Un’Italia senza mappe: #elezioni 2013

di Marco Dotti

Un mio amico tempo fa è andato in Afganistan. Ha condotto un singolare esperimento: viaggiare servendosi solo di antiche mappe, risalenti – la più recente, quanto meno – al 1815. Singolare prova di disorientamento calcolato. Ma noi, qui, ora, che mappe usiamo per capire? Tutti quelli che parlavano di voto si sono convertiti all’apocalittica degli scenari-post elettoriali. Questa conversione repentina ha un prezzo: tocca servirsi di mappe che al primo impatto con l’atmosfera rischiano di rivelarsi vecchie e datate.

I più ottimisti tra noi pensano che smacchiare un po’ qui, aggiornare un po’ là, serva comunque a capire. Per loro, capire poco è sempre preferibile a non capire affatto. I pessimisti, sostengono che non serve a niente e non si può andare oltre. La loro variante apocalittica è la più integralista e integrale: non parlano, infatti, di “ingovernabilità” o di “stallo del sistema” (contrappasso a una campagna elettorale tutta giocata su formulette vuote come “riforme strutturali”), ma di crollo. Crollo dei mercati (sembra al plurale impersonale), crollo delle Borse (idem), crollo della fiducia, delle credibilità, della stabilità. Con un certo velato razzismo si parla anche di deriva antropologica. L’indignazione durerà qualche giorno, forse qualche settimana, ma verrà presto sostituita da un’indignazione uguale e contraria. Funziona così, nell’onda carsica delle notizie.

Un tempo persino agli scout insegnavano a non confondere la mappa con il territorio. Oggi sembra che l’unico territorio possibile sia racchiuso nelle mappe, anzi nelle pseudomappe: social network, twitter, sondaggi, exit o instant pool rigorosamente smentiti al primo impatto col suolo. Ricordiamo che solo pochi giorni fa, la discussione verteva su quanto fossero “social” i politici italiani. Monti in testa su twitter, poi Giannino a ruota. E i giornalisti a perdersi tra le mappe, dimenticando di scendere in strada. 

Ora, rimasti senza mappe, giornalisti e politici (e cittadini al seguito) si trovano in un mondo che credevano di conoscere e si illudevano di aver rinchiuso per sempre nel loro micromondo fatto di parole magiche, di in-joke (gli americani chiamano così il gergo di caserma, molto simile a quello usato dai giornalisti italiani), di sondaggi inutili e altrettanto inutili scenari. Basterà tornare in strada, adesso? Servirà a qualcosa?

Viaggiamo senza mappe. Ma un territorio senza mappe, cos’è? Una terra inevitabilmente ostile? O semplicemente una terra che non conosciamo, da esplorare senza pregiudizi?

Torniamo ai fondamentali: la mappa non è il territorio. Torniamo ai fondamentali, ripartiamo da noi. E le cose ci appariranno per quello che sono. 

#senzapartito @communitasbooks


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