Non profit

Università, riforma nonostante tutto

Scontri e tensione, ma la Gelmini supera il primo esame

di Franco Bomprezzi

Riforma universitaria approvata dalla Camera dopo un percorso a ostacoli sotto il fuoco amico degli emendamenti dei finiani, mentre in tutta Italia esplode la protesta studentesca. I giornali ovviamente aprono su questo tema, raccontando gli scontri ma anche cercando di approfondire e di commentare i contenuti reali della legge di riforma.

“Sì alla riforma tra proteste e scontri”, così apre il CORRIERE DELLA SERA: nel sommario “Il governo battuto due volte, poi la Camera approva con 307 voti”. Molti i servizi nelle pagine seguenti. Capitolo scontri: da segnalare il pezzo di Fabrizio Roncone: “Zainetto e video anti-agenti, Sfila la generazione Facebook”. Il passaparola via web, i filmatini caricati in tempo reale, una forma di controinformazione e di nuovo legame, che poco ha a che vedere con i contenuti della riforma, ma molto da far pensare sulle nuove modalità di lotta studentesca. Ottimo e chiaro il primo piano di Lorenzo Salvia a pagina 5, che riassume i punti focali della riforma Gelmini. Ne citiamo solo i titoletti: contratti a tempo fino a otto anni per chi aspira a una cattedra; addio ai bandi, i nuovi docenti vengono scelti da un’unica lista; fino al quarto grado di parentela è vietato lavorare nello stesso ateneo; un solo mandato per i rettori, nei cda entrano tre esterni; borse di studio anche a redditi alti, diminuiscono per il dottorato; gli stipendi potranno crescere solo grazie a scatti di merito. Molte novità interessanti e positive “Ma il problema è sempre lo stesso, i soldi – scrive Salvia – Il funzionamento di molti meccanismi dipende dai soldi che saranno disponibili nel corso degli anni. Per il 2011 i fondi previsti dalla legge di stabilità riducono ma non eliminano i tagli. E alle università non sono ancora arrivati i soldi per il 2010”. Del resto la posizione del CORRIERE sembra essere quella di una difesa sostanziale della riforma, una posizione condensata nell’editoriale di ieri di Francesco Giavazzi, che ha provocato moltissimi commenti e lettere al quotidiano di via Solferino, una cui selezione viene pubblicata a pagina 6, mentre nell’edizione on line il fondo di Giavazzi è ancora disponibile per i lettori. Eccone un passo: “Il risultato, nonostante tutto, non è poca cosa. La legge abolisce i concorsi, prima fonte di corruzione delle nostre università. Crea una nuova figura di giovani docenti «in prova per sei anni», e confermati professori solo se in quegli anni raggiungano risultati positivi nell’insegnamento e nella ricerca. Chi grida allo scandalo sostenendo che questo significa accentuare la «precarizzazione» dell’università dimostra di non conoscere come funzionano le università nel resto del mondo. Peggio: pone una pietra tombale sul futuro di molti giovani, il cui posto potrebbe essere occupato per quarant’anni da una persona che si è dimostrata inadatta alla ricerca”.

“Sì alla riforma, università in rivolta” titola oggi LA REPUBBLICA che dedica servizi da pagina 2 a pagina 7 ai cortei e agli incidenti in tutta Italia. Per Berlusconi, che in Consiglio dei Ministri chiama l’applauso  per Maria Stella Gelmini, «gli studenti veri sono a casa a studiare, quelli che protestano sono dei centri sociali e fuori corso». Il presidente della Camera Fini individua invece i colpevoli in quegli “estremisti” che bloccando Roma e provocando incidenti «non hanno reso un buon servizio alla stragrande maggioranza di chi è sceso in piazza con motivazioni non totalmente condivisibili ma certamente animate da una positiva volontà di partecipazione e miglioramento dell’università». Per il Pd responsabile della tensione è invece il Governo. Bersani denuncia: «La stragrande maggioranza di studenti e ricercatori si è mossa pacificamente, mentre ha impressionato la città militarizzata. Se si è arrivati a questa tensione è per irresponsabilità del governo che ha perso la testa». Il giudizio sulla riforma lo dà Carlo Galli nell’editoriale “L’istruzione precaria” che parla di «riforma contrabbandata come rivoluzionaria, poiché sarebbe in grado di “sconfiggere le baronie, il mostro che a sentire la destra è responsabile di ogni male dell’Università – della corruzione, del clientelismo, del nepotismo, dell’inerzia, della proliferazione delle sedi. Dei fuoricorso, delle ingiustizie concorsuali. Un mostro abilissimo, che avrebbe plagiato i giovani, spingendoli, nella loro ingenuità, a contrastare la legge che invece sconfiggerà il malaffare dei professori universitari». Invece, secondo Galli l’università, al tempo del governo Berlusconi, si è ridotta a propaganda:  «A differenza di quanto avviene nel mondo sviluppato e in via di sviluppo, in Italia l’università è un costo, e non un investimento. E’ un problema e non una risorsa. La società della conoscenza è un orizzonte non condiviso dalla destra al governo. Non ci sono soldi per incentivare il merito dei professori, e non ci sono per le borse di studi degli studenti… La buona notizia è che la riforma resterà probabilmente inapplicata, perché la crisi di governo la spazzerà via. La corsa contro il tempo per approvarla, infatti, ha verosimilmente il solo scopo di munire la destra di almeno una riforma da sbandierare in campagna elettorale».

“Bersani si tiene i soldi dei precari” strilla IL GIORNALE che spiega «il segretario del Pd sale sui tetti, ma poi rifiuta di sovvenzionare i ricercatori con parte dei fondi destinati ai partiti» i dettagli dalla penna di Salvatore Tramontano: «L’uomo dei tetti ha detto no. A Roma piove di brutto. Quando Marco Malgaro e Bruno Tabacci presentano un emendamento nella riforma universitaria per finanziare i contratti a tempo indeterminato dei ricercatori sono sicuri che Bersani e i suoi uomini voteranno sì. Il segretario del Pd ha scalato il cielo a Valle Giulia. Ha offerto solidarietà ai precari. Nessuno si aspetta una mossa diversa. Invece Bersi si astiene, chè è come bocciare la norma. Trenta dei suoi votano no. Il tesoriere dei Ds, Sposetti, fa fuoco e fiamme, bestemmiando contro il dilettantismo dei rutelliani. Cosa è successo? Semplice Malgaro e Tabacci volevano prendere i soldi dalle casse dei partiti. Tagli ai finanziamenti pubblico dei partiti  e più soldi ai ricercatori.  Ma il partito di Bersani è generoso solo a parole».

La foto della manifestazione davanti alle camionette della polizia che proteggono il parlamento e a sfondare il titolo «il bunker» campeggiano sulla prima pagina de IL MANIFESTO per raccontare che: «Una Camera blindata vota la riforma dell’università, mentre all’esterno esplode la protesta di studenti e ricercatori. Cariche attorno alla “zona rossa” di Montecitorio, in tutta Italia “gatto selvaggio” in stazioni e autostrade. Berlusconi irride i manifestanti: “Gli studenti veri sono a casa a studiare”. Ma le proteste non si placano: “Fermeremo questa legge”» riassume il sommario che rinvia alle quattro pagine dedicate alla giornata di ieri. «La pazienza dei forti» è invece il titolo del commento in prima affidato a Benedetto Vecchi che scrive: «(…) La volontà di ridurre l’università italiana a simulacro della formazione garantita a tutti, è espressione diretta del modello di società che la destra persegue. Un progetto dove non c’è posto per quel diritto sociale duramente conquistato nei decenni scorsi: l’accesso al sapere e alla conoscenza come bene comune, proprietà di tutti. Per quel coacervo di populismo e logica aziendale che è la destra italiana, l’università deve tornare ad essere un luogo impenetrabile per la maggioranza di uomini e donne. Una logica feroce di censo e di classe squadernata senza ritegno da un premier e da ministri che si ritengono al di sopra della costituzione formale e materiale del nostro paese, chiusi, asserragliati nella loro città proibita. (…)I protagonisti della protesta hanno dichiarato la loro indisponibilità a far funzionare facoltà e dipartimenti. Nelle loro mobilitazioni sono riusciti a far diventare l’università un tema centrale nella discussione pubblica e il loro punto di vista ha conquistato consensi al punto da diventare maggioranza, nonostante la chiusura del governo e il basso profilo dell’opposizione parlamentare (…)». Le pagine 2 e 3 si aprono con il titolo «I giorni dell’assedio» e un corsivo sottolinea «L’applauso delle grandi firme». « Ieri la corazzata del Corriere della Sera ha pubblicato un editoriale di Francesco Giavazzi a sostegno del disegno di legge a firma di Maria Stella Gelmini. Niente di nuovo. (…) Con lo stile da maître à penser del liberismo all’italiana, Giavazzi elenca gli elementi positivi contenuti in questa controriforma. Dunque si scaglia contro il valore legale del titolo di studio, sostenendo che sarà il cliente finale a valutare la preparazione di un ingegnere. Cosa c’entri con il valore legale del titolo di studio non si capisce bene (…) Dimentica lo spostamento progressivo di risorse dall’università pubblica a quelle private. Né si accorge degli atenei sull’orlo del fallimento perché hanno visto ridurre i finanziamenti. (…)». Le altre due pagine proseguono il giro d’orizzonte delle manifestazione, mentre due articoli sono dedicati a: «Al Cepu regali di fine legislatura» e a «Polidori e Silvio, un affare di famiglia».

“Sì alla riforma degli atenei, proteste nelle città”, è il titolo della fotonotizia in prima del SOLE 24 ORE. Sempre in prima editoriale ancora una volta pro-riforma, questa volta a firma di Alberto Orioli “Il merito all’università è un aiuto ai giovani”: «Una protesta che sa più di revival per certa politica che di contrasto nel merito a un provvedimento, probabilmente, non conosciuto. Chi oggi alza in piazza gli scudi della cultura – da Cervantes a Saviano, da Proust a Ovidio – da contrapporre al plexiglas della polizia anti-sommossa forse non sa che protesta anche un po’ contro se stesso. Forse non sa che la legge introduce un ruolo qualificato dei discenti negli organi di governo dell’università e prevede la valutazione dei professori da parte degli stessi studenti, destinata a diventare uno dei criteri base per erogare fondi agli atenei. La riforma riequilibra le cattedre: oggi ci sono 300 sedi e almeno 2mila dottorati; resteranno poco più di 160 settori scientifico-disciplinari (contro i 370 di adesso) e ci potranno essere al massimo 12 facoltà per ateneo. Che senso aveva, solo per citare un esempio, mantenere a Genova uno squilibrio strutturale fatto di 16 professori di latino contro 3 di ingegneria gestionale? C’è un errore prospettico che la legge Gelmini vuole modificare: quello che l’università sia fatta solo dall’offerta. Che, forse è bene ricordarlo, oggi è tripla rispetto all’effettivo potenziale della domanda degli studenti. (…) Perché dovrebbe essere così scandalosa una riforma del reclutamento che prevede contratti a tempo di 6 anni (3+3) al termine dei quali se si viene valutati validi si viene assunti a tempo indeterminato? Perché non va se lo stipendio di chi entra in università (a 30 anni e non a 36 come oggi) passa da 1.300 a 2.100 euro? A lume di buon senso, non può che sembrare positiva la norma che prevede per i docenti l’obbligo di certificazione della presenza: quanti sono stati fino ad oggi i professori-consulenti che nella vita sono più consulenti che professori? Quella che passa come la privatizzazione degli atenei altro non è se non una robusta cura di efficienza gestionale in un ambiente che della sana e prudente gestione delle risorse non ha mai fatto una priorità. (…) L’efficacia didattica e la qualità della ricerca, invece, d’ora in poi saranno verificate dall’Agenzia nazionale di valutazione il cui responso sarà dirimente per ottenere i finanziamenti da parte del ministero. Sempre che i finanziamenti non vengano ulteriormente ridotti da politiche che sull’università hanno finora fatto cassa e non sviluppo. Il merito conta molto all’estero in quei paesi con tradizioni accademiche che, nel corso del tempo, sono diventate ben più blasonate della nostra. Non si vede perché non dovrebbe contare anche in Italia. Siamo pur sempre il paese che le università le ha inventate».

AVVENIRE affida l’editoriale sulle proteste universitario intitolato “Ma la malora no” a Davide Rondoni che scrive: «E adesso? Dopo i cortei, le manifestazioni, le vetrine rotte, i binari interrotti, i disagi per centinaia di migliaia di persone, l’indifferenza o la distanza della maggioranza degli studenti dalle proteste, insomma dopo questo circo un po’ tetro con gente sui tetti e scontri per strada e, insopportabilmente, fin dentro il Senato della Repubblica, cosa resta? Resta una democrazia più ferita e una serie di problemi sul tappeto. La riforma per l’università era necessaria. Per ridurre costi, per raddrizzare procedure, per evitare nepotismi…. E le riforme si fanno in Parlamento, se si crede nella democrazia…. Gli eventuali errori, si possono comunque sempre eventualmente rimediare. Le violenze no». Il titolo in prima pagina che sui tafferugli e sui cortei in molte città è “Università: la riforma avanza. E chi non ci sta prova le barricate”. Alle pagine 4 e 5 i servizi, con i pareri pro e contro la riforma. Per Marco Merafina, portavoce del Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari «La meritocrazia non si fa a costo zero. Le università fanno fatica a pagare gli stipendi, come potranno assumere nuovi professori? In America i fondi sono accantonati per legge». Gli risponde indirettamente il professor Sergio Belardinelli, ordinario di Sociologia all’Università di Bologna secondo cui la riforma «premia il merito e apre gli atenei ai territori» e che sostiene: «Non credo sia uno stravolgimento epocale e nemmeno quella rivoluzione così devastante paventata da chi protesta».

Il titolo di apertura de LA STAMPA di oggi è “Università, sì della Camera”. Sì, dunque, alla riforma universitaria. Fotogallery con spiegazione per il quotidiano di Torino, che spiega così, punto per punto la riforma Gelmini. Titolo “Riforma Gelmini ecco cosa cambia negli Atenei”. Il commento è affidato invece a Irene Tinagli nel suo “Gli scontri che rovinano le riforme”: «La domanda che molti cittadini si fanno di fronte a questo drammatico acutizzarsi delle proteste è se davvero, come suggeriscono i leader dell’opposizione, questa riforma distruggerà l’Università italiana, rendendola meno competitiva, meno efficace, meno accessibile, finendo addirittura per dimezzare nei prossimi anni le già basse iscrizioni universitarie, come hanno profetizzato alcuni. No, la riforma non ucciderà l’Università italiana. Non distruggerà l’Università il fatto di aver reso a tempo determinato i contratti per ricercatori, così come avviene in tutti gli altri Paesi» e aggiunge: «E’ evidente che si tratta di una riforma frutto di numerosi compromessi. Semmai, l’unica cosa di cui si può accusare la riforma è di essere stata fin troppo mite nell’introduzione di criteri di valutazione e selezione più stringenti e di essersi mantenuta piuttosto garantista verso alcune fasce di accademici (inclusi i 30 mila professori assunti con le ope legis degli Anni Ottanta, mai sottoposti ad alcuna valutazione, e non toccati dalla riforma)». Sullo sfondo – e nei servizi interni – i commenti del ministro degli Interno, Roberto Maroni: «Abbiamo evitato un assalto a Montecitorio, e non si dimostra con mazze», così come un faccia a faccia tra due rettori: Fulvio Esposito – Rettore Università di Camerino e Massimo Augello dell’Università di Pisa.

E inoltre sui giornali di oggi:

5 PER MILLE
LA REPUBBLICA – A pagina 22 l’articolo  “Cinque progetti contro il cancro, ma senza fondi si rischia lo stop” sulla presentazione dei progetti di ricerca dell’Airc e l’allarme sul taglio al 5 per mille. Oltre alle dichiarazioni di Piero Serra e ricercatori come Pier Paolo Del Fiore, un’infografica riporta i fondi erogati dal 2007 al 2011, quelli previsti in Finanziaria, l’importo medio per scelta della destinazione e la distribuzione degli importi.

IL SOLE 24 ORE – “L’Airc si fa in 10 contro il cancro”. «Nuovi studi sulle forme più pericolose di tumore alla mammella, sul cancro al polmone o sulle alterazioni di frammenti di Rna. Sono le ricerche pronte a partire in alcuni istituti italiani, ma – è l’allarme lanciato ieri dall’Airc (Associazione italiana ricerca sul cancro) – che potrebbero risentire dei tagli inseriti nella legge di stabilità: dal cinque all’1,25 per mille, con stanziamenti da 400 a 100 milioni. Per chiarire gli effetti sforbiciata, l’Airc ha illustrato i progetti già finanziati con i proventi della raccolta 2009 e quelli approvati per il 2010, che dovrebbero partire se la sforbiciata dovesse attenuarsi. Si tratta di un totale di dieci progetti i cui numeri parlano da soli: 48 istituzioni italiane coinvolte sotto la guida di dieci centri coordinatori, quasi mille tra medici e ricercatori, 120 milioni di investimento». 

PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
IL GIORNALE – I contenuti dell’ottavo  decreto attuativo del federalismo è oggi oggetto di incontro fra i presidenti delle regioni e il ministro Tremonti. Contiene importanti regole circa l’operato dei vertici degli enti locali. Fra i principi: «il governatore che mette in rosso la regione rischia l’estromissione  e il partito che lo candida subirà il taglio del 30% dei risarcimenti per spese elettorali. Se la corte dei conti riconoscerà che il comportamento c’è era dolo  o colpa grave l’amministratore non potrà ricoprire cariche pubbliche per 10 anni.  Arriva anche l’inventario di fine mandato, dove l’amministratore pubblico deve  indicare le misure anti-sprechi».

ECONOMIA
IL MANIFESTO – Un piccolo richiamo in prima pagina e due pagine (la 6 e la 7) per raccontare della crisi economica europea e delle sue ricadute sull’Italia «Dolori dai Btp: tassi record» è il titolo all’articolo di apertura. « Anche l’Italia nel vortice della crisi finanziaria: stanno crescendo i rendimenti dei Btp e superano del 2% quelli dei Bund tedeschi. Preoccupazione per le conseguenze sull’onere del debito pubblico. Anche perché la crescita è praticamente bloccata e sale il numero dei senza lavoro: il tasso di disoccupazione è tornato all’8,6%, il livello più alto dal 2004. Per Trichet la colpa è dei mercati: sottovalutano l’azione della Ue. Intanto la speculazione impazza» il commento è di Joseph Halevi che, nell’articolo intitolato «Irlanda day after: bailamme europeo» scrive: «(…) Escludendo di fatto la Germania, osservo che il debito pubblico dei paesi dell’euro non è più sovrano, essendo stato messo, per via politica, nelle mani di società private, da quelle di rating alle banche, senza alcun obbligo. Il tesoro di ciascun paese emette titoli di debito ma le banche centrali non ne assicurano il rifinanziamento, contrariamente a quanto succede negli Usa, in Giappone ed in Gran Bretagna. La situazione europea è il risultato di decisioni politiche, non di vincoli istituzionali. (…) Le banche europee sono molto più esposte di quanto si pensasse allo scoppio della crisi nel 2007-8. Sono piene di cartacce di derivati gran parte occultate ma il cui effetto tossico è sempre attivo» e conclude: « Le passività bancarie europee verranno fatte gravare sulle finanze pubbliche europee, almeno che non intervengano misure di nazionalizzazione». 

PROFUGHI
AVVENIRE – “Eritrei, la mattanza” è il titolo in prima pagina sulla tragedia eritrea a cui viene dedicato anche “L’altro editoriale” del direttore Marco Tarquinio che chiede al nostro governo di “fermare la mattanza e respingere l’ingiustizia”. L’agenzia di cooperazione Habeshia riferisce che ieri un tentativo di fuga di 12 persone è stato stroncato senza pietà dai trafficanti nel Sinai e sono stati uccisi tre profughi provenienti dalla Libia.

AMBIENTE
AVVENIRE – A pagina 3 parla della rivoluzione dell’ “Agricoltura blu”, la tecnica conservativa che abbassa i consumi di anidride carbonica applicando minime lavorazioni al suolo e un apporto ridotto di prodotti chimici. Intervista a Livio Ferruzzi, uno dei pionieri del metodo. 


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA