Welfare
Uno, nessuno, centomila. La fatica di essere senza dimora
L’Istat con il nuovo censimento ha rilevato che nel 2021 i senza dimora in Italia sono quasi centomila. Ma il dato si basa solo sulle residenze anagrafiche fittizie. La fio.PSD rileva che per quanto importante la fotografia è parziale, perché il dato è sottostimato e tiene fuori le persone che vivono in condizioni di grave povertà che non risultano in anagrafe
«Una è quella che quasi ogni giorno ci segnalano cittadini sensibili, nessuno sono tutti gli altri perché invisibili per la società, centomila il recente dato Istat basato sulle residenze fittizie». Bisogna partire da questa provocazione di pirandelliana memoria lanciata dalla Fio.PSD – Federazione Italiana Organismi Persone Senza Dimora – per approfondire meglio i freddi numeri con cui l’Istat nei giorni scorsi ha fotografato la situazione dei senza tetto in Italia. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, infatti, al 31 dicembre 2021 sono 96.197 le persone senza dimora iscritte in anagrafe. Di queste, solo il 38% è rappresentato da cittadini stranieri provenienti in oltre la metà dei casi dal continente africano. Ma questo censimento rappresenta una parziale verità, perché non vuole dire che tutte queste persone, quasi diecimila appunto, siano esattamente dei senza dimora, uomini e donne che vivono in strada, nei dormitori, sulle panchine, negli androni dei palazzi o nelle sale d’attesa delle stazioni ferroviarie. Perché in questa inedita rilevazione dell’Istat rientrano le persone che vivono nelle convivenze anagrafiche, quelle che risiedono in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei, e le persone senza tetto e senza fissa dimora. In pratica, i senza dimora che sono iscritti all’anagrafe in un indirizzo di residenza fittizio e presso l’indirizzo delle associazioni che operano in loro sostegno, e coloro che, pur non avendo un luogo di dimora abituale, eleggono il proprio domicilio presso il Comune dove dimorano abitualmente.
«Sicuramente questi dati sono importanti perché ci danno una prima conferma rispetto a quello che i nostri centri hanno registrato, e cioè l’aumento della grave condizione di povertà in Italia che ci spinge a non perdere l’attenzione su questo tema» spiega Cristina Avonto, presidente della fio.PSD, in rappresentanza dei 147 soci in 17 Regioni. «L’altra cosa che i dati ci dicono e che ci fa piacere è che c’è una certa diffusione dell’accesso alla residenza anagrafica fittizia, che è uno dei diritti di cittadinanza che in passato ha incontrato non pochi ostacoli nell'essere garantito». La legge italiana, infatti, collega una serie di diritti fondamentali – come il diritto al lavoro, al Welfare, al voto, alla salute – al possesso di una residenza. «Il terzo tassello che rileviamo, però, è che manca una lettura approfondita dei dati. Una lettura» sottolinea Avonto «che ci permetta di capire le cause, le condizioni specifiche delle persone, perché sono iscritte in una convenienza anagrafica. Avere queste informazioni a livello politico ci permette di poter incidere a livello di programmazione se non vogliamo lavorare solo sull’emergenza».
Anche per questo, la fio.PSD ha chiesto «al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e all’Istat che, partendo da questi dai che sono molto utili, sia possibile affiancare una nuova indagine focalizzata sulle persone senza dimora, in particolare» evidenzia Avonto «quelle che sfuggono dall’indagine, gli ultimi degli ultimi, chi vive nei dormitori. C’è tutta una fascia di popolazione che rischia di scomparire, che non risulta nelle residenze anagrafiche fittizie; fare un censimento di questa popolazione, ci permetterebbe oltre che di contarli anche di capire i loro profili, chi sono, che età hanno, da quanto tempo sono per strada e così via». Perché i dati dell’Istat presentano una fotografia parziale dell’estensione e del fenomeno della grave marginalità nel nostro Paese.
«Da un punto di vista quantitativo la rilevazione censuaria, adottando come fonte i soli dati anagrafici, rischia da una parte di sottostimare il numero di persone che possono più propriamente considerarsi senza dimora» prosegue Avonto. «Perché le precedenti indagini di tipo mista che abbiamo realizzato insieme all’Istat nel 2011 e nel 2014 ci hanno permesso di implementare le politiche di intervento, di attivare dei fondi e se negli ultimi sei anni in Italia c’è una politica nazionale per la homeless man è grazie al fatto che finalmente sono emersi i senza dimora, abbiamo potuto vederli, contarli, capire chi erano e si è potuto fare un programma nazionale per fare uscire queste persone dalla loro condizione di emarginazione. Un’indagine del genere ci permette di non lavorare in emergenza, ma attraverso un’attenta programmazione».
Avonto, però, fa un ulteriore rilievo. E cioè, «occorre fare una separazione tra persone che vivono in convivenze anagrafiche e le persone senza dimora. Perché coloro che risiedono in centri di accoglienza per migranti, alberghi o altri istituti assistenziali, come per esempio gli anziani che sono collocati nelle residenze, non hanno un bisogno sociale e di marginalità come quello delle persone senza dimora». Il nuovo censimento Istat, dunque, offre nuovi elementi di studio e di riflessione, come il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo. Un esempio è il caso di Foggia, che dopo centri di grosse dimensioni come Roma (23%), Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) con il 3,7% di iscrizioni anagrafiche è l’unico Comune più piccolo a riportare una quota significativa di persone senza tetto e senza dimora. «Questo dato» approfondisce la presidente della fio.PSD «lo leggiamo come un altro grande fenomeno emergente legato al tema dello sfruttamento lavorativo» chiarisce Avonto. «Il fatto che ci siano queste sacche di povertà ed esclusione porta di conseguenza molti migranti a vivere nei ghetti, a seguire i flussi dei caporalati nei vari territori per lavorare in agricoltura. Chi ha ancora dei documenti cerca poi di avere una residenza anagrafica fittizia per poter rinnovare il permesso di soggiorno. E’ una situazione che si verifica soprattutto lì dove sono presenti i ghetti per i lavori nel settore agricolo».
L’altra faccia della medaglia di questa condizione di povertà estrema ed emersione dall’invisibilità attraverso l’ottenimento della residenza anagrafica fittizia, quindi, è che si registra «l’esigibilità del diritto. Se noi potessimo avere tutti i cittadini con la residenza anagrafica fittizia» conclude Avonto «saremmo in grado di programmare delle politiche di senso, poter capire chi sono, chi ha i documenti, attivare interventi programmati. La residenza come diritto è lo snodo principale per la fuoriuscita dalla condizione di senza dimora». Uno, nessuno, centomila. L’unica certezza è che dietro ai numeri certi o presunti ci sono delle storie, delle vite, a cui le istituzioni sono chiamate a dare risposte concrete per offrire – a chi vuole cogliere o può cogliere questa opportunità – delle possibili vie d’uscita dalla polvere.
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