Economia

Una svolta vera ma la bontà c’entra poco

Parla Oliviero Baccelli

di Redazione

Vista la rigogliosità della reportistica sociale di questo ultimo periodo, la domanda sorge spontanea: qual è stata la molla che ha fatto spiccare il volo alle società aeroportuali. Sono almeno tre le piste di atterraggio di questo interrogativo. La prima si chiama Enac. L’ente nazionale per l’aviazione civile, come si accenna nell’articolo qui a lato, nei contratti di programma impone ai suoi partner vincoli ambientali piuttosto stringenti. Il mancato rispetto dei quali impedisce ai gestori di rivedere il sistema tariffario (per esempio le tasse da applicare ai passeggeri), una voce che per gli scali grandi vale circa il 50% delle entrate, quota che sale al 70/75% per quelli medio-piccoli (il resto è dato dalle attività commerciali). Insomma, avere un occhio di riguardo verso l’ambiente comporta un ritorno diretto per le casse aziendali. Ma questa è solo una faccia della questione.
Oliviero Baccelli (nella foto), vicedirettore del Certet – Centro di economia regionale trasporti e del turismo dell’Università Bocconi, è uno dei massimi esperti in materia di servizio aeroportuali. «Dal mio punto di vista hanno avuto un ruolo cruciale anche l’evoluzione delle legislazioni di due Paesi come Germania e Gran Bretagna che, con modalità e formule differenti, hanno introdotto una tassazione aggiuntiva con giustificazione ambientale per il trasporto aereo, risorse che poi confluiscono in un fondo per favorire la mobilità sostenibile». Una zavorra che si è ripercossa sul costo dei biglietti. Il valore medio di una tratta europea si aggira intorno agli 80/85 euro. In Germania, proprio in ragione della green tax, il costo medio è più alto di circa 2-3 euro, mentre a Londra e dintorni l’incremento arriva a 8 euro, ovvero il 10% del prezzo del ticket. «Questo meccanismo, sebbene scaricato sull’utenza», interviene il docente della Bocconi, «sta di fatto rendendo meno concorrenziali gli scali britannici». Va bene, ma cosa c’entrano gli aeroporti italiani? Risponde Baccelli: «Attraverso la sempre più fitta redazione di report ambientali si cerca di prevenire l’eventuale importazione di normative simili nel nostro Paese». Anche perché la concorrenza del trasporto su rotaia si fa sempre più aggressiva. «Trenitalia sul retro dei propri biglietti ha iniziato a scrivere quanto, in termini di CO2, un trasferimento in treno è più conveniente di un viaggio aereo. Non pensiamo», conclude Baccelli, «che operazioni di questo tipo non facciamo riflettere i manager aeroportuali». Molto plausibile: il trasporto aereo infatti si porta dietro una scia non proprio sostenibile. Facile incappare su internet in stime che paragonano «l’inquinamento di ogni aereo a quello di 500 auto non catalizzate». Dati difficili da verificare «ma non c’è dubbio che la popolarità di queste imprese in futuro sarà un elemento decisivo, soprattutto nel momento in cui i privati entreranno in modo più massiccio nel mercato», osserva ancora Baccelli. Privati che al momento sono presenti, con quote più o meno importanti, nella società Aeroporti di Roma e a Venezia, Torino, Firenze e Pisa (mentre in autunno è attesa la quotazione di Sea), su un totale di 48 scali commerciali.
La pressione dell’Enac, lo spauracchio di legislazioni green oriented e la necessità di “conquistare” l’opinione pubblica. È lungo queste tre direttive che è gli aeroporti strizzano l’occhiolino alla Csr. Ma di strada da fare ce ne è ancora parecchia. Un esempio? Nel bilancio di sostenibilità di Sea la parola “immigrati” non compare mai, così come quella “disabili”.


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