Cultura

Un’altra via per la Cambogia: voci e storie di vittime di tratta

40 milioni di esseri umani ogni anno in tutto il mondo sono vittime di tratta: un fenomeno in crescita a livello globale. Takoua Ben Mohamed fumettista di origini tunisine racconta, nella graphic novel “Un’altra via per la Cambogia”, il viaggio fatto nel Paese con WeWorld. Dove ha raccolto storie di uomini e donne che migrano verso la Thailandia e che finiscono in mano a trafficanti senza scrupoli che li vendono come lavoratori a basso costo, senza nessun diritto o, nel caso delle molte donne e ragazzine, come prostitute

di Anna Spena

40 milioni di esseri umani, che ogni anno in tutto il mondo sono vittime di tratta: un fenomeno in crescita a livello globale, e che riguarda soprattutto i più deboli, come donne e bambini. Le vittime sono per il 70% donne, sfruttate per motivi sessuali a differenza degli uomini che vengono usati per lavoro, e per il 30% bambine e bambini: 12 milioni di minori sono vittime di tratta in tutto il mondo.

Alcuni di loro intraprendono un percorso migratorio che crediamo non ci riguardi, invece ci riguarda eccome. É quello di un milione di cambogiani che sono costretti ad affidarsi ai trafficanti di esseri umani (i cosiddetti “broker”) per trasferirsi alla ricerca di un lavoro che possa permettere alle loro famiglie di sopravvivere. 14 milioni di abitanti, di cui la metà minori, che vivono e lavorano nella vicina e più ricca Tailandia. Uomini e donne che migrano in maniera più o meno volontaria, spesso irregolare (quasi il 70% dei casi) e che finiscono in mano a trafficanti senza scrupoli che li vendono come lavoratori a basso costo, senza nessun diritto o, nel caso delle molte donne e ragazzine, come prostitute. L’immigrazione regolare è infatti molto più costosa, i tempi sono lunghi e la burocrazia complicata: per persone che vivono in comunità rurali, che non hanno mezzi né altre possibilità, quella di affidarsi ai trafficanti è l’unica scelta possibile per provare a sfamare sé stessi e le proprie famiglie.

Takoua Ben Mohamed fumettista italo-tunisina racconta in un “diario di bordo” a fumetti il viaggio autobiografico fatto in Cambogia per denunciare le storie dimenticate di uomini, donne e bambini cambogiani vittime di tratta di esseri umani. Lo fa insieme a WeWorld – organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 27 Paesi. Il risultato è una graphic novel “Un’altra via per la Cambogia” pubblicata dalla casa editrice BeccoGiallo.

«Ho incontrato e parlato con queste persone», racconta l’autrice. «Ragazze vendute come merce, come se non avessero alcun valore, costrette alla prostituzione, bambini che non vedono da anni i genitori, nonni costretti a farsi carico dei piccoli quando non hanno nemmeno da mangiare. Sono temi che sento molto vicini, io stessa sono “immigrata” a 8 anni a Roma (anche se allora non sapevo nemmeno di esserlo) e pur nelle differenze in Cambogia ho trovato tante similitudini con il mio vissuto e con la mia infanzia in Tunisia».

Un altro filo lega Takoua Ben Mohamed a questo progetto è il volontariato. Da quando è arrivata a Roma, lei e la sua famiglia sono sempre stati molto attivi nelle iniziative di solidarietà e crede fortemente in questo impegno. E in Cambogia ha incontrato e osservato il lavoro fondamentale delle giovani volontarie europee di EU Aid Volunteers, che supportano WeWorld nel Paese asiatico. In Cambogia, a Siem Reap, dove WeWorld ha una delle sue sedi principali, Takoua ha preso parte alle missioni nelle comunità rurali delle volontarie europee e dello staff dell’organizzazione. Un’iniziativa importante e necessaria, che WeWorld porta avanti con l’Unione Europea dal 2012.

Takoua Ben Mohamed ha scritto questo libro anche perché: «Non tutti riescono a capire cosa significhi intraprendere un percorso migratorio. C’è una burocrazia tale da catapultarti in un circuito difficilissimo da gestire».

«Non dimenticherò facilmente i social ambassador», continua Takoua Ben Mohamed, «che sono al centro degli interventi di sensibilizzazione e di informazione di WeWorld in Cambogia contro la tratta, e le loro storie importanti, che hanno il coraggio di condividere con i loro connazionali per evitargli la stessa sorte, se un giorno decidessero di intraprendere il viaggio verso la Tailandia. La sorte di essere vittime di trafficking, venduti come schiavi, e schiavizzati nel lavoro forzato. Oltre alle violenze fisiche e psicologiche subite, con minacce nei loro confronti e nei confronti dei loro familiari, aver vissuto così per anni ti distrugge dentro. E ci vuole veramente un grande coraggio e tanta volontà per superare questa terribile esperienza, e ancora di più per arrivare a condividerla con gli altri. L’incontro che mi ha profondamente colpita è stato con un social ambassador in particolare, lui ha una storia incredibile. A 16 anni decide di migrare verso la Tailandia. Viene venduto e schiavizzato mentre lavora in un peschereccio per 18 ore al giorno, 7 giorni su 7. Quando sentiva la stanchezza lo riempivano di droghe, anche se il corpo era stremato. È stato minacciato dai suoi compagni perché cercava di scappare. Se scappava lui, picchiavano tutto il gruppo. Una volta è riuscito a scappare, quando il peschereccio dove lavorava era in acque malesi lui si butta in acqua, raggiunge la foresta e si nasconde lì. Ma l’hanno trovato, comprato e rivenduto. Alla fine è riuscito a fuggire ed è tornato in Cambogia».

«Siamo ormai abituati a sentire storie di migrazioni verso l’Europa, come se tutti i movimenti globali si concentrassero ai nostri confini. Questa storia, diversa e sorprendente, narra un pezzo di mondo lontano da “casa” e dall’immaginario da cartolina che il marketing del turismo ci rimanda di Tailandia e Cambogia», aggiunge Stefania Piccinelli, Responsabile Programmi Internazionali di WeWorld. «Alla base dei progetti di WeWorld ci sono la prevenzione e la sensibilizzazione: ex migranti forzati e vittime di tratta si mettono al servizio della comunità per raccontare i rischi del trafficking affinché nessun altro debba subire la stessa sorte».

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