Si può ben dire che il Rapporto sulla non autosufficienza presentato mercoledì 21 dal ministero del Lavoro, ha ufficialmente aperto l’emergenza welfare. I numeri sono impressionanti oggi e lo sono ancor di più se proiettati nei prossimi anni: la percentuale della popolazione over 65, che oggi è al 20%, nel 2050 sarà addirittura del 34. In controtendenza invece i numeri di coloro che dovrebbero prendersi cura di questo terzo d’Italia con i capelli bianchi. Sono i figli (pochissimi, come dimostra il declino demografico) di chi sarà anziano domani, cioè i potenziali caregiver, in grado di prestare cure entro le mura domestiche. Saranno sempre meno, e sempre più insufficienti in rapporto alla popolazione anziana. Sino ad oggi la famiglia ha fatto da ammortizzatore all’impossibilità dello Stato a rispondere ai bisogni sempre più crescenti della popolazione anziana. Domani non sarà certamente più così. Inutile sognare che la soluzione stia nell’espansione all’infinito delle badanti, perché i flussi migratori, in particolare dai Paesi dell’Est, si rallenteranno e la sostenibilità economica già oggi è precaria, garantita com’è dal ricorso massiccio al lavoro irregolare. A bocce ferme, le spese per le cure a lungo termine, che riguardano nella grande maggioranza gli anziani, dallo 0,6% del Pil nel 2004 passeranno al 2,8 nel 2050.
La curva demografica rende esplosiva una situazione che già oggi sta subendo radicali trasformazioni: basti pensare che la spesa “privata”, cioè a carico dei cittadini in campo sanitario e assistenziale, è stimata in 55 miliardi di euro. È un mercato che cresce del 2% all’anno e che è già interamente privatizzato, non perché, come credono in tanti, lo Stato sia stato estromesso. Semplicemente perché lo Stato non può farcela, essendosi concentrato sulle situazioni acute: i bilanci delle Asl oggi sono all’80% assorbiti dalle cure ospedaliere.
Davanti a una situazione come questa il grande rischio è che si vada verso un welfare sempre più selettivo. Chi ha capacità economica (un calcolo attendibile parla di una riserva di almeno 150mila euro) potrà garantirsi condizioni dignitose per la propria vecchiaia. Per tutti gli altri – la grande maggioranza – si va verso una drammatica marginalizzazione e povertà. Se la risposta al problema sta solo in prodotti assicurativi (è la “finanziarizzazione” del welfare), questo sarà il probabile esito. E sarebbe grave se la drammatizzazione generata da questi dati finisse solo con il favorire dinamiche di questo tipo.
Non si può accettare di buttare a mare quella conquista di civiltà che è il modello di welfare universalistico e inclusivo. Se è così, l’unica via di uscita sta nella collaborazione tra i tre grandi soggetti che oggi, per motivi e con ruoli diversi, sono sugli avamposti di questo welfare scricchiolante. Solo da un’alleanza tra mondo dell’economia civile, profit, e pubblica amministrazione può nascere un modello di welfare capace di rispondere a una domanda destinata a restare sempre più inevasa, garantendo caratteristiche di giustizia e pari trattamento per tutti. Il welfare di domani ha bisogno di una progettualità nuova, di alleanze per l’innovazione. E Vita è pronta fare la sua parte.
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