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Una pietra che rotola in cerca della pace
Una delegazione del Mean è tornata in Ucraina con un compito che sembrava assai arduo: andare a Kiev per chiedere alla società civile di co-organizzare due eventi di respiro europeo, la conferenza per l’istituzione dei Corpi Civili di Pace a Kiev e la grande catena umana della fraternità e della pace. Ecco come è andata
Il Mean, Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, è tornato nuovamente in Ucraina, dopo l’ultima missione per la costruzione ed inaugurazione del Peace Village, con una piccola e caparbia delegazione: Marianella Sclavi, portavoce, Paolo Bergamaschi, grande esperto di politiche europee, di Kosovo e di Est Europa, Tetyana Shysnyak, mediatrice ucraina del Mean, Luca Daniele, fotografo, ed il sottoscritto. Il compito sembrava assai arduo: andare a Kiev per chiedere alla società civile di co-organizzare due eventi di respiro europeo, la conferenza per l’istituzione dei Corpi Civili di Pace e la grande catena umana della fraternità e della pace.
Anche questa volta il grande spirito della resistenza popolare ci ha sorpreso, in positivo. Alloggiati presso l’Hotel Ukraina, un palazzone in perfetto stile sovietico che si erge alle spalle di piazza Maidan, abbiamo avuto la possibilità di interloquire per quarantotto ore consecutive con “l’Ukrainian Association of regional and district councils”, un’associazione delle regioni e dei distretti molto simile alla nostra conferenza unificata stato-regioni, ma nella forma di un ente di partecipazione sociale, abbiamo potuto ascoltare il loro punto di vista sulla guerra in corso e di dibattere con i leader dell’organizzazione dei due eventi.
Il consenso è stato immediato. Dopo la grande catena umana organizzata spontaneamente il 22 gennaio 1990 dagli ucraini, per affermare la loro indipendenza dalla Russia, che coinvolse fino a quattro milioni di persone per 700 km, da Kiev ad Ivano-Frankivsk, “oggi il nostro popolo sarebbe pronto a fare anche due fila di persone sulla strada” afferma con forza e senza alcun tono di spocchia Yuri, direttore dell’associazione.
“E se venissero cinquemila europei pacifisti a costruire con voi la catena umana questa volta?”, chiediamo, “Sarebbero i benvenuti, organizziamo dei treni speciali”, ribatte Sergji, il presidente.
Con loro ci sono i nostri partner “storici”, Igor Tosky e Sergji Malik, rispettivamente leader di Act for Ukraine e Free Spirit of Ukraine, ed anche loro convengono che una grande catena umana tra ucraini e pacifisti europei sarebbe un gesto assolutamente importante e simbolico, che anche se non potrà fermare la guerra servirà certamente a far sentire meno sole le persone che oggi vivono sotto un cielo minaccioso, da cui piovono improvvisamente droni e missili assassini. A questo popolo assediato da una tensione permanente, la grande catena umana farà sentire che la lotta per essere riconosciuti parte dell’Europa libera e democratica non sarà comunque persa, comunque andranno le cose.
Prima di procedere con i contatti istituzionali programmati per la nostra due giorni, Yuri e Sergji sentono l’esigenza di portarci al Dipartimento dell’Accademia di Ecologia dell’Università Statale di Kiev, il DEA. I telegiornali nazionali non smettono di raccontare per immagini ed interviste gli effetti nefasti del grande disastro ecologico ed umano dovuto all’esplosione della diga di Kakhovka ed i nostri amici non vogliono perdere l’occasione di farci ascoltare la testimonianza diretta di chi è alle prese con la misurazione ed il contenimento del disastro. “Non sappiamo quanti veleni e quante mine inesplose l’acqua della diga stia portando con sè – esordisce il direttore del Dipartimento Olexandr Bondar – dovremo fare un piano massiccio di bonifica e non sappiamo da dove partire prima”. “Dove sono tutti gli ecologisti del mondo di fronte a questo eco-disastro?” – si ripete sconsolato Igor che segue con sempre tanta attenzione il movimentismo europeo ed il grande clamore mediatico che nei giorni scorsi hanno avuto i piccoli grandi gesti ribelli dei ragazzi di “last generation”.
L’ascolto al DEA diventa impegno nel fare qualcosa insieme, ma ancora non sappiamo cosa. Ciò che ha contato di più per loro, ci pare di capire, è che attraverso di noi la società civile europea non possa più ignorare le conseguenze di quella che non è una “semplice” alluvione, che sommerge le terre, ma una piena di acqua mortifera ed avvelenata.
Il giorno dopo incontriamo prima il Nunzio Apostolico Visvaldas Kubolkas e poi l’ambasciatore italiano a Kiev, Pierfrancesco Zazo. Anche a loro parliamo dei due eventi che abbiamo in animo di organizzare per settembre, anche da loro incassiamo incoraggiamenti a continuare sulla strada intrapresa. Tra un incontro e l’altro continuiamo la discussione sulle modalità organizzative, mappa dell’Ucraina alla mano: decidiamo di organizzare la catena umana animando venti territori in cui si formeranno altrettanti “anelli della catena”, con europei e popolazione locale che insieme organizzeranno momenti di fraternità, di creatività, di arte, di conoscenza reciproca. Venti anelli che ospiteranno ciascuno 250 pacifisti europei per una giornata intera e che verranno ricongiunti da un “filo virtuale”. A questi anelli potranno aggiungersi anche centinaia di città europee che coinvolgeranno nelle manifestazioni locali anche componenti della società civile dissidente russa e bielorussa. Si ipotizza anche la data condivisa : 23 settembre 2023.
Manca l’ultimo appuntamento, l’incontro al parlamento ucraino. Alla Verkhovna Rada ci aspettano alle 17 in punto Ivannha Klympush-Tsintsadze e Vadim Halaichuk, rispettivamente presidente e vicepresidente della commissione parlamentare per l’integrazione europea dell’Ucraina. Vogliono sapere da noi il motivo della conferenza a Kiev, che cosa siano i corpi civili di pace, come intendiamo procedere ad organizzare la catena umana. Come tutti gli ucraini e le ucraine che incontriamo, capiamo subito che sono persone pragmatiche ed accoglienti. Per un’ora e mezza parliamo della storia della difesa comune europea, della bussola strategica militare dell’Ue del 2025, Paolo spiega i meccanismi oggi attivi delle missioni europee di difesa e sicurezza civile, parliamo loro dell’esigenza di avere il permesso del governo e di poter godere di treni speciali per i pacifisti che verranno per la grande catena umana.
Ciò che più ci interessa far passare bene è il messaggio: la conferenza si svolgerà a Kiev ma parlerà all’Europa intera, è Kiev è la città che, come la Roma ancora ferita dei trattati del 1957, deve diventare la città simbolo per il lancio dei Corpi Civili di Pace Europei, un nuovo istituto che completa il concetto di difesa comune ipotizzato da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel manifesto di Ventotene; la catena umana invece si farà in Ucraina ed è per l’Ucraina: è l’Europa dei popoli che si muove disarmata verso un popolo ferito per dire “noi ci siamo, noi vi vediamo”. Noi siamo la società civile di un popolo unito che ha in passato lottato per la sua libertà e che oggi vuole essere presente accanto ad un popolo fratello che vive la stessa sorte.
Quando finiamo di parlare alla Verkhovna Rada capiamo che in nessun livello della società ucraina c’è alcun divieto o semplice timore a parlare di pace e non violenza. Dalle associazioni al parlamento le manifestazioni pacifiste non sono affatto avvertite come uno scandalo o un pericolo, mentre un certo storytelling italiano insiste nel raccontare gli ucraini come di un popolo assetato di nuove armi. L’unica vera sete che incontriamo è il desiderio di verità storica e di libertà, sul come arrivare a difendere questi due valori, l’Ucraina si dimostra ad ogni nostra missione una società sempre più aperta e moderna.
Proprio come per la costruzione del Peace Village, ogni piccola missione del Mean è come una piccola pietra che rotola e puntualmente troviamo una comunità nazionale pronta che come un’eco risponde con la sua società civile: “eccoci!”.
Ora aspettiamo di ottenere le autorizzazioni per il 23 settembre, ma la grande macchina organizzativa ucraina è già in fermento, proprio come la sua resistenza popolare.
@Foto di Luca Daniele
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