Cultura
Una voce per i mille Islam
Il tavolo voluto dal ministro Pisanu è il primo tentativo concreto di dialogo con la seconda religione del Paese. Dopo mesi di polemiche, ecco come funzionerà di Angela Lano
di Redazione
Sull?agenda del 2006 c?è un appuntamento importante: l?esordio della controversa Consulta islamica d?Italia, organo consultivo presso il ministero dell?Interno, approvata dopo mesi di discussioni e polemiche. La partita è di quelle decisive. In gioco c?è il volto futuro della società italiana. Il caso tutt?altro che chiuso di via Quranta a Milano, con il relativo ping pong di responsabilità e la diaspora degli oltre 400 giovani studenti della scuola araba, è solo la punta dell?iceberg. Così come i polveroni scatenati dall?eterna diatriba ?velo sì, velo no? o le polemiche sulla presenza dei crocefissi nelle scuole italiane.
Alla radice della questione c?è il modello di convivenza che dovrà regolare i rapporti con una comunità che conta 719mila musulmani residenti (ma i praticanti sarebbero il 46% secondo una rilevazione dell?Ismu, centro studi legato alla Fondazione Cariplo), con un?età media giovanissima, poco superiore ai 30 anni, e che si avvale di oltre 200 luoghi di culto sparsi lungo lo Stivale. Tutti nodi che finirenno sul tavolo della neonata Consulta, un organismo fortemente voluto dal ministro Pisanu che forse avrà vita breve (probabilmente si esaurirà con la scadenza della legislatura), ma costituisce il primo mattone reale nella costruzione di un ponte fra la società italiana e l?Islam di casa nostra. L?apertura del ministro è stata una precisa scelta politico-strategica che ha messo nell?angolo l?oltranzismo dei vari Magdi Allam contrari per principio alla via del dialogo.
Una svolta importante è stata l?inclusione dell? Ucoii – Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, l?associazione islamica più rappresentativa, che con il suo presidente, il medico italiano di origine siriana Mohammad Nour Dachan, è entrata a pieno titolo tra i consiglieri-consulenti del Viminale. «Ci auguriamo», dichiara a Vita Dachan, «che, nel suo carattere peculiare di strumento di consultazione, possa diventare un efficace strumento di confronto istituzionale e di orientamento delle scelte dell?esecutivo». Dachan tiene comunque a puntualizzare che «l?attività della Consulta non potrà essere soltanto rivolta all?integrazione ma dovrà lavorare per tutti i musulmani, immigrati, autoctoni e anche naturalizzati».
Eppure non tutti i focolai di polemica si sono spenti. In particolare sul versante della provenienza geografica. Sono state coinvolte, infatti, persone di numerosi paesi islamici indipendentemente dal loro grado di rappresentatività dentro l?Islam italiano: pachistani, siriani, giordani, marocchini, tunisini, algerini, senegalesi, albanesi, italiani, libici, iracheni, ma neanche un iraniano, un egiziano o un palestinese , le cui comunità di riferimento sono ben presenti nel nostro paese.
Piccole stilettate che descrivono un movimento sì rappresentativo della seconda religione del Paese, ma che non è ancora riuscito a trovare il bandolo della matassa sulla strada di una rappresentatività matura e reale. In Italia la faccenda si trascina ormai da parecchi anni, complicata anche dal fatto che nella corrente sunnita, maggioritaria rispetto a quella sciita, non esiste una gerarchia, un clero cui far riferimento sia per siglare intese e concordati sia per i piccoli e grandi eventi della vita sociale e politica.
Sul piano strategico l?istituzione della Consulta avrà anche l?effetto di responsabilizzare la comunità islamica che ora non può più nascondersi, ma che dovrà esporsi con proposte da mettere al vaglio della pubblica opinione.
di Angela Lano
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