temere il fallimento del “sogno” di don Verzé. Un piano di risanamento al quale Cal aveva dovuto però pagare un prezzo. Ieri era tornato in ufficio per il passaggio di consegne a Giuseppe Profiti…. Forse la risposta al perché di quell’arma rivolta contro se stesso sta nelle parole dell’avvocato Minniti. L’amico di sempre che ora lo ricorda come “uomo addolorato”, alle prese con una “disperazione” motivata soprattutto dal “crollo di un sogno”». Infine nel sommario AVVENIRE sottolinea il comunicato del nuovo Consiglio di amministrazione che ha espresso «dolore e sgomento per il gesto così grave e imprevedibile che accresce la consapevolezza sulla delicatezza e sulla gravità dell’attuale situazione e sulla e necessità del massimo impegno per il pronto risanamento della struttura».
LA STAMPA dedica tre pagine al caso San Raffaele. “Si spara in ufficio il vice di don Verzè” è il pezzo di Fabio Poletti che racconta la cronaca. «Mario Cal trevigiano, classe 1939, fino a venerdì scorso quando aveva fatto gli scatoloni vicepresidente della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, ora dimissionario, diceva che questo era il “suo” ospedale. Così “suo” che non ha voluto vederlo andare in pezzi e ieri mattina alle 10, dopo un caffè e come tutti i giorni il saluto a Stefania alla segretaria di una vita, si è chiuso nel suo ufficio al sesto piano dove qualcuno aveva già ammonticchiato i suoi effetti personali e le ultime carte, ha preso la calibro 38 che aveva sempre con sé perché non aveva mai voluto la scorta e si è sparato un colpo di pistola alla testa. Dicono che avesse paura di finire in carcere come nel ’94». Andrea Tornielli invece descrive il retroscena nel suo “Duro colpo per la strategia di Bertone l’accentratore”. « L’operazione San Raffaele vede come protagonista ultimo il cardinale Tarcisio Bertone, 77 anni a dicembre, Segretario di Stato dal 2006, intenzionato a creare un polo sanitario europeo che metta insieme il Policlinico Gemelli e il Bambin Gesù di Roma, il San Raffaele di Milano, la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo». L’acquisizione del San Raffaele «rientra dunque in questa strategia. Bertone ha inviato a Milano quattro uomini a lui vicini per controllarlo: oltre al già citato Profiti, ci sono l’imprenditore genovese Vittorio Malacalza, il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e l’ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. I nuovi arrivati, dopo aver chiuso con la gestione di Mario Cal e aver ridotto ad onorifico il ruolo di don Verzè, intendono prendersi il tempo necessario per vagliare i conti del San Raffaele, che non è mai stato un ospedale «cattolico»: soltanto dopo lo Ior – non una qualsiasi merchant bank ma l’Istituto per le Opere di Religione – deciderà se procedere a un aumento di capitale e a cominciare a risanare i disastrati bilanci mettendo sul piatto duecento milioni di euro». Paolo Colonnello e Francesco Manacorda calcolano il buco dell’ospedale meneghino in “Il crollo finanziario e quei bilanci nel mirino dei pm”. «i debiti che superano i 900 milioni e i creditori che hanno perso la pazienza» ma non solo. «La recente relazione della Deloitte nella quale s’individua una svalutazione di 60 milioni di beni della Fondazione Monte Tabor, di fatto la socità di controllo del San Raffaele, aprendo così la strada all’ipotesi accusatoria che i bilanci degli anni scorsi siano stati falsificati». Michele Brambilla chiude il servizio firmando “La vita fino a 120 anni il sogno interrotto dell’imprenditore di Dio”. «Quando, pochi anni fa, don Luigi Verzé fece progettare una grande cupola accanto al suo ospedale, volle che in cima fosse prevista una statua dell’arcangelo Raffaele, e che quella statua avesse una caratteristica: essere più alta della Madonnina del Duomo. Fu non l’arcivescovo di Milano – al quale comunque non avrebbe obbedito – ma l’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, a proibirglielo: un arcangelo più alto della Madonnina sarebbe stato un pericolo per gli aerei in decollo e in atterraggio a Linate. Di fronte al diniego, don Verzé ordinò dunque che la cupola, all’interno della quale era previsto anche il suo ufficio, fosse ridisegnata fino a diventare di quindici centimetri più larga di quella di San Pietro.
Ora quella cupola è lì, in tutta la sua magnificenza, ben visibile da chiunque passi in tangenziale. Ma lungi dal rappresentare un trionfo, è il simbolo di un crollo: quello di un impero, il San Raffaele, che pareva indistruttibile».
E inoltre sui giornali di oggi:
POVERTA’
REPUBBLICA– Precari con figli a carico costretti a tornare nella casa dei genitori. L’inchiesta sugli italiani che sopravvivono con meno di mille euro al mese fa l’apertura di R2. Gianna P. è la protagonista del reportage di Jenner Meletti: «Gianna P., perdendo il lavoro, si trova dentro l’11% delle famiglie italiane che hanno una capacità di spesa inferiore a 992,46 euro al mese. “Adesso mi sveglio al mattino e mi dico: Gianna, fatti coraggio. Fai finta di essere ancora una ragazzina, alla ricerca del primo lavoro. Se sei stata capace di andare avanti, devi essere capace di tornare indietro e di ricominciare. Ho cominciato a lavorare nel 1995, avevo 21 anni. Primo stipendio, 800 mila lire. Prima receptionist, poi impiegata di buon livello. Due anni dopo mi sono sposata e le cose andavano davvero bene. Prima che l’azienda andasse in crisi, io e mio marito portavamo a casa 3100 euro al mese, 1500 io, 1600 lui. E c’erano la tredicesima e la quattordicesima, e anche i buoni pasto da 6,45 euro, che quando li hai quasi non ci badi ma quando spariscono ti accorgi quanto siano utili. Ci sentivamo non ricchi ma tranquilli. Un appartamento in affitto, a 600 euro al mese. Quattrocento euro per l’asilo nido del piccolo. Ecco, in questi giorni di caldo ci preparavamo per andare al mare, dieci o quindici giorni in un appartamento o in un hotel. E d’inverno ci prendevamo un’altra pausa, quattro o cinque giorni in Trentino, senza sciare ma con lunghe passeggiate sulla neve. Al ristorante o in pizzeria? Quasi mai. Preferivamo risparmiare per le nostre piccole vacanze o per portare il bimbo a Gardaland».
ANNIVERSARIO G8
IL MANIFESTO – Un’intera pagina, la 7, è dedicata ai dieci anni da G8 genovese. Nella fascia in testa alla pagina si legge “Movimenti – Gli indignados europei di oggi sono gli altermondialisti di dieci anni fa? Parla una protagonista delle proteste spagnole. Laureata, senza casa, senza lavoro, non avrà una pensione”. In apertura l’intervista a Sara Poras 27 anni da Madrid che afferma «Noi indignados siamo gli eredi dei no global», ma anche «Siamo qui per costruire reti di solidarietà tra i giovani colpiti dagli effetti della crisi» e che «Ci siamo spostati nei quartieri e tentiamo di evitare gli sfratti. In Spagna è un’emergenza». Nella stessa pagina, di spalla un articolo sul corteo in ricordo di Carlo Giuliani a Berlino che «finisce in scontri», mentre in un box Anna Pizzo parte dalla storia di Carlo Giuliani facendo un parallelo con i No Tav e la società dei beni comuni per concludere: «(…) Ad accompagnare questo “ritorno a Genova” non ci sono solo i ricordi né solo le persone più significative – i genitori di Carlo e la loro generosa disponibilità, don Andrea Gallo e la sua straordinaria ospitalità – ma si prevede una nuova ondata di giovani che dieci anni fa erano bambini, o anche di adulti che allora non avevano compreso quale fosse la posta in gioco. Con i referendum, ad aver scelto i beni comuni sono milioni di cittadini. Proprio quel che il movimento di Genova 2001 suggeriva».
LAVORO
ITALIA OGGI – Una pagina curata dalla Fondazione consulenti per il lavoro che annuncia il successo dei tirocini formativi sulla base dei dati di tre mesi di applicazione dell’istituto: 3.600 le opportunità attivate. La Fondazione ha pubblicato in questi giorni le linee guida per i tirocini formativi. «Un testo pratico con l’obiettivo di aiutare gli operatori a muoversi nella disciplina degli stage, che tra luci e ombre, possono essere un modo funzionale per acquisire le competenze da spendere in un successivo rapporto di lavoro. Le linee guide fanno luce sul rapporto Stato e Regione sottolineando che in base a una sentenza della Corte costituzionale il rapporto di lavoro è di competenza esclusiva dello Stato». Altra norma che il quotidiano mette in evidenza è che «i tirocini sono rivolti anche agli extracomunitari ma non a chi ha un permesso di soggiorno turistico. Per i neocomunitari, come bulgari e rumeni, il tirocinio è possibile se il neocittadino Ue è in possesso di assicurazione sanitaria, codice fiscale e documenti che attestino capacità reddittuale».
GIOCHI D’AZZARDO
AVVENIRE – “Adescamento, non libertà” si intitola l’editoriale di Giuseppe Anzani sul via libera all’azzardo on line definito “un delitto contro i poveri”. «Non ce n’era abbastanza di gioco d’azzardo e di scommesse e di puntate e di lotterie e di gratta e vinci e di altre diavolerie (50 miliardi all’anno, una follia)?», scrive Anzani. «Cosi si consegnano i fragili al’adescamento infinito, fin dentro casa». A pagina 13 la psicologa Daniela Capitanucci spiega che “con il poker cash avremo nuovi malati e famiglie rovinate dal gioco». Già ieri, giornata d’esordio, sono stati migliaia i giocatori on line in sole tre ore e molti di più saranno da venerdì, quando sarà possibile giocare tutto il giorno. Stimato un giro d’affari di 1,5 miliardi al mese.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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