Economia

Una nuova missione per le Bcc

Il responsabile area sociale Bcc Cassa Padana e il presidente Confcooperative Bergamo e presidente di CECOP-Cicopa Europa replicano all'intervento di Carlo Borzaga: «I concetti di territorialità e mutualità, giustamente richiamati come motivazione per i recenti interventi correttivi alla riforma, rischiano di rimanere vuoti e autoreferenti, se non sono reinterpretati con modalità nuove e sostenibili, modalità che però non possono arrivare dalla legge né dai regolamenti, ma che devono scaturire dalla volontà e dai comportamenti di soci, amministratori e dirigenti»

di Stefano Boffini * - Giuseppe Guerini

Intervenendo in questo articolo a proposito degli ultimi ritocchi, apportati col decreto “milleproroghe”, Carlo Borzaga, ha alzato l’asticella della sfida per un Credito Cooperativo che sappia interpretare i cambiamenti in corso e le sfide che l’economia del terzo millennio pone alle comunità locali e alle persone che vogliono continuare a vivere nei territori dell’economia locale.
Da troppo tempo costrette ad affannarsi per resistere in un mercato bancario fatto di grandi concentrazioni, di una concorrenza spietata e di regolatori centrali, nazionali ed europei, che hanno dimostrato fin troppo chiaramente di non sapere e di non volere riconoscere una specificità alle banche di territorio, le nostre BCC hanno cercato di trovare un delicato equilibrio. L’assetto della riforma che, ci auguriamo possa presto dare corso alla nuova configurazione del sistema del credito cooperativo italiano, con il modello di raggruppamento dovrebbe consentire alle BCC di rimanere istituzioni con un forte radicamento territoriale, ma legate ad una infrastruttura di gruppo che assicuri sostenibilità e forza al sistema.
Attraversato il mare in burrasca delle crisi bancarie, consolidata la struttura per far fronte alle avversità dei mercati globalizzati, le BCC riordinate dalla riforma dovranno dedicarsi a ripensare a fondo la loro missione e la loro collocazione nei territori.

La nuova sfida

Si apre dunque una nuova sfida che riguarda il come reinventare il mutualismo bancario, per restituire alle comunità locali, alle famiglie, ai piccoli imprenditori, alle formazioni sociali che arricchiscono i nostri territori una rete di banche cooperative, che investano sul primo valore che da solidità e autenticità all’economia e alle banche: la fiducia e la credibilità.

I concetti di territorialità e mutualità, giustamente richiamati come motivazione per i recenti interventi correttivi alla riforma, rischiano di rimanere vuoti e autoreferenti, se non sono reinterpretati con modalità nuove e sostenibili, modalità che però non possono arrivare dalla legge né dai regolamenti, ma che devono scaturire dalla volontà e dai comportamenti di soci, amministratori e dirigenti delle BBC e, nel quadro delle riforma, soprattutto in quelli delle capogruppo. Insieme si dovrà lavorare per mettere in evidenza la distintività e la specificità del credito cooperativo e mutualistico, fatto di reciprocità e responsabilità intrecciate, che vicendevolmente, appunto in forma mutualistica, costruiscono un’idea di economia sociale partecipata e sostenibile. Aggregarsi in gruppo per essere più grandi può essere utile a far fronte alla concorrenza, ma non ci renderebbe diverse dalle altre banche se non sapremo lavorare anche sulla profondità, oltre che sulla dimensione. Una profondità che deve certamente partire dalle radici e quindi dalla dimensione comunitaria e dalla missione mutualistica.

Certamente le normative nazionali ed europee rendono questa sfida difficile e tutt’altro che scontata, sia perchè chiaramente si tratta di dare seguito organizzativo alla riforma, sia perché le nuove regole europee in arrivo, da Basilea 3 al nuovo regolamento sui crediti deteriorati (NPL come dicono i tecnici), richiederanno uno sforzo di adeguamento poderoso e impegnativo. In un certo senso il nuovo sistema del credito Cooperativo sarà chiamato a comporre un ossimoro, coniugando le regole dell’Unione bancaria europea e spingendo a fondo sul modello a rete e sulle “capogruppo”, sulla diversità comunitaria e le specificità delle economie locali. Comporre questo ossimoro sarebbe un compito impossibile per le banche commerciali tradizionali, addirittura inconcepibile per quelle quotate in borsa e di proprietà dei fondi, che infatti sono ormai avviate sulla strada della decontestualizzazione territoriale e della totale dissoluzione tra sistema proprietario e identificazione comunitaria, anche per quelle che fino a pochi anni fa erano le banche popolari.

Al contrario è un compito, difficile, ma a portata di mano per il modello mutualistico e per il sistema cooperativo, che dovrebbe proprio lavorare su radicamento territoriale e sistema proprietario comunitario, puntando sul talento e sull’identità cooperativa.

Come dare contenuti ai principi di mutualità e territorialità

A più riprese e nei diversi livelli istituzionali a Roma come a Bruxelles, i rappresentanti di Federcasse e di ABI hanno cercato di richiamare l’attenzione dei regolatori, sulla necessità di applicare i principi di gradualità, sussidiarietà e soprattutto il principio di proporzionalità delle regole, per consentire alle BCC di continuare a svolgere la propria funzione di sostegno alle piccole e medie imprese e alle economie locali nei territori in cui queste banche sono presenti e operano. Qualche spazio di agibilità è stato ottenuto, ma certo occorre riconoscere che non ci troveremo davanti ad una stagione di regole di favore o di sostegno e incoraggiamento per il Credito Cooperativo.

Certo oggi l’obiettivo prioritario è la partenza operativa dei gruppi bancari in attuazione della riforma, ma ora che il loro impianto è progettato e approvato dalle autorità di vigilanza, è importante avviare anche una riflessione, su come dare contenuti nuovi ai principi di territorialità e di mutualità, di cui in linea di principio tutti ne sostengono l’importanza, richiamando la necessità di preservarli per il futuro.

Serve per questo una caparbia volontà e una forte motivazione perché ora molto dipenderà da come il Credito Cooperativo, al suo interno e nei territori in cui opera, saprà sviluppare e accrescere il suo ruolo, dentro le regole attualmente vigenti dal punto di vista del modello aziendale bancario, ma rilanciando con forza una politica di coinvolgimento delle comunità locali, ristabilendo una alleanza con le forze produttive del territorio e aprendo nuovi spazi per tutte quelle nuove forme di economia sociale e partecipativa che si stanno diffondendo anche grazie alle nuove tecnologie.

C’è una domanda di partecipazione e coinvolgimento molto diffusa, così come osserviamo una ricerca costante di nuovi veicoli di fiducia e di reciprocità tra le persone, anche nelle relazioni economiche: pensiamo ai fenomeni del crowdfunding, alla sharing economy, ai circuiti di monete complementari che rappresentano spesso comunità di relazioni economiche che per quanto possano sembrare marginali, potrebbero essere un terreno fertile su cui costruire anelli di congiunzione, proprio attraverso le BCC fra queste economie relazionali e un idea di sviluppo locale fatta di PMI, Imprese Sociali e famiglie.

Locale, cooperativa e radicata in un territorio

Questa domanda di fiducia e di reciprocità è il fondamento principale dell’economia mutualistica, che ha quindi possibilità di rilanciarsi facendo delle BCC dei veri e propri hub territoriali di sviluppo locale integrato.
Investire quindi non solo sulla riforma organizzativa e strutturale, ma anche sull’innovazione sociale e tecnologica per assicurare alle nostre comunità locali e alle nostre imprese. Questi investimenti che potrebbero, a nostro parere, contribuire a ridefinire le nuove forme della mutualità per un modello di banca locale cooperativa radicata in un territorio.
Ne indichiamo alcuni possibili, consapevoli che ce ne sono anche altri, così come ci sono diverse esperienze e buone pratiche già presenti nel mondo del Credito Cooperativo. Si tratta di farle emergerle e metterle a fattor comune. Noi proponiamo qui 5 vie di nuova mutualità bancaria, con una particolare attenzione, per nostra vocazione ed esperienza, al mondo dell’economia sociale.

1) La rivitalizzazione dello scambio mutualistico con i soci.
Lo scambio mutualistico di tipo bancario oggi è molto assottigliato nelle banche di credito cooperativo, spesso proprio a causa della “compliance” con le regole del sistema bancario “a taglia unica”, per questo allora serve sviluppare la relazione mutualistica su tematiche nuove non strettamente bancarie, ad esempio che riguardino salute e welfare, anche aziendale, tenendo presente l’età media dei soci e provando ad utilizzare di più la logica del gruppo di acquisto. Ma oltre al welfare e alla salute, altri scambi mutualistici si potrebbero sviluppare nel campo delle energie rinnovabili, nella gestione dei beni ambientali e culturali, nell’educazione e dell’interazione tra generazioni. Su quest’ultimo tema molti stimoli potrebbe arrivare da una rinnovata capacità di coinvolgimento dei giovani soci.

2) Il legame con le formazioni sociali: la sussidiarietà come mutualismo che istituisce comunità.
Molte BCC sono interlocutore bancario privilegiato per il terzo settore e la cooperazione, ma si potrebbe fare molti di più, soprattutto in quei territori dove più consolidata e forte la presenza del Credito Cooperativo, con posizioni importanti nella relazione con PMI e imprese agricole, vediamo ancora poco riconosciuto il potenziale del Terzo settore, che invece trova in prima linea grandi banche commerciali, che ne hanno intuito il valore e stanno investendo molto proprio sull’economia sociale.
Ma se per le banche tradizionali investire nel Terzo settore può esaurirsi in ragioni di tipo commerciale, per le BCC il legame con queste realtà permette di mantenere le radici ben salde nella comunità, di mantenere una lente focalizzata sulla conoscenza dei bisogni e delle opportunità del territorio. Lavorare con le organizzazioni del Terzo settore, consente di perseguire gli obiettivi statutari di bene comune, coesione sociale e crescita sostenibile, che sono gli ingredienti della “mutualità prevalente di diritto”, riconosciuta dalla legge alle Banche di credito cooperativo. Una mutualità allargata e condivisa, attraverso il supporto finanziario e in termini di servizi alle imprese che operano con finalità affini e complementari. Un modo cioè di essere banche di comunità e banche dei beni comuni, facendone percepire il carattere distintivo.

3) Integrare strumenti e tecniche bancarie con nuovi dispositivi: micro-credito, crowdfunding, sistemi di pagamento locali.
L’attivazione di strumenti come il micro-credito per le piccole, piccolissime attività produttive, come era in origine per le casse rurali, con l’utilizzo di strumenti di garanzia già disponibili o il micro-credito per le persone in condizione di necessità, ma per le quali si è in grado, attraverso partnership territoriali con soggetti come ad esempio Caritas o i sistemi di welfare territoriali che gestiscono il Reddito di Inclusione, non sono solo un settore marginale di intervento bancario, ma sono una leva economica per orientare politiche di sviluppo locale e di affrancamento dalla povertà. In passato le BCC venivano incontro allo stato di disagio delle persone, destinando risorse a fondo perduto ad associazioni che se ne occupavano, agendo sulla stessa lunghezza d’onda della filantropia paternalistica praticata dalle grandi banche. Un modello diverso e più propriamente mutualistico, potrebbe invece essere quello di agire sulla “capacitazione” e l’attivazione diretta dei “portatori di interessi e di bisogni” magari proprio favorendo la nascita di micro e piccole imprese e di imprese sociali a vocazione locale. Per favorire i sistemi locali e un economia territoriale le BCC potrebbero anche diventare partner per la creazione di camere di compensazione dei pagamenti locali, con i meccanismi già sperimentati sotto il nome di monete complementari, che rendono fluidi e sostenibili circuito virtuosi di pagamento orizzontale, che potrebbero semplificare la vita e le finanze di molte PMI.
È probabile che se siete amministratori o dirigenti di una BCC siate tentati di abbandonare la lettura, poiché i volumi intercettati dalle singole banche non rendono né interessante né giustificabile investimenti in questo settore, proprio perché rimarrebbero come è stato fino ad ora, iniziative sporadiche. Ma se iniziamo a guardare al Terzo settore, alle cooperative sociali, alle imprese sociali con una logica di sistema e nel quadro di un presidio attivo di Terzo settore, acquistano una dimensione e un significato, che oltre alla dimensione valoriale e statutaria, potrebbe aggiungere anche la sostenibilità e probabilmente anche la resa economica.

4) L’impresa sociale strumentale per la mutualità esterna.
In questo ambito le esigenze dei territori e delle BCC possono essere molto diverse e quindi anche le soluzioni possono essere molteplici. Ne abbiamo già scritto su queste pagine lo scorso mese di gennaio, e torniamo ad affermare che a nostro parere le stesse BCC potrebbero essere promotrici o partecipare a nuove imprese sociali, finalizzate a realizzare gli scopi di mutualità esterna anche in forma operativa.
La Banca Cooperativa così diventa o rimane co-protagonista nel dare una risposta imprenditoriale alla propria domanda di welfare o alla propria necessità di gestire e curare il patrimonio culturale ed identitario del territorio.
In questo senso anche le fondazioni delle BCC o in cui la BCC partecipa, casse mutue già attive possono diventare strumenti importanti per essere dentro i bisogni complessivi di una comunità. L’alleanza tra banca e reti territoriali è necessaria proprio perché se le competenze bancarie sono ormai consolidate, quelle imprenditoriali e soprattutto quelle necessarie per sviluppare e gestire un’impresa sociale vanno combinate. Ma come insegna molta storia cooperativa proprio dall’incontro delle diversità e dal desideri di fare insieme sono nate le esperienze più generative del movimento cooperativo.

5) Dotarsi di uno sguardo a livello di capogruppo sul Terzo settore e l’economia sociale.
Siamo convinti che i tempi siano maturi per dotare le capogruppo di una divisione dedicata all’economia sociale e all’impresa sociale. Questo progetto andrebbe perseguito contestualmente all’implementazione dei gruppi bancari, proprio per usare questa stagione di riorganizzazione come fase generativa di un percorso nuovo.
La struttura potrebbe dare stabilità e forza a questo disegno, oltre a poter sviluppare risposte dove serve una massa critica maggiore: innovazione degli strumenti, prodotti specifici per il terzo settore, fondi di capitalizzazione e investimento per le imprese sociali, crowfounding, start up, social bond, finanza d’impatto.
Questo può essere però un obiettivo ambizioso e di lungo periodo, per il quale servono investimenti e risorse umane, ma se non è possibile realizzare subito un progetto di questa portata, è importante iniziare comunque a progettare ma soprattutto a conoscere e censire le migliori pratiche che le BCC hanno realizzato nel campo della mutualità, in modo che possano in futuro essere un primo patrimonio di esperienze e conoscenze da condividere e valorizzare.

In definitiva sarebbe un po’ come “mantenere dentro” nella BCC-banca di gruppo, una piccola cassa rurale, come nucleo generativo di una particolare forma di “cooperativa di comunità” che alimenta il credito di relazioni fiduciarie e di legami di reciprocità che continuerebbero a dare senso e valore al denaro e all’economia. Dice Luigino Bruni che anche piccole diversità, posizionate però alla radice della formula imprenditoriale, fanno cambiare sostanza a tutta l’organizzazione. Per spiegarlo ricorre alla metafora dell’uomo e del maiale, che sono diversissimi, ma hanno il 99% del codice genetico in comune.

Dare alle tante iniziative distribuite sul territorio, una cornice e un contenitore di senso da condividere in un progetto più ampio, potrebbe essere di grande utilità per continuare a fare delle BCC le “Banche con l’anima” di cui parlava Alfredo Ferri storico presidente di Federcasse e della Cassa Rurale di Treviglio.

Quelle che abbiamo tracciato possono sembrare proposte romantiche e idealistiche, ma sono azioni che si possono realizzare all’interno dell’attuale contesto normativo e regolamentare, in attesa che si riescano ad ottenere ancora norme a tutela della specificità del credito cooperativo. Una specificità che però deve esserci nei fatti e nei comportamenti, non solo negli obiettivi e nelle dichiarazioni di principio.

Specificità che darebbe anche più elementi oggettivi a sostegno della necessità di avere un diverso trattamento in Italia e in Europa.


*Stefano Boffini responsabile area sociale BCC Cassa Padana
**Giuseppe Guerini presidente Confcooperative Bergamo e presidente di CECOP-Cicopa Europa

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