Salute
Una proteina ridurebbe l’ictus
Da uno studio condotto da un team di ricercatori italiani e svedesi arriva una soluzione promettente :la fractalchina
di Redazione
Agire tempestivamente sui pazienti colpiti da ischemia cerebrale è fondamentale per contenere i danni provocati dal blocco dell’afflusso di sangue alle cellule del cervello. Da uno studio condotto da un team di ricercatori italiani e svedesi arriva una soluzione promettente: la somministrazione di una proteina di origine immunitaria, la fractalchina, prodotta dalle stesse cellule cerebrali, sarebbe in grado di ridurre la morte neuronale indotta dall’ischemia, perpetuando i suoi effetti protettivi fino a 50 giorni dal danno. A dimostrarlo sono stati i ricercatori del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia della Sapienza di Roma, dell’Istituto Mario Negri di Milano e del Karolinska Institutet di Stoccolma, in uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience.
L’ischemia è una malattia grave, spesso origine di ictus, che può causare nei pazienti colpiti un’invalidità permanente e, nei casi più complicati, la morte. L’ictus, in particolare, colpisce ogni giorno in Italia circa 660 persone ed è la seconda causa di morte per gli over 60 e la quinta nelle persone tra i 15 e i 59 anni, ma può riguardare anche i bambini e i neonati.
L’esperimento che ha svelato il ruolo della fractalchina è stato condotto su topi e ratti ai quali è stata somministrata la proteina immediatamente dopo un infarto cerebrale indotto. I ricercatori hanno quindi sottoposto gli animali a una serie di test per valutare la loro capacità di integrare le informazioni sensoriali con comandi motori specifici; il volume di cervello interessato al danno a breve termine e 50 giorni dopo l’ischemia, gli enzimi coinvolti nella morte neuronale. Contemporaneamente sono state isolate nelle cavie alcune cellule microgliali, ossia le cellule preposte alla difesa immunitaria, per studiare l’effetto del trattamento con fractalchina in condizioni di ischemia, sulle risposte caratteristiche di queste cellule come la produzione di molecole infiammatorie e la capacità di “mangiare” cellule danneggiate, detriti cellulari o agenti potenzialmente tossici presenti nel cervello.
I ricercatori hanno così dimostrato che l’effetto indotto dalla fractalchina richiede la presenza di un recettore per l’adenosina (molecola estremamente importante nella omeostasi cellulare e in diversi processi fisiologici anche nel cervello) che media in vivo la sua attività neuroprotettiva. I risultati di questo studio suggeriscono un possibile sviluppo terapeutico per l’uso della fractalchina come farmaco neuroprotettore in casi di ischemia cerebrale acuta, ma anche durante le operazioni neurochirurgiche all’encefalo in caso di blocco della irrorazione locale del tessuto nervoso.
«Prima di pensare di poter utilizzare la fractalchina a scopo terapeutico nel trattamento dell’ischemia cerebrale dell’uomo o in generale come agente neuroprotettivo – avverte Cristina Limatola, coordinatrice dello studio – andranno effettuati ulteriori studi per definire con maggiori dettagli il meccanismo d’azione della fractalchina e l’eventuale coinvolgimento di altri tipi cellulari molto importanti come gli astrociti. Ma, soprattutto, occorre capire come si possa somministrare questa molecola o suoi analoghi in modo che questi possano esercitare la loro azione nel sistema nervoso centrale limitando gli effetti periferici».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.