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Una polveriera al voto
Le elezioni politiche e il referendum, due test con troppe incognite
Presidenziali e parlamentari. E poi la consultazione sull’indipendenza del Sud. Dopo vent’anni di gerra e una fragile tregua, il gigante prova a voltar pagina Nel 2010 la sfida più importante dell’Africa si gioca in Sudan. Il Paese più grande e complesso del continente andrà alle urne dopo essere uscito nel 2005 da una guerra durata vent’anni, tra il Nord arabo e il Sud che si inserisce come un cuneo nell’Africa nera, e con la regione del Darfur in precario equilibrio dopo la crisi scoppiata nel 2003. Dall’11 al 19 aprile si svolgeranno le elezioni parlamentari e presidenziali, per la prima volta dopo il colpo di stato dell’89 che ha portato al potere il presidente Omar al-Bashir e il Fronte islamico nazionale, oggi Partito nazionale del Congresso. Ma la vera partita si gioca a pochi mesi di distanza: nel gennaio del 2011 è previsto il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan. Entrambe le scadenze elettorali sono una conseguenza del Comprehensive Peace Agreement, l’accordo di pace firmato in Kenya nel 2005 dal governo di Karthoum e dal Sudanese People’s Liberation Movement (Splm) in rappresentanza del Sud, che ora gode di uno statuto di autonomia.
«Le elezioni cadranno nel bel mezzo della stagione secca, quando gli allevatori del Sud lasciano i propri villaggi per raggiungere i fiumi e far abbeverare il bestiame», spiega monsignor Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, nel Sud del Paese. «In molti quindi non potranno andare a votare». In Sudan a contare sono anche fattori come questo, lontani anni luce dagli equilibri di potere fra Usa e Cina in Africa e dagli uffici dove si tesse la nuova diplomazia nei confronti del regime di Al Bashir. Conta che tra i Dinka, popolo sud sudanese, l’80% non sappia né leggere né scrivere. Conta che l’educazione ai diritti civili nel Sud, prevista dall’accordo di pace, non sia mai partita. «Nelle scuole la stanno facendo le Chiese e la società civile», racconta il presule. «Qui non arrivano avvisi a casa, la gente deve iscriversi e chiedere il permesso di votare». Nonostante il censimento fatto due anni fa, non si sa quante persone vivano in Sudan: «Il governo dice che il Sud ha poco più di due milioni di abitanti, quando solo la mia diocesi ne ha 3 milioni 800mila», afferma il vescovo. «Il Nord farà di tutto per evitare l’indipendenza del Sud, dove c’è abbondanza di petrolio, oro e uranio».
L’Onu ha stanziato 91 milioni di dollari attraverso l’Undp per sostenere il corretto svolgimento delle elezioni di aprile. Ma per molti osservatori c’è ben poco da sperare: «Il Sudan è in corsa verso una rottura violenta dei suoi equilibri interni», ha scritto in un rapporto l’International Crisis Group. «Gli accordi di pace per il Darfur e il Sudan orientale soffrono per la loro mancata applicazione», afferma Foaud Hikmat, osservatore di Icg, «soprattutto a causa dell’intransigenza del partito al governo».
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