Responsabilità di impresa

United colors of weirdness. I colori uniti della surrealtà

Da qualche giorno tiene banco il caso Benetton: lo storico marchio di maglieria, di cui al gruppo omonimo, che ha innovato la vendita al dettaglio e la comunicazione pubblicitaria, perde centinaia di milioni (forse 230 a fine anno) dentro una holding molto ricca: Edizione. Uno dei fondatori, Luciano, annuncia l'addio, con una intervista al Corriere, durissima e surreale, in cui addita il ceo Renon di tutte le scorrettezze possibili ma non lo nomina mai. Sullo sfondo grande attenzione agli Esg

di Giampaolo Cerri

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Surreale è l’aggettivo che ricorre più spesso nei commenti – molti davvero, su LinkedIn, per esempio – all’intervista di Luciano Benetton al Corriere della Sera, sabato scorso.

A colloquio con uno degli otto vicedirettori di Via Solferino, Daniele Manca, famoso per essere il solo che riusciva a far parlare, su quel quotidiano, Marina Berlusconi, Benetton ha annunciato il suo abbandono del gruppo che presiedeva perché, a suo dire, il ceo Massimo Renon (già Giacomelli e Luxottica), da lui scelto tempo addietro, gli avrebbe tenuto nascosto l’andamento complessivo. Benetton avrebbe scoperto, solo di recente, una perdita ingentissima, che si aggira intorno a 100 milioni, ma potrebbe arrivare a 230 alla fine dell’anno .

Intervista surreale

Surreale perché il ceo, convitato di pietra della conversazione, descritto fin nel carattere e nei difetti, persino con l’aggiunta del pettegolezzo di un conoscente che chiamò il fondatore per scongiurare che gli si desse l’incarico, non viene mai citato da Benetton, né Manca si permette di citarlo a beneficio del lettore, magari in una parentesi con “ndr” annesso, ma tant’è.

Surreale perché il fondatore – assieme ai fratelli Gilberto, Giuliana e Carlo – dello storico marchio di maglieria, che ha generato un business mondiale, racconta che sia possibile nascondere agli azionisti, a un presidente per di più, l’andamento di un gruppo di quelle dimensioni.

Nel testo, per fortuna, non si invoca la complessità di struttura a giustificazione: per quanto suddiviso in due srl, Benetton Group e Benetton Manufactoring, e 47 società sottostanti, ci sono aziendine che si sognano il miliardo di ricavi del gruppo di Ponzano Veneto (Tv), fanno trimestrali rigorose e controllano l’andamento passo passo.

Ma la filantropia non c’entra


Da escludere, comunque che abbia contribuito al passivo della discordia, la storica fondazione di famiglia, presieduta proprio da Luciano, che fa cose pregevoli nell’arte e sul paesaggio, ormai dagli anni ’80: ha un organico di una manciata di addetti e i costi delle attività dovrebbero essere molto contenuti, anche se, peraltro, sul sito non c’è traccia del bilancio.

Massimo Renon, ad Benetton Group – AP Photo/Antonio Calanni/LaPresse

Surreale è che un esponente di una storica famiglia del capitalismo italiano utilizzi così i media, per guerre intestine, senza un attimo di resipiscenza, anzi sottolineando che, non essendo più quotato il gruppo, non saranno i risparmiatori a rimetterci: già ma sarà la holding Edizione, che controlla Benetton al 100%, a dover probabilmente ricapitalizzare.

Non è mai etico bruciare ricchezza

Bruciare ricchezza poi non è mai etico, anche se Edizione Spa, come recita il sito, si definisce, senza risparmio di maiuscole, «investitore attivo, che mantiene un’influenza strategica sulle società partecipate (che sono tante) anche in chiave di sostenibilità, stimolandone un percorso di miglioramento teso alla creazione di Valore Condiviso inteso come combinazione di Business Value e Impegno Sociale». Edizione mantiene «un orientamento e una visione di lungo periodo, tenendo conto dell’impatto economico, ambientale e sociale della propria attività di investitore attivo e responsabile. Edizione crede fortemente nella sostenibilità quale elemento strategico della propria azione che si declina anche attraverso la costruzione di partnership durature con soci e imprese partecipate, basate su una visione comune».

Gli Esg non fanno la felicità

Come diciamo da un po’ di tempo a questa parte, “gli Esg non danno la felicità”. Gli United Colors of Benetton, payoff che celebrava nel mondo la modernità, la fragranza a anche la capacità di innovazione di quel marchio, le cui magnifiche sorti e progressive erano cantate da Oliviero Toscani, sembrano oggi gli United Colors of Weirdness, i colori uniti della surrealtà.

Nella foto in apertura, di Bruno/Ap/LaPresse, Luciano Benetton con Oliviero Toscani, molti anni fa.

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