Economia
Una società che interroga se stessa: la sfida della prosperità inclusiva per il futuro del welfare
Prende il via la XIX edizione delle giornate organizzate da AICCON. Cresce il bisogno di cambiare un sistema unicamente improntato al profitto ma, come rileva una ricerca di Swg, è ancora grande la confusione su quale nuovo paradigma adottare
di Marco Dotti
Una dimensione inclusiva richiede un profondo ripensamento dei paradigmi su cui si fondano i modelli organizzativi e le forme dell'agire che ambiscono a perseguire la prosperità. Ma non c'è prosperità propriamente detta che non sia, per sua stessa natura, inclusiva.
Per questa ragione, osserva Paolo Venturi, direttore AICCON, anima delle Giornate di Bertinoro, giunte alla loro XIX edizione, questo connubio tra forma e sostanza, fra agire per l'inclusione e perseguire la prosperità «sarà possibile solo se si avrà la capacità di ascoltare chi già sta praticando il futuro, ossia i giovani e chi alimenta processi d’innovazione sociale».
Praticare il futuro
Alla pratica del futuro, richiamata da Venturi, deve però conseguire la pratica dell'ascolto. Uno snodo delicato che comporta il passaggio dalla società autoriflessa alla società che si interroga. Primariamente su se stessa.
Solo partendo da questo esercizio di ascolto e autoascolto – anche l'ascolto è parte della prosperità inclusiva – si possono innovare le pratiche. In primo luogo quelle del Terzo settore, chiamato nei prossimi anni a una sfida cruciale: ridisegnare i confini del welfare «in un mondo che – osserva Stefano Zamagni -, in segito alle pressioni del postumanismo e all'avento quarta rivoluzione industriale sta cambiando forma e paradigma».
In questo cambio di paradigma, il Terzo settore più avanzato deve giocare quel ruolo da protagonista di cui si parlerà oggi e domani, nella due giorni di Bertinoro.
Un diffuso bisogno di comunità
Proprio di un cambio di paradigma sono alla ricerca gli italiani. Lo spiega Enzo Risso, il direttore dell'istituto Swg e docente di teoria e analisi delle audience all'Università La Sapienza di Roma, che proprio per le Giornate di Bertinoro ha condotto un'indagine, presentando questa mattina i risultati.
Il capitalismo attuale è in crisi. Il modello non regge più. O così, almeno, ritiene la maggior parte degli italiani che, osserva risso, è sempre più convinta si debba guardare un terzo pilastro, oltre a quelli di Stato e mercato: il pilastro del sociale, che contemperi la rigidità dello Stato e l'eccessiva fluidità del mercato.
Regna ancora la confusione se, a titolo d'esempio, come ci spiega Risso, «solo il 26% degli italiani conosce la sharing economy e il 30% non sa bene cosa sia la circular economy».
Eppure, anche nella confusione, aggiunge il direttore di Swg, «la richiesta è chiara: gli italiani cercano reti di fiducia e mostrano voglia di comunità». Tanto che, dalla ricerca Swg presentata a Bertinoro, si evince che circa l'88% degli italiani sente un diffuso, anche se confuso bisogno di comunità.
«Non si può continuare così»
Tra gli italiani è diffuso anche il sentimento che «così non si può continuare». Troppe disuguaglianze, troppo bloccato l'ascensore sociale, poca prosperità. La realizzabilità di nuovi paradigmi passa però nel sentiment degli italiani dalla condivisione (66%), da un capitalismo temperato (62%) e dall'economia civile (56%).
Proprio un sistema a condivisione forte (sharing economy) sembra essere ritenuto il più plausibile in termini di applicabilità dagli italiani.
Fare luogo
Nonostante, osserva ancora Risso, «grande sia la confusione sotto il cielo», qualcosa si muove. Ma per muoversi bene, per orientarsi e orientare pratiche e forme verso il grande obiettivo della prosperità inclusiva serve il contributo di una pluralità di soggetti, principalmente del Terzo settore e della cooperazione.
Soggetti chiamati, spiega Paolo Venturi, a fare luogo e «a dilatare la biodiversità degli attori in campo, nutrendo beni e servizi con dosi massicce di relazionalità e di orientamento all’interesse generale».
L’Italia, spiega ancora Venturi, è un Paese ricco di reti e legami, oltre che di opere «nate da percorsi comunitari e associativi aventi un orizzonte pubblico».
Parliamo di oltre 340mila organizzazioni non profit e i quasi 6 milioni di volontari, oltre al milione di occupati che, conclude Venturi, «sono solo un parte di quel tessuto sociale che ha il suo valore espressivo ed emergente non tanto nell’essere una stampella della Pubblica Amministrazione o un meccanismo riparatore del mercato, bensì nel promuovere "valore" in maniera relazionale, producendo così un "mutuo beneficio" a tutti gli attori in campo».
Per rigenerare il sistema occorre fiducia. Per ricomporre la fiducia occorrono i luoghi in cui praticarla. Per praticarla occorrono i soggetti che, storicamente, per vocazione ideale e capacità concreta la sappiano rimettere all'opera. Il Terzo settore – questa la lezione di Bertinoro – è e soprattutto sarà questo soggetto.
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