Formazione

Università dell’economia cooperativa? Accettiamo insieme la sfida

Pietro Segata, presidente e direttore generale di Società Dolce, cooperativa sociale di servizi alla persona, presente in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, quattromila dipendenti e cento milioni di fatturato annuo, interviene sulla proposta di Carlo Borzaga per una università della cooperazione e impresa sociale. La formula potrebbe essere quella di un’università diffusa

di Pietro Segata

Pietro Segata, presidente e direttore generale di Società Dolce, cooperativa sociale di servizi alla persona, presente in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, quattromila dipendenti e cento milioni di fatturato annuo, valuta la proposta di Carlo Borzaga, su una università della cooperazione e impresa sociale.

L’idea proposta da Borzaga, di una formazione avanzata per i futuri manager è stimolante, ma credo che abbia bisogno di una cornice di cultura e valori di riferimento condivisa da tutti gli enti del terzo settore. Con la crisi delle ideologie, si danno ancora per scontati troppi valori, senza sentire la necessità di rielaborarli insieme al mondo del volontariato d’ispirazione cattolica, protagonista negli ultimi anni dell’importante crescita ed evoluzione del Terzo settore.

Un’università della cooperazione e dell’impresa sociale dovrà sostituire o sussidiare l’uscita dal mondo del lavoro di generazioni pioniere, con alle spalle percorsi politici (non partitici), d’impegno sociale, o di volontariato. E se le ideologie del Novecento non ritornano, le nuove leve devono però sapere che sono state la benzina che ha fatto muovere il motore. I giovani vanno indirizzati verso modelli di efficiente gestione delle organizzazioni, ma anche su esempi che possano ispirarli nel definire gli scenari ai quali queste realtà contribuiranno in futuro. L’agire imprenditorialmente senza questo background perde di senso, soprattutto per costruire un nuovo patto di convivenza e nuove proposte, in una società capitalistica, al suo epilogo su tante tematiche.

La domanda è: la cooperazione ha bisogno di una università dedicata? Tutte le cooperative necessitano di quadri e la difficoltà non sta nel reperire competenze tecniche specifiche, ma nel trovare una capacità di management capace di condurle con la responsabilità della governance, che non è solo imprenditoriale gestionale, ma è anche responsabilità politica.

Se la proposta è di un’università indirizzata solo verso le discipline economiche, probabilmente non incontrerà grande trasporto, perché esistono già diverse proposte, ma se s’inseriscono le discipline economiche aziendali in un ambito più allargato, politico e culturale, credo che l’interesse vi sia. Penso all’esperienza che il gruppo di Andreatta, quindi Romano Prodi, Angelo Tantazzi e altri intrapresero a Bologna, inaugurando l’indirizzo economico di Scienze Politiche: un’università che integra nella cornice dei valori culturali, più discipline.

Società Dolce ha un’esperienza di formazione di settore molto positiva. Avevamo necessità di reperire sul mercato del lavoro alcuni profili e abbiamo investito in un nostro ente formativo, Seneca. Vi abbiamo trasferito know-how e competenze aziendali, messe diffusamente a disposizione di altri soggetti del Terzo settore, molti dei quali sono diventati soci dell’ente. Il riscontro positivo proviene anche da realtà che operano in concorrenza con noi e che usufruiscono dei servizi di Seneca, pur sapendo che è un’iniziativa di Società Dolce.

Pensare ad una un’università delle imprese sociali mi ha fatto riflettere su quali siano le materie da insegnare ad un futuro manager del nostro settore e al primo posto metto la storia. Quella del Novecento, per capire come mai ad un certo punto le classi più povere e disagiate abbiano usato la cooperazione come strumento per emanciparsi, o il mondo cattolico si sia dotato di proprie cooperative. Com’è accaduto per le Casse rurali, nate nelle parrocchie per sostenere i coltivatori diretti nell’attività agricola, mentre dall’altra parte nascevano le cooperative di produzione lavoro, come quella dei braccianti. Poi il diritto, la sociologia, la demografia, la matematica, la statistica, necessari per studiare l’evoluzione della nostra società e dei suoi bisogni. Oltre, ovviamente, alle discipline economiche.

E mi piacerebbe che fosse proprio Vita a lanciare una proposta di Academy, perché è uno strumento di comunicazione aperto a tutte le nostre realtà e penso sia naturale passare dalla divulgazione alla formazione. Potrebbe proporre un soggetto di sua emanazione, sostenuto dalle fondazioni bancarie e anche dallo Stato, in quanto progetto d’interesse pubblico. La formula potrebbe essere quella di un’università diffusa, in parte di didattica a distanza, in parte in presenza, che si concili coi tempi di lavoro: un’offerta formativa rivolta non solo ai giovani inoccupati, ma anche agli occupati giovani.

Siamo disponibili a dare il nostro contributo progettuale iniziale alla proposta di Borzaga, auspicabilmente con diversi altri attori e, in un secondo tempo, a sostenerne la realizzazione.

*Pietro Segata, presidente e direttore generale di Società Dolce, cooperativa sociale di servizi alla persona

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