Mondo

Un’impressionante solidarietà

Il nostro inviato tra i volontari nei campi, da quello di Piazza d'Armi a Tempera e ad Arischia

di Lorenzo Alvaro

Nec Recisa Recedit. Questo il primo flash, il primo fotogramma dall’Aquila. La frase campeggia sulla parete del palazzetto sportivo della Scuola Ufficiali e sovrintendenti della Guardia di Finanza dove troviamo appoggio. Siamo a Coppito una frazione delle tante qui a l’Aquila. Appena entrati nella piazza d’armi della struttura ci incamminiamo verso il palazzetto sportivo. Un palazzetto come tanti, con le sue gradinate colorate, i colori asettici e l’illuminazione a giorno.

Un palazzetto come tanti se non fosse per la distesa di tavoli, computer e cartine. Siamo nel cuore operativo della macchina dei soccorsi. Ci sono tutti. Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Croce Rossa, Croce di Malta, Scout Agesci e Cngei, Forestale, Polizia, Carabinieri. Una macchina che, avrò modo di sperimentare nella notte non si ferma mai. Tutti lavorano incessantemente.

Capisco che i racconti sono tutti intorno a me non c’è bisogno di cercarli. Si lega facilmente. Ognuno ha la sua storia. Ad ogni sigaretta ne scopro una nuova. Ognuna ha un viaggio lungo alle spalle e un motivo tutto suo per esserci. Come Carlo, quattro figli e un quinto in arrivo. Aveva promesso alla moglie, friulana, che a Pasqua sarebbe stato a casa. Quando ha visto il terremoto in tv gli ha detto “va , su sbrigati”. Una sigaretta dopo l’altra mentre intorno va e viene indaffarata, mi rimorde la coscienza. Tutti fanno, aiutano costruiscono e io guardo.

Mi saluto con Eleonora che organizza i turni di pulizia da Roma, ma nel sentire i racconti che venivano da qui non ha resistito e, sistemata la figlia, si è precipitata.  Mi preparo per il pomeriggio, che sarà al seguito degli scout cattolici dell’Agesci in giro per i campi attrezzati per gli sfollati. Non lo so ancora ma per la seconda volta nello stesso giorno rimarrò attonito e ammirato di fronte a questo popolo abruzzese.

Partiamo. Il primo campo è in centro, dove i morsi del terremoto sono stati tremendi. Qui gli edifici ora inanimati si sono arresi di schianto cedendo pareti tetti e piloni alle scosse. E’ impressionante. Entriamo al campo di Piazza d’Armi, il più centrale che ho visto. Ci investono schiamazzi allegri di bambini che giocano a pallone, dei clown vanno a strappare un sorriso ai più piccoli. Scout e volontari della Protezione civile, che si stanno adoperando per sopperire alle mancanze, guardano preoccupati il cielo minaccioso. Se piove si rischia di navigare nel fango, bisognerà mettere delle passatoie in legno. Un’anziana in sedia a rotelle ci saluta dall’ingresso della sua tenda. Qui le cose quotidiane più scontate devono essere pensate e pianificate con attenzione. Antonella, volontaria dell’Agesci che lavora al campo mi sorride e dopo avermi fatto sedere per vedere un balletto preparato da alcuni bambini, mi dice una cosa insolita. “Siamo cattolici. La fede è ciò che da senso a quello che facciamo. non lo si fa per sè e neppure per loro. Lo si fa per la fede”.

Si riparte per Tempera, altra frazione. Mi dicono che prima erani tutti comuni, hanno scelto per convenienza di raccogliersi tutti nel comune dell’Aquila. Arriviamo. In realtà i campi sono tre. Due ufficiali voluti dalle autorità e un terzo spontaneo. La gente non ha voluto allontanarsi dalle proprie case e ha deciso di accamparsi nelle vicinanze rinunciando a elettricità, acqua e gas. Lo chiamano affettuosamente “Scampia”, perchè le condizioni estreme hanno esacerbato gli un po’ animi. Mentre visitiamo i vialetti un padre al telefono parla del figlio “ho dovuto tenergli la mano tutta notte, ha paura di dormire e non vuole stare in tenda”. Poco dopo una jeep della polizia municipale arriva con un carico di uova di cioccolata. Ripenso a quel bambino.

Visitati i tre campi di Tempere ci dirigiamo a quello di Arischia. Un vero portento. C’è il container cucina, le tende autogonfiabili, la tenda della Croce Rossa con ambulatori. Per riassumere l’efficienza del campo mi basta la scrita di un cartello: 11.30 pranzo per celiaci. Le sigarette ancora una volta si rivelano un ottimo spunto. Le ho finite e mi rivolgo alla tenda della Croce Rossa, la prima entrando. Enzo, infermiere fumatore, me ne regala due e tutto orgoglioso, guardandosi intorno “quello che vedi è tutto della Protezione civile della Regione Molise, dopo il nostro terremoto abbiamo comprato una carovana di soccorso all’avanguardia”. Ma qualche problema c’è: 300 uova di pasqua rimangono mestamente in un angolo della tenda “ludoteca” dopo che ognuno degli 80 bambini del campo ha già ricevuto il secondo uovo personale, in compenso mancano i palloni. La mente vola al primo campo. Si organizzerà uno scambio tra uova e palloni. Bisogna anche affinare le tecniche per la distribuzione delle pietanze agli anziani che non possono muoversi dal letto. Sono tanti e il cibo rischia di arrivare freddo. E’ ormai buio, si torna alla base. Ci aspetta una delle due scatolette di tonno quotidiane. Ho visto tra le tende lo stesso silenzio e la stessa dignità della mattina. Appena arrivato di fronte al palazzetto incontro Vincenzo, infermiere volontario pugliese Cives. Parliamo dei campi, gli dico di “Scampia”, lui m’informa che è risentrato da poc, hanno trovato un campo di 800 persone in montagna di cui non si sapeva nulla. Niente coperte, niente brande, niente viveri, niente acqua nè per bere nè per lavarsi. Solo le tende. “Quando sono arrivato mi hanno salutato e ringraziato. Erano contenti di essere vivi e di avere una tenda dove dormire”. Dopo mangiato vado a bermi un caffè. Ennesima sigaretta. Siamo in due. Giampiero della Croce rossa Aquila mi saluta “devo riattaccare in centro. Sembra che ci sia una persona ancora viva sotto le macerie.” La cosa non è confermata, se ne sa poco. Rimangono solo due cose. Questo popolo e i volontari che lo accudiscono. Nec Recisa Recedit.


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