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Una speranza irriducibile in cammino verso Assisi

Alcuni pensieri per questi giorni di guerra e di pace

di Giuseppe Frangi

A lcuni pensieri per questi giorni di guerra, di pace. E di interminabili e insopportabili bla bla sui giornali e in televisione.
Primo pensiero. Non siamo neutrali. ?Né con i Talebani né con la Nato?, gridano alcuni. Non è la nostra posizione, non è questo il nostro pensiero. Il destino dell?uomo è una cosa troppo grande, troppo carico di dramma e di mistero per poterlo stringere dentro un?alternativa così angusta, e infine, così scema. Non siamo neutrali perché siamo per la pace, perché vogliamo affermare e costruire la pace, che, come ha scritto Edward Said, professore palestinese docente in America, è la capacità di «creare campi di comprensione invece che campi di battaglia». Vogliamo giocarci anima e corpo per creare questi ?campi di comprensione?, è il più grande gesto di amore che possiamo concepire verso noi stessi e verso gli altri, uomini spaesati e impauriti dall?improvviso precipitare del corso della storia.
Secondo pensiero. «Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra»: recita così il Salmo 119, con cui abbiamo voluto aprire questo numero di Vita… speciale per le circostanze così speciali in cui esce. È la seconda volta in un mese che ricorriamo ai Salmi dell?Antico Testamento per tentare uno sguardo realistico su quanto sta accadendo. Non è una scorciatoia, è una necessità, che molti lettori, anche non credenti, hanno capito benissimo.
Davanti al dramma che il mondo sta vivendo, le parole soffrono di impotenza. Non sanno spiegare perché non possono spiegare l?invincibile persistenza del male nel cuore della storia. E non potendo spiegare, non possono dare speranza. D?altra parte l?uomo ha bisogno di speranza come dell?aria che respira. Come darla? Come darcela? Il salmo descrive con realismo il paradosso e il dramma dentro il quale viviamo: la pace è un desiderio profondo e insieme una cosa fragilissima. È un pensiero debole, o ancor meglio umile, che se sa accettarsi nella sua debolezza, nella sua necessità di nutrirsi non di proclami ma di rapporti piccoli e reali, ha possibilità di affermarsi. Di farsi largo nella storia. Per questo il salmista si abbandona a quella constatazione drammatica, ma in cuor suo sa che la pace è una dimensione, nella sua piccolezza, irriducibile. Irriducibile come la positività sul reale affermata dal Dio biblico.
Terzo pensiero. È un pensiero rivolto a noi che siamo alla Perugia-Assisi e a quanti camminano con noi e al nostro fianco. Dobbiamo dire, in tutta onestà, che la Marcia della pace, sarà un crogiolo di desideri e di interessi diversi, forse anche diversissimi. Noi siamo in marcia per la pace, completamente, totalmente, ma con una nostra faccia. Certamente abbiamo poco da condividere con l?umanitarismo televisivo e con i suoi eroi, gli imperversanti Bertinotti-Casarini-Agnoletto.
Abbiamo poco da condividere con chi si arrocca su un antiamericanismo, figlio del secolo scorso e su chi cerca voti e consensi prossimi e venturi. Siamo alla Marcia della pace per porre un discrimine a chi ci governa. Ma anche per giudicare con lucidità un mondo che dopo l?11 settembre non è più lo stesso. Un mondo un po? meno diseguale, almeno per quanto riguarda la ripartizione delle paure e dei rischi. E quindi più globalmente debole. Un mondo in cui un disperato desiderio di pace batte nel cuore di milioni di poveri uomini che scappano sulle montagne impervie dell?Afghanistan o che piangono tra le macerie immani di Manhattan.
Certamente oggi è dominante il frastuono assordante della guerra (e di chi sta al gioco dialettico degli ideologi bombardieri). Ma la voce fragile della pace è una voce ostinata, come quella del salmista. Perché è fondata sulla certezza di una positività ultima, dentro la quale è riposto il senso della vita. Una positività grazie alla quale con pazienza, a piccoli passi, con l?umiltà del grande Capitini, anche l?uomo di questo fosco 2001 saprà riconnettere le sillabe di un mondo migliore.

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