Economia

Unicredit, Profumo di potere

Sui giornali retroscena e scenari del colosso bancario

di Franco Bomprezzi

Le grandi manovre all’interno del colosso bancario italiano Unicredit, con le sofferte dimissioni dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, sono anche oggi il tema dominante sulle prime pagine dei quotidiani.

“Profumo sfiduciato, l’ira di Tremonti” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA, con vignetta di Giannelli. Si vede il palazzo Unicredit di Cordusio, con Profumo che esce da solo, con una valigetta per mano, mentre due passanti commentano: “Profumo che se ne va”. E l’altro: “Puzza di politica che resta!”. Sintesi fulminante di uno dei temi più rilevanti della giornata, ossia il peso che può avere avuto la politica nelle decisioni del consiglio di amministrazione della banca, che ieri, dopo il tira e molla sulle dimissioni di Profumo, non ha indicato il successore, affidando l’interim al presidente Dieter Rampl. Un’incertezza subito rilevata dai mercati finanziari, che hanno penalizzato il titolo in Borsa. E come la pensi il quotidiano diretto da Ferrruccio de Bortoli lo si capisce subito dal titolo dell’editoriale affidato alla penna di Francesco Giavazzi: “Un errore, grave”. “Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca – commenta l’opinionista economico – è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso…) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali, ad esempio Hsbc (Hong Kong and Shanghai Banking Corporation), la più estesa e la migliore banca al mondo. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti”. E conclude: “Alessandro Profumo ha anche commesso degli sbagli: comprare Capitalia, per esempio, e gestire troppo frettolosamente l’ingresso dei libici. Ma oggi paga per una sua scelta giusta: non aver accettato di venire a patti con le consorterie che comandano in Italia. In quindici anni ha creato l’unica grande multinazionale con una testa italiana. I piccoli feudi sono fermamente intenzionati a distruggerla. Con il capitalismo dei feudi le nostre imprese non andranno lontane. E le modalità ieri usate dagli azionisti possono solo danneggiare la reputazione dell’Italia”. Una preoccupazione, questa, sicuramente condivisa dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, stavolta non allineato al pensiero della Lega, come racconta Sergio Bocconi a pagina 3: “Tremonti avrebbe in effetti esercitato un pressing molto forte e con toni descritti come particolarmente accesi sulle fondazioni azioniste di Piazza Cordusio, «sue vigilate» -racconta nel pezzo sul retroscena – Esprimendo ai vertici degli enti in modo duro il suo no all’uscita di Profumo, per di più al buio, senza cioè già un successore designato. Da Paolo Biasi, presidente di Cariverona (socio con il 4,63%), ad Andrea Comba, al vertice della Fondazione Crt (3,32%) fino ad Andrea Landi della Carimonte (3,17%): Tremonti non avrebbe «saltato» un nome. Per telefono avrebbe manifestato la sua ferma opposizione a una «cacciata» del top manager per molteplici ragioni, a cominciare da forti preoccupazioni per la stabilità del sistema: Unicredit è la più grande banca italiana con mille miliardi di attivo ed è quella a vocazione più multinazionale”. Ed ecco le ragioni di preoccupazione e di irritazione di Tremonti: “il top manager è stato protagonista di recente di almeno un paio di operazioni che a Tremonti stanno molto a cuore – spiega Bocconi – e che non è difficile configurare di «sistema» inteso come interesse generale. La prima riguarda l’adesione al fondo di social housing promosso dal ministero dell’Economia attraverso la cassa Depositi e Prestiti, fondo destinato cioè all’edilizia sociale e che dovrebbe disporre di risorse superiori ai 2 miliardi, per metà messe a disposizione dalla Cdp, e per il resto raccolte attraverso l’adesione appunto di Unicredit, Intesa Sanpaolo, Allianz, Generali e le casse previdenziali private. La seconda operazione, anch’essa promossa fortemente da Tremonti, riguarda l’avvio della vendita da parte di Unicredit del Mediocredito centrale (privatizzato nel ’99, ceduto insieme al Banco di Sicilia a Capitalia e poi passato con quest’ultimo a Piazza Cordusio) alle Poste. Passaggio che secondo i piani del ministro rappresenterebbe la base per la costituzione della Banca del Mezzogiorno, istituto per piccole e medie imprese del Sud. Logica dunque l’attenzione del ministero dell’Economia per la situazione in Unicredit”. A trarre motivo di soddisfazione per la buonuscita di Profumo, al momento, c’è di sicuro don Virginio Colmegna, al quale dovrebbero arrivare, stando alle dichiarazioni della moglie dell’ex ad di Unicredit, ben due milioni di euro in beneficenza, sui 38 milioni complessivi di liquidazione concordata con lo studio legale. Il totosuccessione nel pezzo di Massimo Sideri, a pagina 2: “Spunta l’ipotesi di Orcel”, ossia, come spiega il giornalista economico del Corriere, “uomo molto vicino a Paolo Biasi (presidente della Fondazione Cariverona, ndr) considerato un esperto di fusioni bancarie a livello europeo e che conosce dall’interno i meccanismi di Unicredit avendo seguito da vicino tutte le operazioni che hanno riguardato il rafforzamento della banca di piazza Cordusio”. Più articolato e complesso lo scenario che racconta Massimo Mucchetti: “Azionisti a raccolta dopo la «scalatina»”. “La conclusione traumatica del quindicennio di Profumo – chiosa Mucchetti – non può essere ridotta allo scontro tra il manager buono, lontano dal potere, e le fondazioni cattive, impastate di politica (…) Il pericolo di un’influenza ingombrante della politica, semmai, si prospetta per il futuro”.

Anche oggi LA REPUBBLICA apre sull’affaire bancario: “Unicredit, Profumo si dimette”, un titolo cui fa seguire molti servizi e commenti. Comincia Giovanni Pons che nel suo pezzo (“L’ultima mossa del supermanager: sulla mia estromissione ho preteso le impronte digitali”) sottolinea la preoccupata perplessità di Bankitalia: i poteri di Profumo sono andati al presidente Rampl; ebbene: non c’erano gli estremi della fretta e non si può lasciare la prima banca italiana in mano ai tedeschi per troppo tempo. E la caccia al successore è già aperta: secondo Andrea Greco si parla di Matteo Arpe, di Giampiero Auletta Armenise, di Claudio Costamagna, oltre che di Mario Greco e Enrico Cucchiani, manager di importanti istituti finanziari. Per il retroscena, Massimo Giannini svela che l’attacco a Profumo sarebbe stato deciso in una cena durante la visita a Gheddafi (e il titolo del suo pezzo è chiaro: “Vince l’asse Berlusconi-Geronzi «Ora la fusione Generali-Mediobanca»”). «Il destino di Profumo era segnato da un anno e mezzo e lui era il primo a saperlo» sostiene un ministro non nominato. Troppi i nemici del banchiere che soprattutto era di ostacolo alla grande fusione di cui il premier fa mostra di non preoccuparsi (pur essendo al corrente di tutto: Profumo questa estate è andato ad Arcore per presentargli l’aumento di quote dei libici, e Berlusconi gli avrebbe detto: «procedi pure»). In realtà il premier subito poi avrebbe concordato con Geronzi le tre tappe dell’attacco che poi si è puntualmente svolto. Così Berlusconi si è messo al riparo in uno scenario che porterebbe alle elezioni e Geronzi ha aggiunto una possibilità di tornare a comandare a Mediobanca. Quanto alle reazioni si segnalano quelle difensive della Lega: non è vero che interferiamo. Cota sottolinea che «non c’è nessun leghista nel cda», mentre Flavio Tosi definisce Profumo un «custode infedele»: ha fatto entrare i libici senza avvisare. Più sincero forse Luca Zaia: «se non nominiamo i nostri amici poi ci vanno quelli degli altri ed è pericoloso». Per Colaninno, Pd, c’è il rischio di «una regressione del mercato finanziario italiano a una decina di anni fa». Intanto nel partito di Bersani, D’Alema e Veltroni sale la quotazione di Profumo (due volte elettore alle primarie): potrebbe essere il «papa straniero del Pd». Il partito ne misurerà la popolarità con un sondaggio (confermando così il suo grande smarrimento).

“Cacciato il banchiere della sinistra” titola in prima pagina IL GIORNALE. In quarta pagina si apre con una ricostruzione della giornata di ieri, un profilo di Dieter Rampl chiamato a gestire la transizione (“Rampl, il cattolico bavarese che ha conquistato Milano”) e, in un box, le preoccupazioni del ministro dell’Economia Tremonti. “Quel banchiere che piace a sinistra” è il titolo a pagina 5: «Il distacco dalla politica era solo di facciata» è il commento de IL GIORNALE nel sommario, «una forma di retorica che alla fine gli si è ritorta contro». Sulla liquidazione di Profumo IL GIORNALE riferisce il commento della moglie Sabina Ratti, che ha detto di aver visto la cifra solo sui giornali e che, in ogni caso, 2 milioni andranno in beneficenza a Don Colmegna.

«Assalto alla cassa» è questo il titolo dell’articolo di Galapagos che inizia in prima pagina e prosegue poi nelle due pagine (la 2 e la 3) che IL MANIFESTO dedica al caso Unicredit. Alle dimissioni di Profumo è dedicata anche l’apertura della prima pagina con una foto di copertina che ritrae Bossi e Tremonti: «Profumo di elezioni» il titolo. Nel sommario si legge: «Si è dimesso, anzi no (IL MANIFESTO ha chiuso prima dell’ufficializzazione delle dimissioni). Una lettera consegnata al Cda di Unicredit da Alessandro Profumo lascia aperta l’ipotesi di un braccio di ferro tra gli azionisti della grande banca internazionale. Il titolo prede punti, la Lega applaude e reclama il bottino delle Fondazioni per oliare la macchina elettorale del nordest. Tremonti tace e acconsente». Tornando all’articolo di Galapagos si legge che nelle dimissioni di Profumo «(…) c’è puzza di Lega, “profumo di elezioni” che il partito di Bossi vuole affrontare avendo per le mani il controllo di grosse banche del Nordest» e conclude «Quello che è certo è che la “banca in doppio petto” come sosteneva una fortunata pubblicità, ne uscirà con le ossa rotte. Speriamo solo le ossa, visto che un capro espiatorio c’è già: Alessandro Profumo, sarà facile addebitargli i danni che provocheranno altri. Infine una notazione non da poco: in questa situazione la Consob è stata assente. Sarà un caso che il presidente dell’Autorità di borsa se ne sia andato da mesi e non sia stato sostituito? Come il ministro dello sviluppo che Berlusconi non può e non vuole nominare». Al tema è dedicato anche un corsivo in prima pagina siglato V.P. «Il banchiere scomodo» dove si legge: «In quest’Italia berlusconizzata essere di sinistra proprio non va bene, tanto più se uno è un banchiere come Alessandro Profumo. Profumo era ed è di sinistra e, forse proprio per questo, è stato ed è un banchiere di alta qualità, capace di mantenere in ordine e far crescere Unicredit (…)» e conclude «E tutto questo, pare, per aver fatto entrare in Unicredit capitali libici, capitali che in Italia, da Palazzo Grazioli in giù tutti rincorrono». Non manca la vignetta di Vauro che sotto il titolo «Unicredit – Affondato Profumo» disegna la caricatura di Profumo come un capitano su una nave che affonda che dice: «Maledette motovedette leghiste».

“Il consiglio Unicredit sfiducia Profumo” è il titolo a otto colonne del SOLE 24 ORE di oggi, che dedica alla vicenda le prime quattro pagine del giornale. Il commento in prima è affidato a Paolo Bricco e il titolo non  lascia spazio a dubbi sulla posizione del quotidiano di Confindustria: “Chi ha paura di una banca autonoma?”: «In queste settimane abbiamo raccontato il logoramento del rapporto fra Profumo e gli azionisti, in primo luogo le fondazioni italiane. E abbiamo fatto carico al manager delle sue responsabilità. C’è, però, qualcosa che stride: lo strappo violento che gli azionisti tedeschi e italiani hanno scientificamente prodotto nelle ultime ore sono un cattivo esempio di governance. Non è giustificabile che una grande banca di sistema, la più internazionalizzata del paese, divenga all’improvviso un corpo privo di testa strategica e operativa. (…) perché non progettare un percorso per consentire a Profumo di ultimare i dossier aperti e per portare a un contemporaneo avvicendamento con un manager di calibro internazionale? Perché indulgere in una guerra lampo che potrebbe portare a un pericoloso vuoto di potere? (…) Una vicenda segnata da troppe opacità: prova ne è la preoccupazione manifestata anche, all’interno del perimetro governativo, da un Tremonti a dir poco scettico e da una maggioranza divisa. Di certo, lascia perplessi che una delle principali infrastrutture finanziarie del paese, perché questo è una grande banca come UniCredit, possa passare sotto il controllo del capitalismo tedesco o che, restando nella ristretta cinta daziaria italiana, possa diventare oggetto degli appetiti della politica.  E che una di queste opzioni, o il combinato disposto di entrambe, si possa inverare proprio adesso, mentre il paese si trova alla vigilia di possibili elezioni.  (…) Tutti, in Italia e all’estero, hanno elogiato i nostri istituti di credito. Che, infatti, hanno sofferto meno di altri le patologie dell’ingegneria finanziaria e hanno sostenuto in misura più robusta e convinta il sistema produttivo. L’auspicio è che questa peculiarità strutturale non si smarrisca, che la politica resti fuori dallo sportello e che non si apra una stagione cruenta, in cui i manager indipendenti in grado di dire dei no anche al “territorio”, nobile parola che talvolta è sinonimo ipocrita di clientela, divengano prede da impallinare e da sostituire, in furiosa velocità, con più fedeli cani da riporto». Segnalo, tra le molte interviste dedicate alla questione, quella al giurista Renzo Costi, a pagina 4, che parla di “Ruolo improprio delle fondazioni”: «Da quanti anni ne parliamo le fondazioni continuano ad essere decisive negli assetti proprietari delle aziende di credito ma non rispondono a nessuno. Forse sono un illuso ma continuo a ritenere che valga ancora lo slogan: “liberare le banche dalle fondazioni e le fondazioni dalle banche”».

Scelta come al solito originale per ITALIA OGGI che nella parte di attualità lega la questione Profumo all’indagine che sta coinvolgendo i massimi vertici dello Ior, a partire dal presidente Gotti Tedeschi. Il titolo è “Un giallo da 23 milioni in Vaticano” a cui si aggiunge un sommario a dir poco allusivo: “Solo una coincidenza temporale con la cacciata di Profumo?”. Scrivono Franco Adriano e Giacomo Barone dopo aver illustrato l’ipotesi di reato (riciclaggio) che starebbe toccando i timonieri della banca vaticana: «…si potrebbe iniziare a intravedere uno spettacolare scontro fra finanza laica e finanza cattolica, con una coincidenza temporale fra la cacciata di Profumo e il siluro a Gotti Tedeschi». Il titolo su Profumo è invece rimandato all’apertura delle pagine Mercati & Finanza con un secco “Unicredit, Profumo se ne è andato”, in cui si parla di «tempi stretti per la successione». Ci sarebbe già una lista di 4/5 nomi top secret che esclude le ipotesi uscite sui giornali in questi due giorni. 

IL RIFORMISTA sul caso Profumo pubblica a pagina 3 un’intervista a Nerio Nesi, già ministro del Lavoro e presidente della Bnl, secondo cui l’ad di Unicredit “ha pagato l’assenza di alleati molto forti e il voltafaccia delle Fondazioni. «L’esperienza mi insegna – ha detto  Nesi – che quando si arriva a certe vette, la caduta diventa quasi logica. Quando si hanno poteri enormi, il sistema di inimicizie, gli errori e gli interessi offesi rendono molto difficile andare avanti». Definendo “banale” la giustificazione di Profumo che si era definito “un personaggio scomodo, fuori dal sistema” , Nesi ha aggiunto: «non ha tenuto conto che anche una persona del suo livello non può agire senza alleati molto forti. Decisivo, poi, il sistema delle Fondazioni. Prima l’hanno aiutato, poi gli si sono improvvisamente rivoltate contro». Quanto alla domanda se le dimissioni di Profumo abbiano o meno a che fare con la realtà politica Nesi sostiene che «Sicuramente Profumo non è un berlusconiano. E da domani non sarà più uno dei principali esponenti del potere economico. Da questo punto di vista il Cavaliere ne avrà un indubbio vantaggio».

“Tempesta Unicredit” titola AVVENIRE in prima e dedica le pagine 4 e 5 al giallo dell’uscita di scena di Alessandro Profumo. Giuseppe Matarazzo riferisce sulla giornata ad altissima tensione culminata e sul consiglio-fiume per offrire all’ex numero uno la risoluzione consensuale del rapporto: «La exit strategy di Profumo era stata decisa ieri mattina e l’accordo per la buonuscita sarebbe intorno ai 40 milioni di euro. . . A nulla sono valsi i tentativi anche del ministro dell’Economia Giulio Tremonti per convincere le Fondazioni a fare un passo indietro, evitando un’ardua transizione in un momento piuttosto difficile». Per quanto riguarda il futuro, dopo la delega al presidente Rampl è caccia a un sostituto capace di accogliere un’eredità pesante, con il titolo Unicredit a – 2%. L’ipotesi più probabile è «in una short list di banchieri e manager. Da comporre e verificare. Ma gli anni di Profumo non si possono certo dimenticare in un giorno». In un articolo di taglio basso viene ricostruita la carriera di “Mister Arrogance”: 13 anni sempre col piede sull’acceleratore, dai primi passi nel Credit fino al progetto Banca Unica che hanno trasformato Piazza Cordusio nella banca più internazionale d’Europa. A pagina 4 si affrontano i retroscena e si spiega perché la “partita” in banca spacca anche la politica, visto che si è incrinato l’asse tra Tremonti e la Lega, mentre l’opposizione, con Tabacci e Penati, va all’attacco sulle ingerenze di Palazzo nella finanza. Scrive Arturo Celletta: «È vero che Tremonti ha provato fino all’ultimo a difendere Profumo e che invece Berlusconi e Letta hanno sferrato l’attacco finale anche per limitare il raggio d’azione del ministro dell’Economia? Si aspetta di capire e, intanto, nel centrosinistra qualcuno arriva a ipotizzare per Profumo un futuro in politica».

Titolo di apertura “Unicredit, la resa di Profumo”, commento di Luigi La Spina, e le prime quattro pagine dedicate all’addio di Alessandro Profumo da amministratore delegato di Unicredit. E’ quanto dedica LA STAMPA al caso. Ma partiamo dall’inizio: oltre alla cronaca dei fatti, condita dal giallo sulla presunta lettera di dimissioni volontarie mai spedita da Profumo, il retroscena vuole sia addirittura sceso in campo Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, a sostenere l’ad fino all’ultimo. Guido Ruotolo intervista inoltre l’ambasciatore libico a Roma: «Per noi Profumo ha fatto un buon lavoro. L’abbiamo appoggiato. Ho letto cose inesatte in questi giorni. Non è vero che il presidente (Rampl ndr) era all’oscuro. Era stato informato da Tripoli. Credo dunque che, i motivi di questa resa dei conti siano altri. Non tocca a me stigmatizzarli».
A pagina 4 e 5, invece due interessanti profili: Alessandro Profumo da un lato e Dieter Rampl dall’altro. L’amministratore che se ne va, e il presidente che resta. Non manca poi un affondo sulle perplessità di Giulio Tremonti, l’ondivago ministro che tutto dice e il suo contrario, ma con apparente linearità; trova spazio il rebus delle Fondazioni, apparentemente leghistizzate, ma in realtà, scrive Marco Alfieri nel suo “Giorgietti coregge Tosi” «quel “ci prenderemo le banche del nord” si sta risolvendo in una pragmatica cooperazione con l’inossidabile ceppo di banchieri ex Dc».

E inoltre sui giornali di oggi:

SICILIA
IL MANIFESTO – «Repubblica siciliana» è questo il titolo principale delle due pagine (4-5) che IL MANIFESTO dedica al varo della quarta giunta di Raffaele Lombardo «Un nuovo governo per la regione con tutti i delusi dal cavaliere. Lombardo presenta la giunta di “tecnici” sostenuta dal suo movimento autonomista e dai finiani, dall’Udc fedele a Casini e anche dal Pd (che conta i maldipancia). “Faremo le riforme” dice il presidente, che oggi cerca la fiducia. E guarda agli esiti romani: in parlamento i suoi sono decisivi per il governo». Di spalla, tra le conseguenze politiche, anche il caso Cosentino «Pdl, dopo la conta di Palermo esplode anche la Campania». Si legge «(…) Da Palazzo Grazioli ormai tutte le strade portano a Palermo. Non a caso sono quasi tutti siciliani i 5 parlamentari che dall’Udc potrebbero passare al Pdl entro la fine del mese. L’originaria implosione del Pdl siciliano in due fazioni (Alfano – Schifani da un lato, Miccichè – Fini dall’altro) è schizzata come un domino in una miriade di sottogruppo in cui ognuno, ormai, gioca per sé (…) Per ora più che una pace  nel centrodestra c’è una non belligeranza (…)» e si conclude: «Dopo la frattura di Palermo, insomma, la destra potrebbe scoppiare anche in Campania, una regione tra l’altro che elegge ben 30 senatori».

IOR
LA REPUBBLICA – Bufera sui vertici della banca vaticana: indagati Cipriani e Gotti Tedeschi;

l’accusa è elusione delle norme anti-riciclaggio. Una giornata terribile, confessa il presidente intervistato da Marco Ansaldo: «il giorno più complicato della mia vita»; «si è trattato di una operazione normale di tesoreria, Ior su Ior. Qui ogni cosa è sempre andata bene e anche i rapporti con la Banca d’Italia sono buoni. Davvero non riesco a capire». Il cardinal Bertone ha espresso la sua perplessità sull’avviso di garanzia e sull’inchiesta.

NUCLEARE
IL SOLE 24 ORE – “Stop al piano per le scorie nucleari”. L’impasse dell’atomo. Silvio Berlusconi come titolare ad interim del ministero dello Sviluppo blocca il piano per le scorie, perché ancora non si è insediata l’agenzia. 

BIOETICA
AVVENIRE – Un convegno organizzato dal Pdl al Senato è l’occasione per rilanciare l’agenda del governo sui temi della Bioetica. La pagina 9 è tutta dedicata all’argomento e sull’avvio del confronto tra moderati e riformisti. Sacconi dice di puntare a un largo accordo trasversale, il ministro Fazio annuncia come imminente l’apporvazione della riforma dei comitati etici per la ricerca. Per il sottosegretario Eugenia Roccella «è la sfida della postmodernità. Non decidere significa lasciare un vuoto». E il Movimento per la Vita lancia la proposta di legge di iniziativa popolare che punta a modificare il primo articolo del Codice civile.

BAMBINI STRANIERI
IL SOLE 24 ORE – “Figli sui banchi in Egitto: la via a ritroso dei genitori”. Karima Mouai racconta della nuova tendenza di molte famiglie straniere a rifiutare l’istruzione in Italia: «Una tendenza che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede. I primi a fare questa scelta estrema sono stati soprattutto genitori di origini egiziane. Ma adesso anche sempre più genitori marocchini seguono l’esempio e decidono di far tornare i figli al paese d’origine piuttosto che vederli allontanarsi per sempre dalle loro origini. Da loro. E così, proprio alle elementari, più di qualche bambino inizia a sparire dai banchi. E anche questo è da considerare parte di quel fenomeno di nuove identità in crescita, in un’integrazione contesa e ancora difficile da delineare.

BILL GATES
IL GIORNALE – “Bill Gates lascerà tutto ai poveri. I figli? A lavorare”. Il fondatore di Microsoft ha dichiarato al “Sun” che lascerà tutto il suo patrimonio di 34 miliardi di dollari ai Paesi poveri. «I miei ragazzi avranno qualcosa» ha detto, ma il benessere devono conquistarlo con le proprie forze». In apertura a pagina 25 IL GIORNALE commenta la notizia parlando di «zucchero filantropico» e accusando Gates («il riccone con la faccia da sgobbone») di volersi fare pubblicità «un po’ di reclame non basta mai». Il summit Onu sugli obiettivi di sviluppo del millennio è definito «uno di quei bla bla terrificanti dove si spendono milioni di dollari per parlare di miseria».

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