Cultura
Una porticina contro i muri
Betlemme. Alla Basilica della Natività, in pieno territorio palesinese. di Giuseppe Frangi
Ora che per una drammatica par condicio anche i palestinesi hanno il loro muro, si capiscono meglio tante cose. Si capisce quanto un muro possa definire il destino di un popolo. I nove metri d?altezza della barriera di cemento che fascia Betlemme chiudono l?orizzonte e schiacciano il cielo per terra; non c?è bisogno neppure del filo spinato, lassù, tanto è alto e insormontabile. Quello del Pianto è ancora più alto. S?arrampica sino al livello della spianata delle Moschee, sotto il peso delle imponenti pietre intagliate dagli scalpellini di Erode: saranno 20, 30 metri; vien da pensare che nessuno abbia mai osato misurarlo, per non sentirsi addosso una misura troppo grande da poter esser sopportata. è un muro implacabile, perché toglie ogni alibi al destino. Così l?uomo che arriva lì è un uomo in lutto, vestito tutto di nero, cui resta solo l?ossessiva reiterazione della propria implorazione a Dio. Il sibilo tormentato e incessante del lamento è come un muro alzato attorno e dentro a tutta l?esistenza.
L?impeto escatologico invece si perde completamente ai piedi dell?altro muro. è infido, presidiato da mille occhi di telecamere per nulla discrete, governato da torrette che intimidiscono al solo sguardo. Non troverete mai nessuno nelle vicinanze, tolti i ragazzi soldato che presidiano il check point, guance glabre e grandi mitra a tracolla. Sul lato palestinese, tutti si tengono alla larga anche se qualche incursore ha dipinto dei grandi murales, che grondano di immagini e creature feroci (con un po? di cattivo gusto, sul lato israeliano le autorità hanno risposto con un grande cartello inneggiante alla pace, illustrato con la sagoma delle colombe).
Non resta che arrendersi sulla soglia di Betlemme? Valicato quel confine, percorrendo l?asfalto martoriato dei territori palestinesi, in poche centinaia di metri si arriva alla Basilica della Natività. E lì scopri che uno spiraglio c?è. Anche la Basilica si presenta come un immenso muraglione, quasi una fortezza innalzata per ripararsi dai reiterati assedi della storia. Ma in quel muraglione una porticina, bassa bassa, è rimasta aperta, per quanto presidiata da un poliziotto che prende nota (un po? a spanne, per la verità) di chi la varca. L?hanno fatta tanto bassa per impedire ai prepotenti di entrare a cavallo e costringere così anche loro a piegare umilmente la schiena prima di entrare. Dentro il senso di nudità è impressionante. Le cinque navate costantiniane, con quelle immense colonne monolitiche, sembrano smangiate dal buio e dalla patina fuligginosa del tempo. Non ci sono panche, non ci sono altari. La gente, spaesata e ammirata, dopo qualche attimo, punta dritto verso quella ?calamita? in fondo alla navata destra. Lì c?è una scaletta che scende ripida, che si stringe come un imbuto e passa sotto un?altra porticina da varcare a testa bassa. Si entra in buco angusto, gremito di persone ma avvolto di silenzio e commozione. Tutti si inginocchiano e baciano la stella d?argento, chinandosi sotto il minuscolo altare. è qui che è nato Gesù. Ed è fisicamente impossibile, anche se son passati duemila anni, non avvertire come una carezza che rende umile lo sguardo. Più umile e più forte della disperazione di quei muri.
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