Mettiamo le cose a posto. La notizia non è “Vita si quota in borsa”, ma piuttosto “Vita ha elaborato un nuovo piano di crescita e di sviluppo innovativo e quindi ha deciso di quotarsi”. Capisco le ferree leggi della comunicazione, ma preferisco leggere così il diario di Riccardo. Detto questo, e consapevole del fatto che la quotazione farà comunque notizia, noto in questa scelta alcuni elementi che vanno in direzione contraria rispetto al mainstream che caratterizza il ricchissimo dibattito sulla produzione di comunicazione. I promotori ne avranno certamente tenuto conto, ma credo sia utile riproporre questi elementi anticiclici perché aiutano a pesare in modo più preciso la portata della sfida. Vado in ordine sparso. 1) Vita si quota in una fase in cui il mercato borsistico non solo non sembra essere attraente e remunerativo per gli investitori, ma neanche per le imprese. E sono soprattutto le PMI, anche di successo, a non prendere neppure in considerazione l’idea di quotarsi. 2) Mai come in questo periodo è disponibile tanta finanza di sviluppo specializzata (o vocata) al non profit e all’impresa sociale, interessata non solo allo status quo, ma a sostenere modelli organizzativi che innovano il panorama delle istituzioni sociali. E’ vero, andare in borsa offre ben altre opportunità, ma al prezzo di ben altri rischi. 3) Questo è l’anno del Pulizer a Propublica, cioè all’informazione prodotta dal basso, sulla base di schemi simili a quelli delle organizzazioni non profit e opposti a quelli utilizzati da televisioni e giornali che, guarda caso, sono spesso proprietà di società quotate che realizzano formidabili concentrazioni di potere. Mischiando i fattori di coerenza del diario e quelli di controtendenza può uscirne una “terza via” che interfaccia il carattere top down dei media di massa tradizionali e la massa puntiforme dei nuovi media. E’ per questa ragione che Vita può diventare un interessante case history. Se si salta dritti alle conclusioni facendo l’apologia dello strumento (la borsa) e mettendo in secondo piano gli obiettivi (il cambiamento organizzativo), si rischia invece di fare da cavia.
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