Formazione

Università, incubatore del sociale

Sinora nessuna impresa propriamente non profit è nata da una costola dell'Università. Ma grazie alla nuova legge...

di Redazione

Ingegneria, nanotecnologie, architettura, design, ma soprattutto high-tech. Difficile trovare traccia di spin off o start up universitari di tipo specificamente sociale. Non che manchino le idee o le capacità imprenditoriali. Mancava una legge, quella sull?impresa sociale che, secondo Stefano Zamagni, uno dei ?padri fondatori? dell?economia civile in Italia, aprirà spazi nuovi: «La prova del fuoco sarà l?anno prossimo», spiega, «finalmente si formeranno start up o spin off anche per il non profit». Giusto il tempo di un rodaggio per la nuova legge, poi i risultati dovrebbero vedersi. Il primo esemplare in cantiere Zamagni già cinque anni fa lanciò l?idea di uno spin off sociale a Forlì. Ma «la legge non lo permetteva». Ora è tempo di rispolverare il progetto: un gruppo di lavoro ad hoc dovrebbe riunirsi a breve. L?unica impresa sociale incubata dall?università oggi è la Micro.Bo di Bologna, socia dell?ateneo emiliano, svolge attività di microcredito (in meno di un anno ha prestato 160mila euro a famiglie indigenti della provincia), ma per bypassare il vuoto legislativo si è dovuta costituire in onlus. A che punto siamo La corsa agli incubatori universitari in Italia è iniziata proprio cinque anni fa. Il primo ad aprire i battenti, nel 2000, fu quello del Politecnico di Torino: I3P spa. Da allora ne sono nati altri 15 tra Milano, Pisa, Perugia, Udine, Trieste, Padova e Napoli, tutti riuniti oggi nell?Associazione italiana di incubatori universitari appunto, la Pni Cube, con sede nel capoluogo piemontese. Di start up d?impresa ormai se ne contano 192 su tutto il territorio nazionale e di spin off 88, per un totale di 830 posti di lavoro. Insomma, l?Italia sta cercando di mettersi alla pari dei partner europei e americani, dove il fenomeno è esploso già 15 anni fa. Ma i ritardi sono innumerevoli. Mentre Inghilterra, Francia, paesi scandinavi e Stati Uniti hanno alle spalle un sistema di business angels, così si chiamano i finanziatori del settore, da noi tutto procede a piccoli passi. «A metà degli anni 80», racconta Vincenzo Pozzolo, presidente di Pin Cube e Ip3, «negli Stati Uniti erano già nati i primi incubatori universitari. In Italia si pensava ancora che mischiare il mondo accademico con l?economia e i soldi fosse disdicevole». Una resistenza culturale che di fatto ha messo un freno alla crescita economica e competitiva dei nostri atenei. Qualche esempio? Una cittadina come Oxford (100mila abitanti) ha 12 incubatori universitari e 300 imprese. Torino, con oltre un milione di abitanti, che pure in Italia è la punta di diamante, ha 30 incubatori e 280 società. Subito dietro Milano con 200 start up, 19 spinoff e 32 incubatori. «Nella sola Oxford ci sono 250 business angels, numeri che in Italia ci sogniamo», aggiunge Pozzolo. La neonata Iban, infatti, l?associazione italiana dei business angels (44 soci aderenti e 20 affiliati) ha appena aperto i battenti e «fa quel che può», continua Pozzolo, «però manca proprio la cultura del rischio». Insomma, il patrimonio di idee e innovazione è vastissimo, ma ancora troppo ancorato alle torri d?avorio degli atenei. «Non abbiamo fondi di primo finanziamento», continua Pozzolo, «si stanno creando solo ora». A questa stregua, dunque, diventa difficile crescere come impresa. «In Francia le imprese giovani e innovative beneficiano di facilitazioni fiscali, contributi ed esenzione dalle tasse per i primi 8 anni. Noi siamo lontani anni luce. Nel 2005 la Pin Cube ha presentato la prima domanda di finanziamento al ministero delle Attività produttive, con il progetto Ucimat (Università per la creazione di imprese ad alto impatto tecnologico) ed è ancora in attesa di una risposta. Sociale in ritardo «Nel non profit i ritardi hanno un effetto più devastante», commenta Zamagni, «perché si perde l?opportunità di rispondere a esigenze di welfare». Certo i risvolti di utilità sociale di spin off o start up, soprattutto in ambito tecnologico, ambientale e biomedico non mancano. Qualche esempio? La Hydro2Power del Politecnico di Milano produce energia pulita, a idrogeno; nello stesso ramo la Electro Power System di Torino ha vinto l?anno scorso il premio nazionale per l?Innovazione promosso dalla Pin Cube (una delle poche iniziative messe in campo per dare slancio a un fenomeno ancora troppo sommerso). Muoversi a Como offre servizi di car pooling e car sharing per aziende e grandi eventi; Last minute market di Bologna rimette in circolo cibo invenduto nei supermercati a favore di onlus caritative; Able, di Torino, ha brevettato una carrozzina per permettere a paraplegici di svolgere attività sportive; Aida, nel modenese, ha inventato un mouse facciale per disabili fisici al 100%. Gli esempi potrebbero continuare in una lunga lista. Ma in nessuno di questi casi si può parlare di impresa sociale. A breve Zamagni partirà con il primo esperimento a Forlì. Per gli altri la partita resta aperta.


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