Riforme

Una persona indebitata su due è passata per il gioco d’azzardo patologico

Il presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”, Luciano Gualzetti, ha incontrato i componenti dell’intergruppo parlamentare per la sensibilizzazione sui rischi del gioco d’azzardo, esprimendo forti preoccupazioni sulla riforma di settore. In Italia sono 1,2 milioni le persone che soffrono di dipendenza dall'azzardo

di Redazione

Delusione e preoccupazione per l’immediato futuro. Sono i due principali elementi che la Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II” ha espresso ieri durante la conferenza sull’azzardo, organizzata dall’intergruppo parlamentare per la sensibilizzazione sui rischi del gioco d’azzardo.

«Abbiamo sempre segnalato l’urgenza di una riforma complessiva del settore dell’azzardo fisico che sta monopolizzando, insieme a quello online, la vita economica e sociale del Paese», ha esordito il presidente della Consulta, Luciano Gualzetti. «Chiedevamo e ci aspettavamo una proposta normativa che tracciasse un punto di discontinuità con il passato, che mettesse al centro la tutela della salute e del benessere delle persone, soprattutto dei ceti più fragili, che rispettasse il ruolo degli enti locali e del Terzo settore che in questi anni di forte spinta dell’offerta hanno svolto un grande lavoro di presidio legale e sanitario sui territori. Il nostro punto di osservazione parte dalle cause e dagli effetti dell’azzardo sul sovraindebitamento anche a usura delle persone che i centri di ascolto delle Fondazioni antiusura e delle Caritas quotidianamente incontrano. La riforma invece rischia di sottovalutare le conseguenze drammatiche che l’azzardo ha sulla vita di milioni di persone a rischio dipendenza patologico (le persone che soffrono di dipendenza dall’azzardo sono 1,2 milioni; ormai una persona indebitata su due incontrata ogni anno dalle Fondazioni ha come causa principale del debito l’azzardo)».

Luciano Gualzetti, presidente della Consulta nazionale antiusura

«Questa riforma, attraverso l’introduzione della distinzione tra punti gioco certificati e non, e riducendo i punti sensibili solo alle scuole secondarie di secondo grado e ai Serd, interviene sul fattore culturale, sostenendo una vera propria politica di marketing per le concessionarie, rivolta ad incentivare il consumo», ha proseguito Gualzetti. «Infine, introducendo fasce orarie di chiusura differenziate per esercizi certificati e non: certificati nella fascia oraria 5-8:30 e 13-15; non certificati 5-9 e 13-16; salteranno anche i limiti orari previsti dalle ordinanze sindacali. Gli effetti saranno che si continuerà a giocare durante tutta la notte e si aggirerà quanto prevedeva la Corte costituzionale nella sentenza 220/2014, che attribuisce alle ordinanze del sindaco la possibilità di limitare gli orari di apertura delle sale da gioco. La cosa importante è che la norma nazionale non escluda la possibilità che le autonomie locali (Regioni e Comuni) possano ulteriormente regolamentare. Rispetto ai luoghi sensibili, è vero che è quasi un paradosso chiedere la conferma delle distanze per il gioco fisico quando si può giocare online, però questa è una grossa operazione di sensibilizzazione pubblica e culturale. Nel senso che il gioco fisico è visibile e permette di parlarne, mentre il gioco online è invisibile e di fatto, nonostante gli enormi volumi, nessuno se ne accorge. Rimane un tema strategico di comunicazione verso la popolazione del fatto che, comunque, giocare spreca dei soldi e significa toglierli dal circuito produttivo se non quello di chi produce gioco ovviamente. È importante che nella norma venga stabilito che le risorse che sono destinate al contrasto permettano di assumere personale. In generale, le risorse devono essere utilizzate per assumere personale nel sistema. Ma è fondamentale che ci siano risorse stabili nel sistema anche per dare stabilità agli intenti del pubblico e del Terzo settore del volontariato».

Sulla questione dei dati, il presidente Gualzetti ha precisato che «la tendenza a negare i problemi e a dare risposte semplificate o bianche o nere, non solo porta a leggere i dati in modo fazioso, piegandoli alla propria tesi, ma tende a negare i dati stessi, cioè a evitare di renderli disponibili o addirittura a impedire la loro raccolta sistematica. Cosa che consentirebbe almeno una piattaforma comune per un dialogo tra interessi e punti di vista diversi il solo metodo per affrontare la complessità dei fenomeni di cui stiamo parlando: l’azzardo non è un gioco. L’auspicio è che l’incontro di questa mattina (ieri, ndr) costituisca una rinnovata alleanza che indichi una rotta responsabile per il settore dell’azzardo: metta al centro la salute e il benessere delle fasce più fragili, considerato che è emerso l’inconfutabile dato che l’80% dei consumi di azzardo provengono da persone affette da dipendenza patologica”.

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