Cultura

Uno sguardo femminile sul mondo in fiamme

La giornalista Marta Serafini nel libro "L’ombra del nemico. Una storia del terrorismo islamista” racconta delle sue esperienze sul campo in Iraq, Siria e Libia, prima e dopo l’avvento dell’Isis, ma anche a Kabul e in Nogorno Karabakh. «Il contatto con altre donne in quei contesti ti permette di raccogliere un’aneddotica diversa da quella dei politici e dei militari, ti dà una misura più concreta del quotidiano delle famiglie e delle comunità»

di Asmae Dachan

“L’ombra del nemico. Una storia del terrorismo islamista”, Solferino 2020 è il nuovo libro della giornalista Marta Serafini. Un’opera in cui l’autrice ripercorre diversi viaggi in Paesi nel Medio Oriente, ma anche nel Mediterraneo e in Afghanistan, per raccontare, dal punto di vista di una reporter occidentale, la vita e la morte in questi contesti.
Nel volume si leggono il desiderio e la necessità dell’autrice di vedere con i propri occhi, tornare all’essenza del mestiere di reporter. «Non si può fare i giornalisti da dietro uno schermo, è indispensabile andare sul posto per dare voce a tutte quelle persone che di solito non ascoltiamo e non interpelliamo. Quando parliamo di guerra, è importante occuparsi dei civili più esposti, le donne, i bambini, coloro che non hanno a che fare con il conflitto, ma ne pagano le conseguenze più alte. Le cose più interessanti che ho scoperto sulle guerre me le hanno raccontate proprio le persone più semplici, i civili appunto».

Marta Serafini, pagina dopo pagina, racconta delle sue esperienze sul campo in Iraq, Siria e Libia, prima e dopo l’avvento dell’Isis, ma anche a Kabul e in Nogorno Karabakh. «Il mio intento, con questo libro, era di raccontare chi è il nemico, che nel nostro immaginario sono solo i giovani che sono stati radicalizzati negli anni, mentre la realtà è più complessa; ci sono figure che si muovono, appunto, nell’ombra», racconta l’autrice. «Bisogna capire chi sta dietro questi fenomeni, quali sono le cause, da dove arrivano i finanziamenti, ma anche il ruolo di regimi e dei conflitti armati, che rendono più facile il moltiplicarsi e l’operare di questi gruppi. Il jihadismo si nutre di traffico di armi, di droga e di esseri umani. I gruppi jihadisti hanno attecchito e trovano terreno fertile dove la situazione politica è completamente destabilizzata; non è tanto diverso da quello che succede coi cartelli della droga che trovano reclute e facile accesso in contesti dove ci sono povertà, violenza e contesti instabili. C’è sicuramente una componente ideologica legata a una certa interpretazione religiosa dell’islam, ma perlopiù la motivazione è economica. I miliziani si spostano, infatti, da un gruppo all’altro a seconda di chi li paghi meglio. Ho cercato di spiegare la complessità di queste situazioni proprio attraverso la mia esperienza diretta in quei teatri, per contribuire a informare, ma anche a sradicare pregiudizi e a cercare di creare una certa sensibilizzazione su realtà spesso sconosciute».


Uno dei temi ricorrenti nel volume (nell'immagine la copertina), una sorta di fil rouge, è la questione migratoria. Civili in fuga dalle guerre, ma anche migranti che sognano di lasciare il proprio Paese in cerca di fortuna. Marta Serafini si è occupata anche di Libia, di trafficanti di droghe e di esseri umani, e nel corso dei suoi viaggi per il Mediterraneo ha anche affrontato il tema di partenze di tipo diverso, di certo non dettate dal desiderio di lavorare, i viaggi cioè dei cosiddetti foreign fighters. Giovani vocati al culto dell’odio che hanno sparso sangue di innocenti da nord a sud del Mediterraneo, arrivando a colpire anche recentemente il cuore stesso dell’Europa, con atti di barbarie tra cui la decapitazione del professor Pati.

Il lavoro di Marta Serafini, che conosce il mondo arabo e l’islam, punta anche ad andare a fondo del fenomeno del radicalismo e del terrorismo, ma anche fare luce su alcuni pregiudizi e sulle paure che nutrono certa retorica e propaganda. «Attraverso la mia newsletter settimanale Sherazade, a cui ho dato vita durante il lockdown, cerco di raccontare sfumature del mondo arabo e della cultura musulmana che non si conoscono o si conoscono poco, presentando storie di vignettisti, autori, registi di grande interesse».

Sul campo Marta Serafini ascolta dialoghi, raccoglie testimonianze e racconti, vive nei sotterranei coi civili durante i bombardamenti, come nella sua recente esperienza in Nogorno Karabakh, restituendo la realtà attraverso i suoi articoli, ma anche attraverso i suoi libri. “L’ombra del nemico” non è infatti il primo saggio della giornalista. «Rispetto agli articoli e ai reportage, un libro ti permette di riuscire a raccontare il tuo lavoro da un punto di vista personale, senza essere ostaggio del tempo e nel mio caso permettendomi anche di offrire un punto di vista più femminile».

Lavorare in Paesi come l’Afghanistan o in realtà come il campo di Al Hol, nel nord-est della Siria, dove sono stati rinchiusi, in mezzo a civili inermi, anche familiari dei miliziani dell’Isis, non è mai facile, in particolare per le reporter donne.
A questo viaggio è dedicato all’epilogo del libro. «Credo che ancora oggi per le donne fare questo lavoro sia difficile. Spesso quando si parla di terrorismo e jihadismo sono quasi sempre gli uomini che parlano, è il loro punto di vista che emerge, prezioso per carità, ma è importante avere anche uno sguardo femminile sull’argomento, soprattutto da quando le donne sono diventate protagoniste, nel bene e nel male, di questi fenomeni. La presenza delle donne nell’Isis è una realtà relativamente nuova rispetto al terrorismo di soli uomini e per raccontarlo è importante che ci siano anche voci di giornaliste. In generale, il contatto con altre donne in quei contesti ti permette di raccogliere un’aneddotica diversa da quella dei politici e dei militari, ti dà una misura più concreta del quotidiano delle famiglie e delle comunità. Entri nella vita di giovani che lottano per essere libere, per studiare e lavorare sottraendosi a matrimoni non desiderati, ma anche nella vita di anziane che hanno assistito a cambiamenti epocali e sanno raccontarteli attraverso l’esperienza vissuta in prima persona».

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