Non profit

Università, non c’è un Euro

Tremonti blocca la riforma Gelmini, protesta negli Atenei

di Franco Bomprezzi

Giulio Tremonti blocca la riforma dell’università per mancanza di fondi. Uno stop che mette in crisi Maria Stella Gelmini, che era riuscita a trovare una possibile mediazione sul tema dei precari. Ora la situazione è doppiamente critica, da un lato all’interno del Governo, dall’altro negli Atenei, dove la protesta sta assumendo proporzioni notevoli. Iniziato un presidio a Montecitorio. Ecco come i giornali trattano l’argomento.

“Università, niente fondi. La riforma slitta ancora” è il titolo in prima sul CORRIERE DELLA SERA. In occhiello la spiegazione: “Scontro nel Governo tra la Gelmini e Tremonti” e nel sommario: “No del Tesoro sui ricercatori, protesta dei rettori”. “Un rinvio pericoloso” è il titolo dell’editoriale di Antonio Macaluso, che scrive: “L’emendamento della maggioranza al testo della riforma per trasformare in associati circa 9 mila ricercatori – costo previsto 80 milioni di euro per il primo anno, 1,7 miliardi in sei anni – è stato alla base di un rinvio che, a questo punto, sposta di forza l’esame della legge a dopo la sessione di bilancio. Questo vuol dire che se ne dovrebbe riparlare, nella migliore delle ipotesi, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre. Cioè a ridosso della pausa prevista per le festività natalizie. Il rinvio, che potrebbe trasformarsi in un affossamento di fatto, è grave perché si tratta di una riforma importante, il primo vero tentativo di dare, dopo tanti anni, una risposta moderna e organica alle necessità del mondo dell’università. Alla partenza dell’anno accademico, vengono a mancare quelle certezze senza le quali, in molti casi, è a repentaglio il normale svolgimento dell’attività. L’immediata protesta della Conferenza dei Rettori non aveva ieri il sapore della consueta, stanca sceneggiata di prassi. A nessuno può sfuggire che un Governo che sceglie di tagliare risorse alle fonti di produzione della cultura – dalla scuola all’università, alla ricerca, ai musei, ai teatri, al cinema – imbocca non una scorciatoia ma una strada senza uscita”. Alle pagine 2 e 3 l’approfondimento della vicenda. Da segnalare anche, a pagina 54, nello spazio dei commenti, una lettera di Pierluigi Bersani, segretario del Pd: “Per il 2011 il Pd propone un forte aumento delle risorse per la scuola e l’università mettendo in vendita le frequenze liberate dalla transizione al digitale, come fece già il governo dell’Ulivo nel 2001 con le licenze Umts. I Paesi che hanno messo a gara le frequenze hanno incassato un bel po’ di miliardi”. Intanto però la realtà è il blocco della riforma Gelmini. Il punto politico è spiegato efficacemente da Francesco Verderami: “Tremonti ha l’imprimatur del Cavaliere, con quello si fa scudo. E poco importa quindi se il rendez vous fra i due sia stato davvero un incontro fra vecchi amici e piuttosto una discussione animata. Il fatto è che il Cavaliere ha invitato alla calma i ministri che l’hanno chiamato poco dopo, «dovete pazientare. Lo so, Giulio è esasperante, ma noi abbiamo le spalle larghe e dobbiamo andare avanti»”. Ma perché Tremonti blocca la riforma? Nel pezzo di spalla a pagina 3 Roberto Bagnoli spiega il punto di vista del Ministero dell’Economia: “Il ministro (Gelmini, ndr) «probabilmente pressato dalle lobby universitarie», ha presentato il commissione Bilancio della Camera due emendamenti di spesa senza la necessaria copertura aprendo così un problema tecnico-finanziario e non politico”. Fatto sta che l’Università è in ebollizione. A Milano, contro la riforma Gelmini, occupata la Statale, facoltà di Fisica.

LA REPUBBLICA dedica alla riforma universitaria due pagine (22-23). La prima, a cura di Corrado Zunino, che titola “Università. slitta la riforma Gelmini manca la copertura finanziaria”, riporta la cronaca. «La riforma sull’università si arena. Non c’è copertura finanziaria, sopratutto per i ricercatori. L’ingresso del decreto legge alla Camera – 600 emendamenti presentati – è stato rimandato per due giorni consecutivi e solo questa mattina si capirà se la discussione domani partirà. Di certo, il voto arriverà solo alla fine della “sessione di bilancio” della Finanziaria. Significa un altro mese, almeno». Il motivo della frenata è semplice «la difficile costruzione della riforma – che vuole concentrare il potere decisionale nei rettori, taglia 1,35 miliardi agli 88 atenei italiani introducendo i finanziamenti in base ai risultati – è crollata con il tentativo di recuperare la protesta dei ricercatori (hanno bloccato, di fatto, le lezioni in tutti gli atenei d’Italia). L’emendamento Frassinetti (Pdl), concordato in extremis con il governo, introduceva questa novità: in sei anni novemila ricercatori potranno diventare “docenti associati” grazie ad un fondo per la valorizzazione del merito accademico. ;a il fondo avrebbe pesato 90 milioni solo nel 2011 e per 1465 milioni nei cinque anni a seguire. Troppi per una riforma definita dal governo “a costo zero”». Nella pagina seguente una lettera aperta diretta al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini firmata da una ricercatrice di Cà Foscari, Francesca Coin.  Il titolo “Che delusione il rientro dagli Usa qui concorsi opachi e stipendi da fame”. Coin scrive della situazione trovata al ritorno dagli States «all’epoca sapevo poco dell’università italiana. Non sapevo cosa significasse essere un ricercatore, sapevo che il mio stipendio entrante negli Stati Uniti  era tre volte lo stipendio che prendo ora. Non mi sono stupita ovviamente quando nessuno è venuto a prendermi all’aeroporto, mi sono stupita quando mi sono accorta di avere poche colleghe donne, quando ho conosciuto colleghi che avevano due volte e mezza i miei anni, quando ho realizzato che durante le riunioni ufficiali i ricercatori difficilmente parlavano. Negli anni mi hanno colpita anche altre cose, ad esempio il fatto che l’autonomia di pensiero venisse a volte considerata non tanto una sublime conquista ma come un segno di arroganza precoce; che in Università come in strada esistessero parole come protettore e tradimento».  Oppure «ci siamo resi conto che la sua riforma vorrebbe tagliare i corsi di laurea “inutili”, ma che la definizione di inutilità è sempre un po’ ambigua», e conclude dicendo che «crediamo che il diritto all’istruzione in Italia si in pericolo, e che sia nostro dovere proteggerlo oggi domani e sempre, sino a quando riusciremo a creare un’università aperta, orizzontale e di tutti». Online sul sito del quotidiano la notizia dell’ultima ora: “Università, gli studenti a Montecitorio per contestare la riforma Gelmini”. «È cominciato il presidio di associazioni di studenti universitari e ricercatori contro il ddl di riforma dell’università davanti a Montecitorio. I manifestanti sono alcune centinaia, ma, afferma il coordinatore nazionale dell’Udu, Giorgio Paterna, “sono in arrivo pullman da Sicilia, Lombardia, Piemonte e Toscana. In tutto sono attesi un migliaio di manifestanti”. “Siamo contenti – aggiunge Paterna – che la discussione in Aula del ddl Gelmini sia stata rinviata, ma non ci basta. A questo punto la Gelmini deve dimettersi, non è credibile come ministro: insulta insegnanti e l’università, presenta ddl senza risorse e taglia senza investire in un settore strategico”».  

Anche la riforma dell’università è motivo di scontro fra Finiani e Governo ed è il taglio del GIORNALE «l’accordo politico con i finiani  anche se appeso a un filo era stato trovato. I soldi per il momento no. La riforma dell’università si infrange contro lo scoglio più duro, quello finanziario e rischia di restare arenata lì a lungo. Il Tesoro ha bocciato  l’emendamento sull’assunzione di 9mila ricercatori, bloccando così il via libera atteso alla commissione Bilancio». «Peccato che queste assunzioni siano la conditio sine qua non – continua l’articolo –  posta dal gruppo Futuro e Libertà. Il ddl  si è infilato in un cul de sac: se non si toglie l’emendamento non si può discutere in aula perché non c’è la copertura. Senza emendamento però non ci sarebbe l’appoggio  di Futuro E Libertà».  IL GIORNALE è ottimista. «Il ritardo è grave ma non irreparabile e il governo non intende mollare. Il ministro dell’istruzione ritiene di riuscire  comunque a varare la riforma per i primi di dicembre». Michele Scandroglio, onorevole Pdl, in un’intervista snocciola cifre per dimostrare che la riforma non può più attendere. «Nelle classifiche internazionali per trovare un ateneo si deve scendere al 175 posto dove si trova Bologna. Sulla carta abbiamo un docente ogni 29,5 alunni, ma solo la metà degli iscritti frequenta l’università. Ci sono 5mila  corsi di laurea e 62mila professori. Abbiamo migliaia di motivi per cambiare subito le cose».

Due le pagine che IL MANIFESTO dedica allo stop alla riforma dell’università: «La riforma è un bluff». Questo il titolo principale a pagina 2 per raccontare che il disegno di legge del ministro Gelmini «si arresta sullo scoglio dei finanziamenti. I soldi non ci sono. Era atteso oggi il voto alla camera, dovrà attendere la finanziaria». Nelle due pagine si fa il giro d’Italia della protesta, da Torino a Roma a Palermo. In corsivo «Controtendenza Italia», intervento di Giorgio Parisi, fisico teorico dell’università La Sapienza di Roma che per protesta ha portato le sue lezioni in piazza Montecitorio. Si legge: « L’università pubblica italiana sta di fronte ad un baratro. Per l’anno prossimo è previsto un taglio del 15 per cento nei bilanci: sarà molto difficile pagare gli stipendi ai dipendenti e le spese fisse e del tutto impossibile assumere giovani al posto dei tanti professori che andranno in pensione» e prosegue: «(…) Ma le disgrazie non vengono mai da sole. Sta per essere portata in aula alla Camera la cosiddetta riforma Gelmini, un insieme di norme tra le più disparate che vanno dall’esenzione fiscale per le donazioni fatte alle università al riconoscimento delle medaglie olimpioniche come credito formativo (lo Scudetto invece non vale)». E conclude «A volte la coda del diavolo si nasconde nei dettagli: in un emendamento approvato in commissione è stato tolto l’obbligo da parte delle università di bandire borse di studio per almeno il 50% dei posti di dottorato esistenti. Il risultato certo, date le future ristrettezze economiche, sarà la quasi completa sparizione delle borse per il dottorato, che nel quadro desolante del mancato sostegno al diritto allo studio, era l’unico strumento che permetteva agli studenti di arrivare a conseguire il dottorato senza pesare troppo sulle famiglie. Forse più qui, che in altri ambiti, si vede la vera natura della Destra al governo». A pagina tre si racconta di «Studenti pestati, Digos nel mirino». I fatti si riferiscono a sabato e a un volantinaggio fuori dal liceo classico Umberto I fatto per «mettere in guardia gli studenti dall’opera di  proselitismo che Casa Pound cerca di fare distribuendo spillette con croci celtiche e immagini del Duce (…)».

Commento di Giorgio Santilli in prima pagina e doppio articolo a pagina 7 sullo stop alla riforma dell’Università by Maria Stella Gelmini. E’ questo lo spazio dedicato da IL SOLE 24 ORE al braccio di ferro inscenato ieri fra il ministro Gelmini e il ministro Tremonti. Reo, quest’ultimo  – ma si fa per dire – di aver dato parere non favorevole alla riforma universitaria insieme alla Ragione di Stato. Perché? Mancanza di copertura finanziaria. Ma ecco il commento: «Non c’è dubbio che siano necessari il taglio agli sprechi e l’avvio dei meccanismi di razionalizzazione e qualificazione della spesa universitaria nel medio-lungo periodo. Bene ha fatto Tremonti a pretenderli – scrive Santilli, che aggiunge – altrettanto necessaria e urgente è, però, la riqualificazione della nostra università, perché quello che l’economia italiana non può più sopportare è una rigorosa politica di bilancio che paralizzi tutte le riforme strutturali necessarie al paese per ripartire a un ritmo di sviluppo più sostenuto». Ad Eugenio Bruno, invece, è affidata la cronaca e l’onere di raccogliere i primi commenti. “Stop alla riforma dell’università” titola il pezzo e, di spalla, la protesta dei rettori. Siamo a pagina 7. Nulla di nuovo sotto il sole: mancano i soldi, punto e basta, tutto da rifare. Rimangono però due curiosità, di cui la prima espressa direttamente da Bruno: non è che dietro al rinvio della riforma c’è il timore da parte dei partiti di perdere parte dei rimborsi elettorali? E cosa c’entrano i rimborsi elettorali adesso? C’entrano. L’articolo 25, comma 11 della riforma in esame dichiara esplicitamente di voler coprire il costo dell’assunzione dei nuovi ricercatori con i rimborsi elettorali. Un caso? Ma non basta. La seconda curiosità è invece: la riforma prevede “buoni studio” per gli studenti meritevoli, queste borse di studio saranno coperte da un fondo speciale che potrà essere alimentato (art. 4, comma 7) anche da donazioni private e – qui viene il bello – dal 2012 i donatori potranno dedurre l’80% dei versamenti dall’imposta sul reddito secondo quanto riferisce Bruno. Sì, avete letto bene: per le università la deduzione delle donazioni arriverebbe all’80%, mentre per le non profit si ferma al 10% con un tetto massimo di 70mila euro annui (Più dai, meno versi). Come si vede, quando servono, le donazioni sono ben accette…

“Università, riforma senza risorse”. Pubblicato nella sezione Professioni, il pezzo mette in evidenza la nota dell’ufficio del coordinamento del ministero dell’economia a cui si unisce quella della Ragioneria dello Stato arrivata ieri in commissione bilancio alla camera sull’incognita della copertura economica della riforma. Sono i soldi, specula ITALIA OGGI, che faranno posticipare la discussione sul disegno di legge a dopo la sessione di bilancio, tra oltre un mese.  Il pezzo entra anche nel merito dell’annoso tema dei ricercatori e sull’emendamento che prevedeva un piano di concorsi tra il 2011 e 2016 per 9 mila di loro per il passaggio al ruolo di associati. Come scrive il quotidiano dei professionisti, per loro non c’è copertura economica soprattutto a decorrere dal 2012. Nono ci sono commenti politici. Brutte notizie anche sul fronte della ricerca. Nel pezzo “Firb, per la Corte dei conti la gestione è fallimentare”  ecco come esce la gestione che i diversi governi hanno avuto del Fondo per gli investimenti nella ricerca di base: «Ritardi nell’emanazione dei bandi, mancanza di strategia e poi ancora progetti a rilento e fondi erogati fuori tempo».
 
Su AVVENIRE fotorichiamo in prima (“Atenei, slitta la riforma, poche risorse”) e articolo di approfondimento a pagina 13 sulla riforma dell’Università impantanata nelle ristrettezze di bilancio. Berlusconi  convoca Tremonti ad Arcore e rassicura la Gelmini, ma la Crui (Conferenza dei rettori universitari italiani) ha manifestato “disappunto  e allarme” perché nessuno “assicura” che una soluzione sarà trovata. Ad affossare (per ora) il disegno di legge di riforma è stata la relazione della Ragioneria generale dello Stato arrivata ieri in commissione Bilancio a Montecitorio. Sui conti pesano alcune novità come i premi per gli studenti più bravi o il fondo per la valorizzazione del merito accademico di 9mila ricercatori che potrebbero diventare “associati”. Insorgono le opposizioni: per il Pd «la maggioranza va in tilt» e per Francesco Rutelli «sarebbe un dramma se rimanesse il veto di Tremonti». A pesare fortemente anche il no di Futuro e Libertà che ha condizionato il suo voto alle modifiche proposte dalle commissioni della Camera, precisando che senza «i fondi indispensabili per la ricerca, il gruppo di Fli chiederà il ritiro del testo al ministro Gelmini».

Il tema università trova spazio in prima pagina anche su LA STAMPA, “Università senza fondi. Slitta la riforma Gelmini”. Accanto alla cronaca di Flavia Amabile il retroscena di Alessandro Barbera, dal titolo “L’ira della Gelmini: «Non è un mio problema io ho fatto il possibile»”: «Lo schema è sempre lo stesso: da una parte colui che difende la linea del rigore, dall’altra i ministri di spesa che chiedono risorse. In mezzo, sempre più provato, il premier. Se però sulla questione del mancato finanziamento al fondo per il cinema – uno dei problemi emersi dalla riunione – Berlusconi calmerà le ire di Sandro Bondi, altra cosa è l’Università. Quella riforma, nelle sue intenzioni, dovrebbe diventare un fiore all’occhiello del governo. E così ieri mattina, nonostante la convalescenza per via dell’operazione alla mano, il premier ha chiesto al ministro dell’Economia di vedersi fra le mura riparate della residenza milanese di Arcore. A sentir i ben informati, il clima fra i due non è stato nemmeno questa volta dei più distesi. Berlusconi però prova a mediare, consapevole dei rischi che a questo punto corre il governo. Tremonti e la Gelmini si incontrano nel pomeriggio senza successo e con un solo esito: il rinvio del problema. “A questo punto non è un problema mio, ma di Tremonti”, sbotta la Gelmini con i suoi collaboratori. ”Si assuma la responsabilità di dire che i soldi per la riforma non ci sono”».
 
E inoltre sui giornali di oggi:

POVERTA’
LA STAMPA – “I padri separati uniti dalla povertà”. Il quotidiano torinese si concentra su uno degli aspetti che emergono a margine della presentazione del Rapporto della Caritas e della Fondazione Zancan, sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia. A fare luce su questo fenomeno è l’associazione dei matrimonialisti italiani (Ami), presieduta dall’avvocato Gian Ettore Gassani.  «È emerso il fenomeno dei separati come “nuovi poveri”: ottocentomila per l’appunto, 80% uomini e 20% donne, ridotti a vivere come clochard. Tant’è – spiega l’avvocato Gassani – che la Caritas sta “salvando dalla fame migliaia di persone del tutto insospettabili che, pur svolgendo attività lavorative di tutto rispetto sono costrette, non di rado in giacca e cravatta, a fare la fila ogni giorno per un piatto di pasta. Quando si calcola il numero dei poveri in Italia è fuorviante – spiega Gassani – legare l’analisi alla mera dichiarazione dei redditi in quanto essa non chiarisce le posizioni debitorie delle persone separate o divorziate”. Il Centro studi dell’Ami ha anche rilevato che “entro dieci anni tali numeri sono destinati a raddoppiare. Un terzo dei separati-barboni – peraltro – dorme già in auto mentre la restante parte in piccoli monolocali, dormitori o da amici e parenti”. Per questo, aggiunge l’Ami, “urge una politica sociale nazionale per garantire i nuovi poveri, prodotti dallo sfascio di molte famiglie”. Con un’inquietante aggiunta finale: “Alla base di molti fatti violenti, in cui le vittime sono familiari, vi è anche la disperazione di chi ha perso tutto e non ha vie d’uscita”.

AVVENIRE – “Nuovi poveri d’Italia” è il titolo di apertura sul Rapporto Caritas-Zancan sulla povertà e l’esclusione sociale dall’eloquente titolo “La caduta libera” . La ricerca rivela che gli indigenti sono 8miloni e 370mila e parla di “stato di forte fragilità economica” per altri 800mila.  A pagina 6 e 7 articoli e tabelle fotografano la situazione. Aumentata del 10% rispetto al 2009 la “zona grigia” di giovani, cassintegrati e donne sole. Un italiano su sei ha difficoltà nella vita di tutti i giorni e non può pagare spesa, bollette e mutuo. Sul territorio crescono gli italiani in fila davanti ai centri d’aiuto. Un milione di persone si è rivolto alla Caritas in cerca di sostegno. E nelle diocesi sono stati avviati quasi 200 progetti, tra sportelli per il lavoro, carte d’acquisto, prestiti, botteghe o empori solidali.

IMMIGRAZIONE
IL GIORNALE – “L’agenzia europea che spreca soldi e ci rifila i clandestini degli altri” è il titolo di una doppia pagina che analizza il modo di agire di Frontex. In un  box subito le info: «Frontex è l’agenzia europea creata nel 2005  per il controllo delle frontiere della Unione europea. L’agenzia si serve di mezzi navali messi a disposizione degli Stati Ue, e si parla di  una dotazione di 88 miliardi di euro. Che, secondo i critici, vengono spesi poco in pattugliamenti e troppo in burocrazia».  Francesco de Remigis spiega il meccanismo  che il ministro Maroni ha definito «eurocarrozzone». I clandestini se chiedono a uno dei 27 Paesi Ue ecco che si getta l’ancora in Italia e si avviano le procedure. Da quel momento la domanda sarà a carico della Penisola, con buona pace  dei Paesi che avrebbero potuto accoglierli. Certo non la Grecia che pone paletti più rigidi di qualsiasi altro Stato Ue, non la Turchia che ai migranti extra Ue non concede neppure il modulo per lo status». Il ministro dell’Interno ha chiesto l’agenzia a sobbarcarsi i costi dei richiedenti asilo almeno a seguito dei pattugliamenti Frontex».

CINA
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per la lettera appello di alcuni membri del Pc che chiede la fine della censura definita incostituzionale. L’articolo è a pagina 8 con il titolo «Uno scandalo che viola la nostra costituzione: basta censure» che riporta la lettera-denuncia di 23 anziani ex funzionari del Pcc tra i quali Li Rui, ex segretario del presidente Mao Zedong. Così inizia l’articolo: «Il sistema della censura cinese rappresenta uno scandalo, perché “viola la nostra costituzione. Spesso con una semplice telefonata ordina che i lavori di questa o quella persona non siano resi pubblici, o che dell’evento X o Y non sia data notizia sui mass media”. (…) La missiva è arrivata ieri, alla vigilia dell’apertura del Plenum del comitato centrale del Pcc, sede nella quale verranno nominati nuovi leader e definita la strategia del partito per l’anno a venire. Probabilmente è stata concepita come un uno-due (subito dopo il prestigioso riconoscimento a Xiaobo) nel tentativo d’influenzare il dibattito interno al Partito su diritti umani e aperture democratiche. Il documento – accusano attivisti e blogger – è stato rapidamente cancellato dall’internet cinese». L’articolo si conclude ricordando che «è scontro tra Repubblica popolare e quella parte di mondo – paesi scandinavi in testa – più sensibili ai diritti umani. Pechino ha cancellato almeno quattro visite ufficiali in e dalla Norvegia dopo l’annuncio del conferimento del Nobel a Xiaobo».

NUCLEARE
ITALIA OGGI – Non solo Iran. Secondo il pezzo “In Medio Oriente si stanno progettando 15 reattori nucleari”,  Egitto, Emirati Arabi, Turchia, Kuwait, Giordania hanno in cantiere reattori nucleari. «Gli osservatori sostengono che l’avanzata atomica dell’Iran non può che non provocare un effetto di imitazione tra i paesi confinanti». Ma la realizzazione di nuove centrali atomiche non è soltanto una questione militare. «Tutti cercano fonti di energie alternative al petrolio per garantirsi un futuro accettabile».

IRAN
IL MANIFESTO – L’ultima pagina de IL MANIFESTO è dedicata a raccontare con il titolo «Gli anni della pazienza» la battaglia sotterranea dell’opposizione iraniana: « Teheran, un anno e mezzo dopo le elezioni del 2009, offre il volto vivace di sempre. I leader riformisti però sono quasi agli arresti domiciliari, decine di attivisti in galera. Il dissenso lavora per aprire nuovi spazi, per i diritti o contro la censura» riassume il sommario all’articolo principale. Di spalla si parla del caso Sakineh visto dall’Iran con l’articolo «L’imbarazzo ufficiale, lo stupore delle attiviste». «Sono quasi stupite, le interlocutrici incontrate a Teheran, quando accenno alla campagna contro la lapidazione che si è sviluppata in Europa» scrive Marina Forti, inviata a Teheran e dopo aver ricostruito la vicenda giudiziaria di Sakineh iniziata nel 2006 continua «Evocare il caso di Sakineh Mohammadi negli ambienti ufficiali di Teheran può suscitare difese d’ufficio. (…) Vano obiettare che qui si parla di lapidazione, e non per omicidio ma per l’accusa di adulterio». Del resto «La parola “lapidazione” mette a disagio anche i difensori del regime: in effetti a nessuno sembra normale». «la campagna che si è sviluppata in Europa sul caso Sakineh lascia sorpresa una donna come Shahla Lahiji, nota attivista e fondatrice di Roshangaran, piccola casa editrice di Teheran» La giornalista riportando il pensiero di Lahiji conclude: « (…) aggiunge Lahiji, “sapete quante attiviste, giornaliste, studentesse, avvocate sono in galera, o ci sono state? Donne che hanno la vita distrutta per ciò che scrivono e dicono. Vorrei una campagna più ampia”».

SETTIMANA DEI CATTOLICI
AVVENIRE
– Dedicate tre pagine alla Settimana dei cattolici italiani che da oggi a domenica si tiene a Reggio Calabria. A pagina 3 alcune storie di speranza  dalla Calabria, a cominciare dalla cooperativa Valle del Marro che coltiva territori confiscati ai clan ed è testimone della campagna per l’Otto per Mille. A pagina 5 intervista al vescovo Arrigo Miglio, presidente del Comitato organizzatore, che dice: «Siamo qui per riconoscere l’impegno delle Chiese in Calabria, dei giovani che si oppongono alla malavita e le opere del Progetto Policoro».


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