Welfare

Una mostra straordinaria. Flash tra le sbarre

A Milano è stata inaugurata Captivi. I detenuti del carcere di Bollate hanno preso in mano la macchina fotografica per raccontare il quotidiano.

di Stefano Arduini

Una cassetta della frutta divenuta mensola da bagno e la base di un cartone di birra Moretti dove riporre fogli e documenti sono gli Arredi di Giuseppe Vacante. L?azzurro del cielo interrotto dal passaggio di una nuvola primaverile è il Sogno di libertà di Giovanni Gentile. Falangi che cercano di impedire la chiusura di una porta blindata sono invece le Mani di Paolo Ele. Sono tre delle immagini dei 21 autori della mostra Captivi-(Rac)contare i giorni nostri allestita fino al 17 gennaio alla Galleria San Fedele di Milano, in via Hoepli, 3. Flash figli di un laboratorio fotografico interno al carcere di Bollate, alle porte di Milano, realizzato grazie alla collaborazione dei volontari della Sesta Opera San Fedele, che la curatrice dell?evento Gigliola Foschi ha intrecciato con opere di professionisti. O semiprofessionisti, come l?avvocato fotografo Alessandro Mencarelli che, inquadrando i piedi di alcuni dei suoi anonimi assistiti nella sala degli incontri, ha raffigurato oltre 20 anni di tristi Colloqui in carcere. Questo è però l?unico accenno polemico di una mostra che si tiene sapientemente lontana dalla denuncia, malgrado proprio la direttrice della casa di reclusione di Bollate, Lucia Castellano, abbia sottolineato come “la presenza di queste foto nel cuore della Milano modaiola ci offra una piccola chance di visibilità in una città che sta rinchiudendo la questione carcere nei recinti delle sue periferie, vedi Bollate, vedi Opera, vedi il progetto di trasferimento di San Vittore”. Gli sguardi dei prigionieri fotografi, infatti, non cedono mai alla rabbia, e nemmeno alla rassegnazione. Anche se il giorno della presentazione un rapido accenno dell?unico detenuto presente, l?emozionatissimo Vacante, “ringrazio tutti, ma in un giorno così importante mi rincresce di non avere a fianco i miei colleghi”, ha tradito un?inevitabile angoscia. Angoscia condivisa anche dalla combattiva Castellano, incapace di arrendersi alla “malattia genetica del carcere tale da ridurre l?utente nella totale passività. Concedendo al controllore un potere immenso difficile da gestire e impedendo al controllato di verificare il suo percorso di reinserimento sociale”. Un esame, però, che anche una mostra fotografica può regalare. Significative, in questo senso, le riflessioni con cui i corsisti hanno voluto accompagnare le opere: “Maneggiare macchine fotografiche, circolare quasi liberamente fra i reparti, benché inizialmente irreale ha aperto, anche se solo per un tempo a termine, il gusto della libertà espressiva. Pellicole come ali per volare”.


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