Sostenibilità

Una tassa sul packagingcontro la “sindrome da Barbie”

stili insostenibili La proposta di un esperto per ridurre la quantità dei rifiuti

di Redazione

Siamo tutti affetti dalla «sindrome di Barbie». La diagnosi, senza appello, è di Sergio Ulgiati, fisico dell’università Partenope di Napoli. «Acquistiamo imballaggi più che prodotti: il caso della bambola è emblematico, perché il giocattolo è nulla in confronto a tutto ciò che sta attorno. La bella scatola serve a catturare l’attenzione sul momento, ma finisce subito nell’immondizia. Altro esempio, le uova di Pasqua. La quantità di cioccolata non è proporzionata al prezzo: si paga la plastica che l’avvolge. Della sorpresa, poi, non ce ne facciamo nulla. E in Cina si chiedono a che cosa ci serviranno mai questi strani oggetti… Beh, già a Pasquetta va tutto nella spazzatura e le discariche si riempiono di carte colorate. Oggi non ce lo possiamo più permettere».
Ecomondo: Eppure tutto sembra continuare come se niente fosse. Come si fa a cambiare le cose?
Sergio Ulgiati: I governi, con l’aiuto di economisti consapevoli, dovrebbero vietare o disincentivare la produzione di oggetti con ciclo di vita brevissimo. Bisogna disincentivare l’inquinamento con determinate forme di tassazione. Si dice che non bisogna aumentare le tasse, ma siamo noi che paghiamo i costi della produzione e smaltimento di oggetti usa e getta. Non dev’essere più conveniente creare oggetti da buttare, per cui serve un’elevata quantità di energia, come le scatole plastificate per le Barbie. Tutti i contenitori in plastica dovrebbero sparire, a partire dalle bottiglie d’acqua.
Ecomondo: Che però ancora si vedono alle stesse conferenze sulla sostenibilità…
Ulgiati: Già, siamo noi i primi a dover cambiare stile di vita. È difficile, perché non siamo abituati al riuso e al riciclo. Siamo stati educati all’idea che più si produce e si consuma, meglio è. Significa che l’economia sta crescendo. Oggi, invece, dobbiamo abituarci a pensare al benessere come aumento della qualità, non della quantità. O lo facciamo spontaneamente, oppure ce lo imporranno le circostanze.
Le risorse sono scarse e sempre più vengono utilizzate da altri popoli, il cui benessere economico aumenta. Abbiamo il tempo per adattarci a nuovi stili di vita, prima che le risorse si esauriscano. Non è mica una novità. Già siamo abituati a ragionare in termini di disponibilità di risorse per le grandi scelte della vita, per esempio decidere di avere un figlio. Dobbiamo pensare così anche per le piccole cose, come andare al lavoro in bicicletta anziché in auto, indossare abiti usati, riscoprire il valore dello scambio e della gratuità.
Ecomondo: Se diminuisce la produzione si tagliano posti di lavoro, o no?
Ulgiati: Ma non possiamo continuare così. Si creeranno nuove opportunità, che nemmeno immaginiamo. Ci sarà un grande spazio per l’educazione. Le persone vanno accompagnate nella scoperta della qualità: la bellezza di stare in un bosco, andare a piedi e incontrare persone, trovare in un vecchio libro le tracce di chi l’ha letto in precedenza.
Ecomondo: Quanto sono diffuse le buone pratiche di sostenibilità?
Ulgiati: In tutta Europa ci sono molte esperienze legate allo scambio, recupero, riutilizzo. Per farsi un’idea basta cercare sul web, con parole chiave come «reduce», «reuse», «recycle», in inglese, perché in Italia siamo ancora un po’ indietro. Un segnale importante, però, è che anche i giornali più disimpegnati parlano spesso di stili di vita sostenibili. È questo il seme di una nuova società che, invece di piangere perché finiscono le risorse, decide di riprendersi quelle vecchie.

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