Politica
Una nuova cooperazione, per stare al mondo
Con la fine della XV legislatura naufraga lennesimo tentativo di riforma della legge sulla cooperazione internazionale. Una legge ben più vecchia dei suoi ventanni
di Redazione
Con la fine della XV legislatura l?ennesimo tentativo di riforma della legge sulla cooperazione internazionale è naufragato. L?effetto è quello di ritrovarci con una legge ben più vecchia dei suoi vent?anni, incapace di leggere e di dare risposte alle profonde trasformazioni che hanno disegnato questo passaggio di tempo.
Se provassimo per un attimo a chiudere gli occhi e ad andare a quell?ormai lontano 1987, probabilmente faticheremmo a riconoscere questo nostro mondo da tanto è cambiato. Il muro di Berlino doveva aspettare ancora un paio d?anni prima di cadere; il pianeta ? malgrado la perestrojka di Gorbaëv ? era ancora diviso in due blocchi, appena scalfito dall?onda lunga quel grande movimento che nella Conferenza di Bandung del 1955 prese il nome di ?non allineamento?; l?India e la Cina erano ancora considerati paesi poveri ?in via di sviluppo?; non si aveva la percezione delle ?nuove guerre? che di lì a poco ? con l?implosione della Jugoslavia ? avrebbero segnato tutti gli anni ?90. Ma soprattutto era ancora in gestazione la rivoluzione informatica che avrebbe come d?incanto ridotto le distanze e modificato profondamente l?organizzazione del lavoro e, più in generale, i nostri stili di vita. Irromperanno i fenomeni migratori, la delocalizzazione delle imprese, una sempre più invadente finanziarizzazione dell?economia, la corsa al controllo delle risorse strategiche che prenderà il nome di ?guerra infinita? e di ?scontro di civiltà?.
Per la verità, la questione della riforma della Legge 49/87, venne posta già negli anni ?90 ma non sono bastate quattro legislature per arrivare ad un cambio di passo. Sembrava che in questa tornata si fosse sulla buona strada, con un vice-ministero dedicato, con la presentazione da parte del Governo di un disegno di ?legge quadro? in materia e diversi disegni di legge presentati in Parlamento, ma la fine anticipata della legislatura ha di nuovo azzerato tutto. Alla delusione per tale esito, si deve aggiungere anche la pochezza di una discussione di merito dove ancora una volta sono prevalsi gli aspetti tecnici piuttosto che la necessità di un diverso sguardo all?insieme di questa materia, a torto considerata specialistica. Che ci richiama invece ad un mondo sempre più interdipendente.
Il presupposto di una seria riforma richiedeva di interrogarsi sulla crisi della cooperazione internazionale e di operare un salto di paradigma. Incontriamo qui uno dei paradossi del nostro tempo. Mentre la dimensione globale entra di forza in ogni disciplina e iniziamo ad avere consapevolezza dell?interdipendenza, registriamo il punto più alto di crisi della cooperazione internazionale. Una crisi che in genere viene fatta risalire al taglio dei finanziamenti e al non rispetto da parte dei Governi nazionali degli impegni verso la cooperazione. Ma è il dito, non la luna.
Ci si dovrebbe interrogare sulla capacità della cooperazione internazionale di darsi un?agenda non condizionata dall?emergenza (che è altra cosa rispetto alla cooperazione), sul suo mettere disinvoltamente l?elmetto accodandosi con gli aiuti umanitari agli interventi armati, sui meccanismi che hanno fatto diventare le Ong dei veri e propri ?progettifici? privi di pensiero e di autonomia politica. Non parlo ? come si può capire ? solo dell?azione dei governi o delle grandi istituzioni internazionali, ma anche del mondo delle organizzazioni non governative e del volontariato che, in larga parte, ha smesso da tempo di interrogarsi sul senso del proprio agire. Perché credo abiti proprio qui, nella capacità di sguardo sul mondo e nell?efficacia dei nostri strumenti interpretativi, il nodo di fondo da affrontare se si vuole ridare smalto ad una cooperazione che lo ha perduto.
Per capirci, provo a porre qualche domanda, solo in apparenza provocatoria: il mondo è ancora diviso fra sviluppo e sottosviluppo? ha ancora senso parlare di contraddizione nord ? sud, quando sappiamo che la globalizzazione ha reso a-geografica la divisione fra inclusione ed esclusione?l?autodeterminazione dei popoli è ancora sinonimo di liberazione o non è forse ascrivibile al paradigma obsoleto degli stati-nazione?
E ancora, per entrare più nello specifico della cooperazione internazionale: a che cosa servono gli ?aiuti allo sviluppo?? quanto continuerà ancora la cantilena dell??insegnare a pescare? (che un tempo veniva contrapposta alle logiche assistenziali) quando abbiamo a che fare con civiltà dai saperi millenari? qual è la cooperazione che investe nella conoscenza prima che nei progetti? perché raramente ci si interroga sull?impatto e sull?autosostenibilità della cooperazione? perché non si antepone il pensare all?agire, la parola al fare?
Qualche interrogativo fra i tanti possibili, che richiederebbero un?analisi senza reticenze non solo della cooperazione internazionale ma anche della nostra solidarietà, sempre più affidata all?emergenza e al buon cuore, agli sms e ai gadget, invece che alla fatica dell?approfondire e del costruire relazioni.
Perché è nel mettersi in relazione ? più che sul trasferimento di risorse o modelli ? che va ripensata la cooperazione internazionale. Una relazione non è fatta di donatori e di beneficiari ma di territori come soggetti viventi in dialogo con la natura, la storia, le culture e i saperi locali.
E? ciò che abbiamo sperimentato in questi anni attraverso la cooperazione che abbiamo definito ?di comunità?, proprio per segnare un nuovo approccio fondato sulla prossimità (il bisogno di ascoltare il territorio) e sulla reciprocità (la consapevolezza che nell?interdipendenza le distanze svaniscono e le contraddizioni riverberano). Che dunque quello sulla solidarietà è un investimento su se stessi. Un ponte percorso in entrambe le direzioni, in una cooperazione che ci insegna a stare al mondo. Compresa la capacità di abitare i conflitti attraverso percorsi di elaborazione collettiva senza i quali la riconciliazione diventa una parola vuota e astratta, affidata al passare del tempo e al miglioramento delle condizioni sociali, dimenticando che il tempo non è galantuomo e che il denaro e il consumo non ci mettono certo al riparo dalla violenza.
Di tutto questo e di altro ancora parleremo nel seminario di Trento il prossimo 14 marzo. Con un piccolo ma ambizioso obiettivo: l?elaborazione e la presentazione di una ?carta? che aiuti la cooperazione a ragionare senza reticenze su se stessa.
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