Mondo
Una terra over 55. La vera sfida è dar futuro agli anziani
Il punto di vista (inquieto) di Giuseppe De Rita
«Rappresentano la metà della popolazione colpita dal sisma. Bisogna dare loro la voglia di ricostruire. Ma è un problema che per ora nessuno si è posto.
Per la ricostruzione serve una tensione psichica sociale, organizzativa, non solo finanziaria»
Dalle scosse del terremoto, anziché indebolita, l’identità è uscita più forte. Come rinvigorita. A qualcuno potrà sembrare strano. Non a Giuseppe De Rita, presidente del Censis, che della rinnovata appartenenza dimostrata in questi giorni dagli abruzzesi dà una lettura articolata: «L’attaccamento è anche un fatto di identità. È naturale che 35-40enni affermino la propria volontà di ricostruire. La casa la faccio esattamente dov’era perché lì è la mia identità. Un discorso che però non vale per le persone anziane».
Vita: In che senso?
Giuseppe De Rita: A L’Aquila c’è una percentuale della popolazione anziana molto elevata. È legata al borgo, ma anche molto impaurita. Io ho visto la ricostruzione del secondo dopoguerra: era un popolo giovane che si costruiva la casa per domani. Ma perché un popolo vecchio deve ricostruirsi una casa? I figli magari stanno altrove. Vivono a Roma. È più semplice andare ad abitare da loro. Al di là dei discorsi sulle new town, dei pareri degli architetti e degli urbanisti, al di là delle indicazioni e degli incentivi, ci vuole la voglia e la speranza di ricostruire.
Vita: Secondo lei gli anziani quella voglia non l’hanno?
De Rita: Secondo me non ci sarà quel “clic” che spinge un giovane a costruirsi una casa più sicura. Per lui e per i suoi figli. Oltre i 55 anni – e nel territorio aquilano metà della popolazione ha superato questa soglia – perché ci si dovrebbe entusiasmare dell’idea di fare la new town o anche di rifare il borgo così com’era, o al limite più bello? Una persona anziana perché dovrebbe impegnare delle energie per rifare una casa ormai distrutta sapendo che non ci sarà più il sapore di un tempo? Essendo consapevole che non ritroverebbe più gli amici di una volta, che uscendo non troverebbe più il negozietto o il bar?
Vita: Dunque?
De Rita:Effettivamente il gioco della ricostruzione troverà nella dimensione anziana della popolazione un problema che nessuno si è posto. Tutti discutono se è meglio la new town o L’Aquila due. Uno scatenamento di ipotesi tutto sommato alcune volte improbabili che soprattutto non tengono conto di questo fatto fondamentale. Per la ricostruzione serve una tensione psichica sociale, organizzativa, non solo finanziaria. Una tensione necessaria anche nel caso in cui la casa venga regalata. Come è successo nel dopoguerra. Uno andava al Genio civile, portava i danni di guerra e veniva rimborsato. Mio padre, ricordo, ha lavorato per tre anni a questa pratica. Ma mio padre all’epoca aveva 40 anni.
Vita: Però la stessa identità borghigiana è manifestata anche dai giovanissimi?.
De Rita: Ripeto, ci vuole l’energia dello start up. Finanziaria, psichica, umana. Di fede, al limite. Perché si ricostruiscono le chiese? Perché sono un atto di fede: andranno a pregarci le generazioni future, quelli che passano. La casa no. È mia, riguarda la mia vita quotidiana e se non ho questo respiro, questo slancio, non avrò la voglia di ricominciare.
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